Il requisito della "prossimità" ad uno dei luoghi indicati dalla norma (tra cui scuole, comunità giovanili, caserme, carceri) attiene alla contiguità fisica e al posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano. Irrilevante che il raggiungimento del luogo implichi una, pur minima, scelta volitiva della vittima.
Gli imputati ricorrono in Cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello che li avevi condannati per i reati di cui agli
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 9 luglio 2021 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 10 giugno 2020 del Tribunale di Roma resa in esito a giudizio abbreviato, ha tra l'altro rideterminato rispettivamente in anni cinque di reclusione e in anni quattro mesi dieci di reclusione le pene inflitte a C.M. e a M.H. per i reati, così riqualificati, di cui all'art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990 e - quanto ai reati fine - all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.
2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione, entrambi articolati su tre motivi di impugnazione.
3. Ricorso M.
3.1. Col primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza nella parte in cui gli veniva ancora riconosciuta la qualifica di organizzatore del sodalizio criminoso, laddove anche nell'appello era stata altresì contestata l'assenza di un suo ruolo apicale nell'associazione illecita, a prescindere dalla carenza di affectio societatis. La Corte territoriale aveva al riguardo osservato che non vi era necessità di autonomia gestionale, per essere considerato organizzatore del sodalizio.
3.2. Col secondo motivo è stata contestata la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 80 d.P.R. 309 cit. (rectius art. 80, comma 1, lett. g) in relazione alla vicinanza tra la pretesa centrale di spaccio di via (omissis) rispetto all'istituto scolastico M.. Andava invero escluso il rapporto di immediatezza tra il luogo di spaccio e i frequentatori della Comunità che si intendeva tutelare. In concreto i frequentatori di via (omissis) giungevano sul luogo in autovettura e doveva escludersi che fossero i giovani studenti.
3.3. Col terzo motivo, quanto al trattamento sanzionatorio, il ricorrente ha osservato che, preso atto della riqualificazione dei reati, la pena base - in relazione all'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6 d.P.R. 309 - era stata determinata nel massimo edittale senza adeguata giustificazione motivazionale. Né erano stati illustrati i criteri della maggiore afflittività rispetto ad altri coimputati per i quali le circostanze attenuanti generiche erano riconosciute con criteri di equivalenza su aggravante e recidiva specifica ed infra-quinquennale.
4. Ricorso H..
4.1. Col primo motivo sono stati replicati gli argomenti già formulati sub 3.3. sotto il profilo della determinazione della pena base, tenuto invero conto che era stata applicata in precedenza la pena pari al minimo edittale di cui all'art. 74, comma 1, d.P.R. 309 cit..
4.2. Col secondo motivo, quanto all'aumento per continuazione in relazione al capo 4) dell'imputazione, esso era stato mantenuto nei medesimi termini quantitativi precedenti nonostante la riqualificazione a norma del comma 5 dell'art. 73, ed in ogni caso aveva fatto difetto una specifica motivazione al riguardo. Né, in ogni caso, vi era stata compiuta motivazione circa la partecipazione dell'H. agli episodi, per i quali era intervenuta rinuncia ai motivi d'appello, risalenti al 12 luglio e al 17 agosto 2017.
4.3. Col terzo motivo infine il ricorrente ha lamentato la mancata rivalutazione del concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti e quindi della comparazione, in ragione del sensibile mutamento del quadro fattuale oggetto della decisione. Lo stesso giudizio di equivalenza avrebbe potuto essere confermato, ma in esito a differente percorso motivazionale.
5. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità dei proposti ricorsi.
Motivi della decisione
6. I ricorsi vanno accolti per quanto di ragione.
7. Ricorso M.
7.1. In relazione al primo motivo di censura, la Corte territoriale ha dato ampiamente conto dell'attività svolta dal ricorrente nell'ambito della riconosciuta associazione illecita dedita al traffico di stupefacenti, che il Giudice d'appello ha ricondotto all'ipotesi di cui al comma 6 dell'art. 74 cit..
Da un lato, a questo riguardo, il ricorso - non adempiendo al principio di autosufficienza - non ha inteso riprodurre "i profili di criticità" contenuti nel gravame, e che in tesi avrebbero impedito il riconoscimento della qualità di organizzatore dell'associazione in capo allo stesso M..
Per altro verso, in tema di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti il ruolo di organizzatore, spettante a colui che coordina il contributo degli associati, a differenza di quello di promotore e di capo, assume una connotazione esecutiva e non richiede che chi lo rivesta si trovi sullo stesso piano dei capi e dei promotori, essendo compatibile, ove l'organizzazione del sodalizio abbia una struttura verticale, con un'attività svolta in posizione di subalternità rispetto al vertice associativo (è stato così ritenuto immune da censure il riconoscimento, ad opera della sentenza impugnata, del ruolo di organizzatore a carico di colui che coordinava i turni di spaccio sulla "piazza" gestita dal sodalizio)(Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, Careddu, Rv. 281736). Ancora più specificamente, questa Corte di legittimità ha osservato che la qualifica di organizzatore in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti spetta a chi assume poteri di gestione, quand'anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo (è stata così ritenuta corretta la qualifica di organizzatore, ravvisata dal giudice di merito, in capo al soggetto in posizione di preminenza che organizzava il lavoro degli altri componenti l'associazione, sia in relazione ai rifornimenti di sostanza stupefacente sia all'attività di cessione)(Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi, Rv. 271256; cfr. altresì ad es. Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Pardo, Rv. 271707).
7.1.1. A fronte di siffatti principi, la Corte territoriale - sottolineando che il ricorrente era il braccio destro del vertice operativo del gruppo - ha dato conto del ruolo del ricorrente, della complessiva organizzazione - da parte sua – del lavoro dei singoli pusher e dei relativi turni di spaccio, della capacità dello stesso M. di ripristinare l'attività illecita del sodalizio nonostante l'arresto di uno dei partecipi e quindi del sequestro della droga che costui aveva con sé, della partecipazione addirittura all'attività disciplinare interna, sì che appare invero arduo non ravvisarne la piena affectio societatis. Alcuna specifica contestazione risulta in definitiva formulata, sì che il motivo di censura va senz'altro disatteso.
7.2. In relazione al secondo profilo di doglianza, la Corte territoriale ha confermato la sussistenza dell'aggravante - naturalmente per gli episodi contestati singolarmente all'odierno ricorrente - di cui all'art. 80 lett. g) cit. ("se l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti"), assumendo che le indagini erano nate proprio dalle denunce di alcuni genitori degli alunni che frequentavano l'istituto scolastico M., sito in prossimità del• fabbricato - sito alla via (omissis) in (omissis) - ove si svolgeva l'attività di spaccio.
A questo proposito è stato ricordato che il requisito della "prossimità" ad uno dei luoghi indicati dalla norma in cui deve avvenire l'offerta o la cessione della sostanza stupefacente, attiene alla contiguità fisica e al posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano, non essendo rilevante che il raggiungimento del luogo implichi una, pur minima, scelta volitiva della vittima (Sez. 4, n. 51957 del 24/11/2016, Calandra, Rv. 268780).
E' stato così osservato che il frequente uso nel lessico del legislatore penale di espressioni vaghe, quale è nel caso in esame il termine «prossimità», impone all'interprete il compito di definirne il significato. Si tratta, in particolare, di definire il contenuto offensivo tipico dell'aggravante onde comprendere se la condotta contestata presenti un disvalore sufficiente a giustificarne la collocazione entro la fattispecie aggravata, giustifichi la maggiore gravità del fatto e l'incremento della sanzione che ne deriva. Il principio di offensività, che deve guidare l'interprete nell'individuazione del fatto tipico sanzionato dal legislatore penale, regola altresì l'interpretazione degli elementi circostanziali del fatto, cosicché si possa «cogliere nel lessico legale una portata che esprima fenomenologie significative, che giustifichino l'accresciuta severità sanzionatoria» (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, in motivazione).
Esaminando il testo normativo, l'art. 80, comma 1, lett. g) T.U. Stup. prevede l'aggravamento della pena se l'offerta o la cessione è, appunto, effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. La finalità della norma risiede nell'esigenza di tutelare e preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive. Del resto, nelle suddette comunità il rilevato pericolo si manifesta particolarmente evidente, in quanto l'elevato numero delle persone presenti e la concentrazione delle stesse rappresentano le condizioni per un allargamento «a macchia d'olio» del contatto con la droga (Sez. 4, n. 3786 del 19/01/2016, Terrezza, n.nn.).
Il termine «prossimità» non può, dunque, che indicare la contiguità fisica, il posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio in un luogo che consenta l'immediato accesso alle droghe a persone che frequentano dette comunità. Eliminando un ostacolo alla caduta (o alla ricaduta) nella tossicodipendenza, la vicinanza fisica dello spacciatore alle potenziali vittime rende la condotta tipica del reato maggiormente insidiosa ed aggressiva per il bene protetto dalla norma. Non aggrava il disvalore del fatto, dal punto di vista in esame, la circostanza che l'agente si sia reso reperibile in un luogo dove notoriamente si cede droga ma il cui raggiungimento implichi una, pur minima, scelta volitiva della vittima (così, in motivazione, Cass. n. 51957 cit.).
Col termine di "prossimità" il legislatore ha così individuato quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (scuole, caserme, comunità giovanili, ecc. ecc.), che devono essere ubicate nelle immediate vicinanze e, proprio per questo, abitualmente frequentate dagli utenti istituzionali, siano essi studenti, militari, pazienti: in altri termini, tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di relazione immediata, altrimenti non si giustificherebbe nemmeno la previsione dell'aggravante, riferita, appunto, alla oggettiva localizzazione della cessione o dell'offerta dello stupefacente alle persone che frequentano tali luoghi (così, specificamente, in motivazione, Sez. 6, n. 27458 del 14/02/2017, Marafi, Rv. 270160).
7.2.1. In proposito la Corte territoriale ha, da un lato, affermato che le cessioni di sostanza avvenivano "in prossimità" dell'istituto scolastico M. e, dall'altro, che con numerose denunce alcuni genitori di alunni dell'istituto scolastico avevano notato un'attività di spaccio "presso il palazzo di via (omissis) (nell'androne del palazzo o nei pressi del giardino di pertinenza)".
Va da sé che, tenuto conto dei richiamati principi, la motivazione addotta a giustificazione del riconoscimento dell'aggravante è senz'altro carente, e il Giudice del rinvio dovrà provvedere a nuovo giudizio sul punto alla stregua del concetto di "prossimità" siccome chiarito da questa Corte, in ineludibile ossequio al principio di tassatività.
7.3. Il ricorso è parimenti fondato quanto al terzo motivo di censura.
A questo proposito, infatti, è anzitutto nozione da ribadire che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo) (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). Infatti il giudice, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243).
In specie, al contrario, la pena base del reato più grave, siccome riqualificato a norma del comma 6 dell'art. 74 cit., è stata determinata - senza motivazione alcuna - in anni sette di reclusione, ossia nel massimo edittale per l'ipotesi, riconosciuta, dell'organizzatore dell'associazione.
La sentenza va pertanto annullata anche sotto tale profilo, attesa la complessiva necessità di nuovo giudizio sul punto anche, eventualmente, in ragione della verifica circa la sussistenza della specifica aggravante di cui all'art. 80 cit., ancorché giudicata subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti generiche.
8. Ricorso H.
8.1. Il primo motivo è fondato per quanto già osservato sub 7.3., laddove appunto in primo grado era stata inflitta la pena base di anni venti di reclusione, pari al minimo edittale dell'ipotesi di cui all'art. 74, comma 1, d.P.R. 309 del 1990, mentre in appello è stata determinata, senza motivazione, la pena base pari al massimo edittale della fattispecie di cui al comma 6 cit..
8.2. E' fondato anche il secondo motivo di censura. Vero è che in relazione ai fatti di cui al capo 4) vi è stata rinuncia ai motivi di appello, ma - riqualificati i fatti colà contestati a norma del comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309 del 1990 - il relativo aumento in continuazione rispetto al reato associativo è rimasto invariato in tre mesi senza, in effetti, motivazione alcuna.
8.3. In relazione infine al terzo profilo di doglianza, l'invocata rivalutazione del concorso di circostanze e del relativo giudizio di comparazione è preclusa dalla rinuncia allo specifico motivo d'appello (cfr. esattamente in termini, quanto alla previgente fattispecie di cui all'art. 599, comma 4, cod. proc. pen., Sez. 1, n. 8870 del 16/07/1993, Peruffo ed altro, Rv. 197219), atteso che in sede di gravame l'odierno ricorrente aveva formalizzato la rinuncia ai motivi d'appello, fatta peraltro solamente eccezione, appunto, all'applicabilità dell'art. 74, comma 6 e dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.
9. In definitiva, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma: a) nei confronti di C.M. limitatamente alla sussistenza o meno dell'aggravante di cui all'art. 80, comma 1 lett. g) DPR 309/90 ed al trattamento sanzionatorio;
b) nei confronti invece di M.H. con riferimento al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.C. limitatamente alla sussistenza o meno dell'aggravante di cui all'art. 80, comma 1 lett. g) DPR 309/90 ed al trattamento sanzionatorio e nei confronti di H.M. con riferimento al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.