Viene violato il diritto all'autodeterminazione nelle cure quando il personale medico non coinvolge i genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica cui il minore deve essere sottoposto.
Svolgimento del processo
1. La vicenda processuale trae origine dal decesso del piccolo Giovanni P. avvenuto in data 27 agosto 11998 presso il Policlinico di Bari, nosocomio in cui era ricoverato in quanto affetto da leucemia linfoblastica acuta.
In particolare, a seguito del decesso, i genitori M. P. e T. P. presentavano diverse denunce ali fine di far accertare la diligenza della condotta serbata dai sanitari N. S. e .M. A. che, nel periodo compreso tra il 25 gennaio 1998 e la data del decesso, avevano avuto in cura il proprio figlio.
Dopo l'espletamento delle indagini preliminari e la formulazione dei capi di imputazione da parte del P,M,, il G.U.P. del Tribunale di Bari, con la sentenza del 28 novembre 2003, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava il S. e la A. colpevoli dei reati di cui agli artt. 11O, 81 e 476 c.p. per avere, in concorso tra loro, falsificato la cartella clinica di Giovanni P. facendo risultare come avvenute delle analisi dei valori della coagulazione del sangue in realtà mai effettuate; assolveva il S. dal reato di cui all'art. 589 c.p. perché il fatto non sussiste; rigettava l'istanza di risarcimento danni avanzata dalle parti civili costituite.
2. La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza del 25 novembre 2005, in parziale riforma della decisione impugnata, limitava la colpevolezza del S. e della A. per i reati di cui agli artt. 110, 81 e 476 c.p. "alla falsificazione della data riportata sul report di stampa e sulla scheda cartonata relative alle analisi effettuate sui prelievi del 20 agosto 1998" assolvendoli - in quanto il fatto non sussiste - dalle residuali ipotesi di falsità accertate in primo grado e confermando nel resto l'impugnata sentenza.
3. Avverso tale decisione ricorrevano in Cassazione gli imputati S. e A., le parti civili e il Pubblico Ministero, che chiedeva la condanna per omicidio colposo.
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 22192/08, depositata il 3 giugno 2008, rigettava i ricorsi degli imputati, accoglieva le doglianze dei coniugi P. ed annullava la sentenza impugnata agli effetti civili, rinviando, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., al Giudice civile competente per valore in grado di Appello.
In particolare, la Corte accertava un evidente difetto di motivazione della sentenza impugnata per vizi di preterizione, non essendosi la Corte territoriale pronunciata su decisive deduzioni svolte dalle parti civili nei motivi di appello, deduzioni con cui erano state avanzate specifiche e rigorose censure nei confronti della decisione di primo grado.
4. Riassunto il giudizio ex artt. 622 c.p.p. e 392 c.p.c. dai coniugi P., la Corte d'Appello civile di Bari, con la sentenza n. 2090/2018, pubblicata in data 21 novembre 2018, rigettava la domanda di risarcimento U del danno formulata dagli attori in riassunzione e disponeva l'integrale compensazione delle spese di lite.
In particolare il Giudice territoriale, pronunciandosi limitatamente al thema deacidemndum delineato dalla Corte di Cassazione e sulla base della consulenza tecnica collegiale espletata nel corso del giudizio di riassunzione, accertava la conformità della terapia seguita dai sanitari al protocollo AIEOP-95.02 - non altrimenti sostituibile per la cura della leucemia linfoblastica acuta - escludendo che i farmaci somministrati al paziente e il negligente monitoraggio dell'assetto coaugulativo del sangue da parte del dott. S. avessero influito sul decesso, che era da ricondursi con elevato grado di probabilità ''alla comparsa improvvisa di sepsi dovuta ad infezione da Stafilococco da grave neutropenia".
Escludeva altresì che potesse costituire oggetto di accertamento - in quanto mai messa in discussione dalla Suprema Corte - la violazione degli obblighi informativi da parte del S., trattandosi di un deficit conoscitivo in ogni caso irrilevante rispetto all'exituS del piccolo paziente.
5. Avverso tale sentenza, propone ricorso per Cassazione M. P. sulla base di tre motivi di ricorso.
5.1. Resistono con controricorso N. S. e M. A..
5.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
5.1. Con il primo ,.Y primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la Violazione e/ o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, I comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 32, II comma, Cost., art. 651, I comma, c.p.p., art. 324 c.p.c., nonché degli artt. 1176, 1218 e 2729 c.c. con riferimento alle norme legislative e regolamentari in materia di consenso informato e obblighi informativi.
La Corte, nel ritenere che non costituisse oggetto di accertamento in sede di rinvio la violazione degli obblighi informativi da parte del S., avrebbe interpretato in maniera errata d contenuto della sentenza della Suprema Corte nonché ritenuto sussistente un giudicato in realtà mai formatosi.
A giudizio del ricorrente, infatti, il mancato coinvolgimento dei genitori nelle scelte della sperimentazione terapeutica - che avrebbe consentito loro di optare tra farmaci alternativi - rappresenta uno de1 presupposti per valutare la responsabilità della condotta omissiva dei sanitari, non potendosi affermare la formazione di un giudicato sul punto atteso che la censura era stata più volte riproposta nel corso del giudizio.
In particolare, sulla scorta di tale errore., la Corte avrebbe poi omesso di considerare che, essendosi fatto ricorso all'utilizzo di un protocollo sperimentale su minore, la cogenza dell'obbligo informativo diveniva ancora più stringente, richiedendosi un consenso acquisito in forma scritta.
Lamenta inoltre che la mancanza di informativa abbia leso il loro diritto all'autodeterminazione nella cure.
6.1. Con il secondo motivo di ricorso articolato in più censure, il ricorrente lamenta la violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 24 e 111, VI comma, Cost., degli artt. 1176 e 2059 c.c., art. 185 c.p., nonché degli artt. 2729 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.:, e la nullità della sentenza e/p del procedimento ai sensi dell'art. 360, I comma, n. 4, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell'art. 111, VI comma, Cost. e art. 112 c.p.c. per mancanza assoluta di motivazione su domanda ritualmente proposta.
La Corte avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento da danno subito dai coniugi P. a causa della falsificazione della documentazione sanitaria, ritenendolo un fatto lesivo di un generico interesse alla genuinità e veridicità dei documenti falsificati e non produttivo di un danno non patrimoniale.
Il ricorrente evidenzia al riguardo come il delitto di falso abbia invece leso non soltanto l'interesse alla veridicità e genuinità dei mezzi probatori documentali cx artt. 24 e 111 Cost., ma altresì lo specifico interesse a poter conoscere il contesto storico in cui si è verificata la morte del proprio figlio.
Così facendo il Giudice del rinvio avrebbe emesso una sentenza con una motivazione apparente ma in realtà inesistente, con una grave violazione dei principi consolidati presso la Suprema Corte di Cassazione.
6.2. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai semi dell'art. 360,
I comma, n. 3 c.p.c., la violazione e/ o la falsa applicazione degli art!. 115 e 116 c:p.c. e art. 2729 c.c.:, nonché degli artt. 1176, 2043 e 2059 c:c.
La Corte d'Appello di Bari avrebbe erroneamente considerato come fun6ribili i farmaci somministrati al piccolo P. a fronte dell'evidente maggiore tossicità dell'Asparaginasi in forma Medac rispetto all'Erwinase; avrebbe altresì omesso di valutare le consulenze tecniche attestanti la falsità della documentazione sanitaria nonché il mancato monitoraggio del paziente da parte dei sanitari; si sarebbe, infine, riportata acritcamente a quanto affermato dal collegio peritale nominato nel giudizio di rinvio.
Inoltre, il ricorrente censura il nesso eziologico fra condotta ed evento, affermando che, in applicazione del principi sussistenti in tema di responsabilità civile da colpa medica, è indubbio che, anche sulla scorta di un ragionamento presuntivo e contro\fattuale, la violazione degli obblighi informativi, l'omessa esecuzione delle analisi dei valori della coagulazione e il conseguente utilizzo di farmaci di elevata tossicità abbiano cagionato la C.I.D. (coagulazione intravasale diffusa) e, quindi, il prematuro decesso del paziente.
7. Il primo e secondo motivo, congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono fondati.
7.1. Occorre, innanzitutto, verificare se la Corte Territoriale si e pronunciata nei limiti del thema decidmdHm delineato dalla Corte di Cassazione.
Sia pagina 5 del ricorso e sia a pag. 14, ultimo capoverso, della sentenza impugnata, viene riportata la motivazione della sentenza di invio della cassazione (pag. 7) dove viene specificato che "in ordine al protocollo, adottato dal S., il punto focale, rimarcato dalle parti civili e completamente sfuggito nell'iter logico seguito dei giudici d'appello, non concerne la natura sperimentale o terapeutica di tale protocollo, ma 1iguarda le modalità di esecuzione dello stesso protocollo con riferimento alle censure delle parti civili circa il negligente monitoraggio dell'assetto coagulativo del sangue, l'utilizzo arbi1trario di farmaci alternativi, il doveroso coinvolgimento dei genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica, per offrire loro la possibilità di optare tra farmaci alternativi".
7.2. Ebbene la sentenza impugnata a pag.13 riporta le conclusioni del collegio peritale dove hanno stabilito che "nella documentazione in atti non risulta allegato alcun consenso informato sottoscritto da entrambi genitori del piccolo P. relativo alla terapia sperimentale messo in atto, risulta unicamente allegato un modulo di consenso informato sottoscritto dalla madre, relativo alla somministrazione di una variante dell'Asparaginasi, che pe1r i contenuti e le modalità di presentazione appare carente ed inadeguato. La mancanza di una valida documentazione scritta attestante l'effettuazione di una idonea informazione ai genitori rappresenta un elemento che contraddice una doverosa responsabilità di comportamento dei sanitari dell'ospedale policlinico di Bari il riferimento ad un percorso farmacologico sperimentale che esplicitamente lo richiedeva.
7.3. Pertanto, erra la Corte d'appello dove ritiene, con una motivazione apparente, a pagina 15 della sentenza che 'tale inciso, dunque non pone in discussione nella forma, né tantomeno l'esistenza del consenso dei genitori del piccolo Giovanni alla cura praticata e ai farmaci specificatamente utilizzati, ponendo all'attenzione di questa Corte d'appello, quale giudice del rinvio unicamente il problema della possibilità di optare tra farmaci alternativi. E conclude affermando 'all'evidenza esula dal ben diverso e più ampio tema del consenso informato sul quale lo stesso collegio peritale ha ritenuto di esprimersi. Infine, conclude la sentenza impugnata che la sentenza della Corte di Cassazione ha affidato al giudice di rinvio l'accertamento sulla corretta esecuzione del protocollo non che l'accertamento del nesso causale tra le scelte terapeutiche effettuate l'evento lesivo.
Ebbene il giudice del rinvio con tale motivazione, al contrario di quanto afferma, ha violato i parametri del thema deacidendu .Ho dalla Suprema Corte che riguarda 'le modalità di esecuzione dello stesso protocollo con riferimento alle censure delle parti civili circa il negligente monitoraggio dell'assetto coagulativo del sangue, l'utilizzo arbitrario di farmaci alternativi, il doveroso coinvolgimento dei genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica, per offrire loro la possibilità di optare tra farmaci alternativi'.
7.4. Pertanto, si è violato con la sentenza impugnata il diritto all'autodeterminazione dei genitori.
In tema di responsabilità sanitaria, questa Corte, con la sentenza n. 28985/2019, confermata da Cass. n. 9706/2020 e Cass. n. 24471 /2020, ha affermato i seguenti principi (cui il collegio intende dare seguito): 1) la manifestazione del consenso del paziente (o genitori se il paziente è minorenne) alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2, 13 e 32, comma 2, Cost.;
2) sebbene l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell'unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente - che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto - non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno; è possibile, invece, che anche l'inadempimento dell'obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori "concorrenti" della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all'omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose; 3) qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso infom1ato, unicamente un danno biologico, ai fini dell'individuazione della causa "immediat:a" e "diretta" (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento (o di cure), la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scantrente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile "ab origine" alla violazione dell'obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequcnì'.a causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza; 4) le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualità non rientrante nell'id quod plerumque accidit (Cass. 2847 /2010 e successive conformi): al riguardo, la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall'omessa informazione.
Pertanto, i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti: a) nell'ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale è egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun nsarc1mento sarà dovuto; b) nell'ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all'autodeterminazione sarà risarcibile qualora 11 paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici.
Ebbene nel caso di specie il ricorrente ha correttamente censurato la sentenza impugnata in quanto con i moti.vi di ricorso ha riproposto che la mancanza di informativa abbia leso il loro diritto all'autodeterminazione nella cure.
7.1. Il terzo motivo è infondato.
In particolare, in materia di responsabilità sanitaria, atteso che la consulenza tecnica è di norma consulenza percipiente a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/ o strumentazioni tecniche e che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza offrono al giudice il quadro dei fattori causa entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale, ne consegue che, dato che la consulenza ha concluso per la esclusione del nesso causale, il giudice ha applicato correttamente il criterio della regolarità causale là dove ha affermato che la condotta dei sanitari non è stata la causa del decesso del piccolo paziente.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, facendole proprie, affinché i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera progettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l'entità e l'incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (Corte di Cass., Sez. L, sent. n. 7341/2004).
Nel caso di specie, la Corte Territoriale in punto di nesso causale, con una motivazione logica ed esaustiva, ha escluso che la condotta dei sanitari abbia contribuito alla serie causale culminata col decesso.
8. Pertanto la Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, come motivazione, rigetta il terzo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla corte d'appello di Bari in diversa composizione personale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, come motivazione, rigetta il terzo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla corte d'appello di Bari in diversa composizione personale.