Non anche qualora la s.r.l. sia stata costituita per una durata molto lunga.
L'attore originario era titolare di una quota pari al 10% di una s.r.l. e chiedeva al Tribunale di accertare la sussistenza del suo diritto di recesso accompagnato dalla condanna della società al pagamento del valore della sua quota.
Il Tribunale disattendeva la domanda, sostenendo che non sussistesse il diritto di recesso perché la società aveva una...
Svolgimento del processo
- la I.M. s.r.l. in liquidazione, già B.G. Costruzioni s.r.l., propone ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Genova, depositata il 9 febbraio 2015, e la sentenza definitiva della medesima Corte, depositata il 25 maggio 2017, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Sanremo, hanno dichiarato legittimamente esercitato il recesso operato da G.P. dalla società e, per l’effetto, condannato quest’ultima al pagamento della somma di euro 32.755,00 oltre interessi legali a decorrere dal 26 settembre 2006, quale controvalore della sua quota;
- dall’esame delle sentenze impugnate si evince che con la domanda proposta l’attore, premesso di essere titolare di una quota pari al 10% della B. Costruzioni G. s.r.l., aveva chiesto accertarsi la sussistenza del suo diritto di recesso e condannarsi la società al pagamento del valore della sua quota;
- la Corte di appello ha riferito che il Tribunale aveva disatteso la domanda evidenziando che la richiesta di liquidazione della quota presupponeva l’accertamento della legittimità del recesso, non richiesto, tuttavia, dall’attore e, in ogni caso, che non sussisteva il vantato diritto di recesso poiché la società aveva una durata determinata e, inoltre, aveva ritenuto inammissibile la domanda di accertamento del valore della quota sul fondamento che l’autorità giudiziaria aveva unicamente il potere di nominare il perito estimatore e non anche di procedere autonomamente alla valutazione;
- con la prima delle sentenze impugnate la Corte di appello ha accolto il gravame interposto ritenendo che il socio di una società a responsabilità limitata avesse il diritto di recedere dalla società ove quest’ultima, come nel caso in esame, fosse stata costituita con un termine di durata molto lungo e che la previsione da parte dell’art. 2473 cod. civ. di un procedimento di volontaria giurisdizione preordinato all’accertamento del valore della quota di un socio non faceva venir meno la possibilità che un siffatto accertamento potesse essere eseguito anche in sede contenziosa laddove la relativa esigenza sorgesse nell’ambito di un più ampio giudizio;
- con la seconda della sentenza impugnate, disattesa l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta messa in liquidazione della società, in quanto tardivamente proposta, ha proceduto, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio disposta con la decisione non definitiva, alla quantificazione del controvalore della quota di partecipazione dell’attore;
- il ricorso è affidato a quattro motivi;
- resiste con controricorso G.P.;
- le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
Motivi della decisione
- con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2473, terzo comma, cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che il giudice potesse accertare il valore della quota di partecipazione al capitale di una società a responsabilità limitata di un socio a seguito dell’esercizio del diritto di recesso;
- sostiene, in proposito, che, in virtù della richiamata disposizione normativa, una siffatta funzione spetta, in caso di disaccordo tra i soci, esclusivamente ad un esperto nominato dal giudice;
- con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che la domanda di condanna al pagamento del valore della quota sociale contenesse implicitamente anche la domanda di accertamento della legittimità del recesso, benché non espressamente formulata;
- con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2473, ultimo comma, cod. civ. e 167, secondo comma, cod. proc. civ., per aver il giudice di appello disatteso l’eccezione di improcedibilità della domanda di condanna sollevata con riferimento alla sopravvenuta messa in liquidazione della società;
- con l’ultimo motivo lamenta la violazione falsa applicazione dell’articolo 2473, secondo comma, cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che il termine di durata della società, fissato nell’anno 2050, fosse di lunghezza tale da consentire il recesso ad nutum;
- va preliminarmente esaminato, per motivi di ordine logico- giuridico, il secondo motivo di ricorso, il quale è infondato: l’esercizio di un’azione di condanna contiene necessariamente la richiesta dell’accertamento del diritto che si vuol fare valere, accertamento che rappresenta l’elemento proprio e comune di ogni azione di tale natura e che, in quanto tale, pur potendo costituire oggetto di una autonoma azione, non deve essere oggetto di specifica domanda;
- può, quindi, esaminarsi, sempre in ossequio ad un ordine logico-giuridico, l’ultimo motivo del ricorso, che, invece, è fondato;
- l’art. 2473, secondo comma, cod. civ, con disposizione che ricalca analoga disciplina dettata per le s.p.a. non quotate, riconosce a ciascun socio di una società a responsabilità limitata il diritto di recedere in ogni momento dalla stessa, salvo preavviso, qualora la società risulti contratta a tempo indeterminato;
- tale previsione trova la sua giustificazione nel generale sfavore che accompagna, nel nostro ordinamento, l'assunzione di vincoli perpetui e consegue, più precisamente, all'estensione anche alle società di capitali del principio della libera recedibilità, nel rispetto del principio di buona fede, dai contratti a prestazioni continuate o periodiche aventi durata indeterminata;
- la sentenza non definitiva impugnata aderisce alla tesi secondo cui il diritto di recesso ad nutum va riconosciuto non solo quando la società è contratta a tempo indeterminato, ma anche quando lo statuto preveda un termine particolarmente lungo, facendo leva sul precedente rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 9662 del 22 aprile 2013, che ha valorizzato sia il criterio, proprio della disciplina delle società di persone ma richiamato per ragioni di ordine sistematico, relativo alla durata della vita del socio, sia il collegamento funzionale tra il termine di durata della società e il progetto di attività che si intende perseguire, sia l’impossibilità di ricostruire l'effettiva volontà delle parti circa l'opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società in caso di fissazione di un termine di durata oltremodo lontano nel tempo (nel caso di specie, 2100);
- la menzionata sentenza ha, quindi, evidenziato che una siffatta previsione statutaria si risolverebbe, nella sostanza, nella mancata determinazione del tempo di durata della società e darebbe luogo a un effetto elusivo della norma che prevede il diritto di recesso ad nutum del socio per società contratte a tempo indeterminato;
- ha, infine, osservato che la riforma del diritto societario ha inteso potenziare il diritto di recesso nella s.r.l., tutelando i soci di minoranza e favorendo l'accessibilità al recesso come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di maggioranza;
- deve, tuttavia, osservarsi che questa Corte, con successiva ordinanza n. 8962 del 19 marzo 2019, si è espressa, sia pure con riferimento ad una previsione statutaria recante una durata meno lontana nel tempo (2050, anziché 2100), in senso contrario all’assimilazione delle situazioni di durata indeterminata e di durata eccessivamente lontana nel tempo, ponendo in evidenzia sia il dato letterale dell'art. 2473, secondo comma, cod. civ., che limita tassativamente la possibilità di recedere ad nutum al solo caso di società contratta a tempo indeterminato, sia la necessità di pervenire ad una valutazione sistematica delle disposizioni, che tenga conto della differente disciplina dettata per le società a responsabilità limitata rispetto a quella operante per le società di persone, sia, infine, l’interesse dei creditori sociali al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale;
- tale tesi interpretativa ha ricevuto conferma dalla sentenza di questa Corte n. 4716 del 21 febbraio 2020, la quale, pronunciandosi con riferimento al diritto di recesso ad nutum del socio di una società per azioni – la cui disciplina è, come rilevato in precedenza, analoga a quella delle società a responsabilità limitata –, ha ribadito il principio per cui la possibilità per il socio di recedere ad nutum sussiste solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo, ponendo a fondamento della decisione gli elementi rappresentati dal dato testuale della disciplina del recesso nelle società di capitali e dalla prevalenza, sull’interesse del socio al disinvestimento, dell’interesse della società a proseguire nella gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi alla stabilità dell’organizzazione imprenditoriale e all’integrità della garanzia patrimoniale offerta esclusivamente dal patrimonio sociale, non potendo questi fare affidamento – diversamente da quanto accade per le società di persone – anche sul patrimonio personale dei singoli soci;
- orbene, ritiene questo Collegio che la ricostruzione ermeneutica da ultimo esposta merita condivisione e che, pertanto, all’orientamento espresso dalle più recenti pronunce di questa Corte va assicurata continuità;
- va sottolineata, in particolare, la necessità di assicurare carattere di certezza e univocità alle informazioni desumibili dalla consultazione degli atti iscritti nel registro delle imprese, senza imporre ai terzi un’attività di valutazione e interpretazione delle stesse connotata da un margine di opinabilità e, dunque, dall’esito non concludente, ed esporli ai rischi connessi alla indeterminatezza dei relativi dati;
- i terzi – e i creditori, in particolare – hanno interesse a conoscere in anticipo, al momento in cui contrattano con la s.r.l. e per l'intera durata del loro rapporto con la stessa, il catalogo esatto delle ipotesi di recesso dei soci, in relazione alla potenziale distrazione di patrimonio netto dagli scopi dell'iniziativa e alla alterazione della generica garanzia del credito rappresentato dal patrimonio sociale;
- ancorare il diritto di recesso ad nutum all’aspettativa di vita residua del socio esporrebbe, dunque, il creditore alla necessità di effettuare accertamenti per definizione illiquidi e di monitorare costantemente la composizione della compagine sociale;
- inoltre, stante la regola tendenziale della libera trasferibilità della quota, il subentro nella veste di socio di un soggetto avente un’aspettativa di vita sensibilmente diversa (e più breve) rispetto al cedente potrebbe rivelarsi idoneo a introdurre una causa di recesso originariamente inesistente, con pregiudizio delle predette esigenze di certezza in ordine alla conoscibilità della sussistenza delle facoltà di recesso a disposizione dei singoli soci;
- ad analoghe critiche si espone anche il riferimento – quale elemento cui parametrare la durata «eccessiva» della società, in quanto tale legittimante il recesso ad nutum – alla durata del progetto imprenditoriale, avuto riguardo alla tendenziale difficoltà di individuare l’arco temporale entro il quale l'oggetto sociale può plausibilmente essere conseguito, laddove non consistente in attività suscettibile di ripetizione potenzialmente all'infinito, e, dunque, all’opinabilità e alla conseguente incertezza che il ricorso a un siffatto criterio comporterebbe, oltre alla constatazione che l’eventuale conseguimento dell'oggetto costituisce causa di scioglimento della società ben prima del decorso del termine;
- l’adesione ad un’interpretazione letterale del testo dell’art. 2473, secondo comma, cod. civ., si impone, pertanto, in primo luogo, in ragione della necessità di tutelare l’interesse dei creditori sotto il profilo patrimoniale, in relazione alla conservazione della garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio sociale, a tutela (anche) del quale è dettata la disciplina del procedimento di liquidazione della quota, interesse già esposto al rischio del recesso ad nutum laddove sia pattuita l’intrasferibilità della partecipazione (art. 2469, secondo comma, cod. civ.), oltre che nelle altre ipotesi previste dall’atto costitutivo o dalla legge (art. 2473, primo comma, cod. civ.);
- sotto tale profilo, è evidente la differenza con la disciplina del recesso operato nelle società di persone, invocata quale utile elemento interpretativo dalla tesi opposta, in considerazione della inclusione del patrimonio dei singoli soci nella generica garanzia patrimoniale cui possono fare affidamento i creditori sociali;
- la tesi restrittiva risponde, in secondo luogo, anche all’esigenza di tutelare l’interesse dei creditori sotto il profilo organizzativo, in relazione alla conoscenza delle cause di recesso, in quanto strumentale alla pianificazione dei rapporti con la società sulla base di informazioni accessibili, chiare e incontrovertibili;
- si osserva, altresì, che se è vero, come affermato nella richiamata pronuncia del 2013, che con la riforma del diritto societario il legislatore ha inteso semplificare la gestione e l'esercizio dell'impresa affidata alla s.r.l., differenziandone maggiormente i connotati rispetto a quelli della s.p.a., ciò non consente di poter applicare analogicamente alla s.r.l. la disciplina del recesso prevista per le società di persone, avuto riguardo, in particolare, al differente regime patrimoniale che le caratterizza;
- né risulta persuasiva l’argomentazione, anch’essa presente in tale pronuncia, del potenziamento del diritto di recesso realizzato con la riforma del diritto societario, non sussistendo, nella fattispecie in esame, quelle ragioni di tutela dei soci di minoranza in funzione delle quali tale diritto è stato rafforzato;
- all’accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso segue l’assorbimento del primo e del terzo motivo, in quanto vertenti su questioni strettamente dipendenti;
- la sentenza va, dunque, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito, rigettando l’originaria domanda;
- in considerazione del consolidamento della giurisprudenza di legittimità solo successivamente all’introduzione del giudizio in esame si ritiene giustificata l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta il secondo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.