La Cassazione sposa il recente orientamento giurisprudenziale secondo cui va dato un peso specifico sia all'integrazione lavorativa, sia alle attività formative intraprese dal richiedente la protezione umanitaria.
La Corte d'Appello di Cagliari confermava la decisione del Tribunale e rigettava le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria avanzate dal cittadino straniero.
A fondamento della decisione, rispettivamente, l'insussistenza del timor persecutionis, la mancanza di un rischio effettivo di essere...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Cagliari, confermando la decisione del Tribunale, ha rigettato, per quel che ancora interessa, le domande presentate dal cittadino straniero (omissis) originario del Sierra Leone, dirette al riconoscimento dello status di rifugiato ex artt. 7 e 8 D.Lgs. 251/2007 nonché, in subordine, della protezione sussidiaria ex artt. 14 e ss. D.Lgs. 251/2007 e, in ulteriore subordine, di quella umanitaria ex art. 5 co.6 D.Lgs. 286/1998.
A sostegno della decisione ha affermato: riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato, l'insussistenza del timor persecutionis paventato dal richiedente, non potendosi ravvisare nelle ragioni addotte il motivo persecutorio di natura politica in caso di rientro nel Paese d'origine (nella specie il richiedente, in sede di audizione, aveva riferito di essere stato presidente di un gruppo politico di opposizione e di aver fatto propaganda via radio e che, per tale ragione, due dei suoi compagni erano stati arrestati e torturati a morte, mentre lui aveva deciso di abbandonare il Paese); quanto alla domanda di protezione sussidiaria, dalla vicenda esposta non risultava apprezzabile il rischio effettivo di essere sottoposto nel Paese d'origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti né di poter subire un grave danno alla propria integrità personale a causa della violenza indiscriminata in ipotesi di conflitto armato interno o internazionale; infine, la carenza delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non sussistendo da un lato situazioni di compromissione all'esercizio dei diritti umani nel Paese d'origine, e dall'altro situazioni di significativo inserimento sociale e culturale nel territorio italiano (in particolare, non evincendosi elementi di integrazione linguistica o lavorativa stabile) né di peculiare vulnerabilità all'esito di un eventuale rimpatrio.
2. Contro la sentenza della Corte d'Appello, il cittadino straniero ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi.
3. Il Ministero dell'Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione orale della causa.
Motivi della decisione
4. Con cinque motivi di ricorso il cittadino straniero ha lamentato: nel primo, la violazione degli artt. 2 lett. e) e 3 D.Lgs. 251/2007, dell'art. 1 L. 39/1990 e ss. mod., dell'art. 8 comma 3 D.Lgs. 25/2008 e 2697 c.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui il Giudice d'appello ha affermato l'aspecificità del motivo d'impugnazione concernente la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e l'insussistenza, anche in ragione della ritenuta non credibilità del ricorrente, della fattispecie persecutoria richiesta dalle norme di legge in materia;
nel secondo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 comma 3, Cost. in relazione agli artt. 5 e 13 D.Lgs. 286/1998, all'art. 6 Dir. CEE n.115/2008, nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avendo il Giudice d'Appello dichiarato l'inammissibilità della domanda di asilo politico per il quale l'art. 10 comma 3 Cost. indica come requisito la circostanza che allo straniero sia impedito nel Paese d'origine l'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana;
nel terzo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 16 D.Lgs. 251/2007, dell'art. 8 comma 3 D.Lgs. 25/2008 dell'art. 3 comma 5 D.Lgs. 251/2007 e dell'art. 2697 c.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui il Giudice di secondo grado ha ritenuto che "l'appellante non ha formulato alcuno specifico motivo di appello avverso il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria perché si sarebbe limitato ad una mera riproposizione della stessa in calce al ricorso"; nel quarto, la violazione e falsa applicazione dell'art. 19 D.Lgs. 286/1998 e dell'art. 6 comma 4 Dir CEE 115/2008, nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non avendo il Giudice d'appello riconosciuto al ricorrente il divieto di non refoulement, stante il rischio, ove espatriato, di essere arrestato, sottoposto a tortura ed ucciso senza poter ricevere tutela da parte delle forze dell'ordine locali a causa dell'elevato livello di corruzione esistente in Sierra Leone;
nel quinto, la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 comma 6 D.Lgs. 286/1998 e degli artt. 8 e 32 comma 3 D.Lgs. 25/2008, nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella radicata integrazione lavorativa (fondata su reiterati contratti a tempo determinato) e nella buona conoscenza della lingua italiana, ritenuta insussistente solo per la richiesta di interprete nel giudizio ed invece attestata da certificati plurimi e dallo svolgimento continuativo di vita lavorativa e relazioni sociali.
5. Preliminarmente occorre rilevare l'inammissibilità del primo e del terzo motivo di ricorso, in quanto prospettano censure attinenti al merito essendo dirette a prospettare una valutazione alternativa dei fatti rispetto a quella insindacabilmente svolta nel provvedimento impugnato, peraltro adeguatamente motivato, in relazione alla valutazione di credibilità.
6. Deve essere dichiarata l'infondatezza del secondo motivo di ricorso in ordine al riconoscimento in via autonoma del diritto di asilo politico previsto dall'art. 10 comma 3 Cost.
Alla luce del consolidato orientamento di questa Corte (si richiama Sent. Cass. 10686/2012 e, da ultimo, Sent. Cass. 19176/2020), "Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo "status" di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. n. 251 del 2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all'art. 10, comma 3, Cost., in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all'esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione". In altri termini, la giurisprudenza di legittimità ha chiaramente stabilito che il diritto di asilo costituzionale è pienamente integrato dalle due forme di protezione tipizzate dal D.Lgs. 251/2007 e nella residuale protezione umanitaria, ratione temporis vigente.
7. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il divieto di non refoulement, previsto dall'art. 19 D.Lgs. 286/1998, impone il divieto di espulsione e respingimento per lo straniero che possa essere oggetto di persecuzioni o di trattamenti inumani e degradanti ove rimpatriato nel proprio Paese d'origine. Il ricorrente, in subordine alle forme tipiche di protezione, ha richiesto il riconoscimento di tale divieto, considerato il rischio, ove espatriato, di essere arrestato, sottoposto a tortura ed ucciso senza poter ricevere tutela da parte delle forze dell'ordine locali anche a causa dell'elevato livello di corruzione esistente in Sierra Leone. Tuttavia, il racconto delle sue vicende personali posto a sostegno delle forme tipiche di protezione non è risultato credibile. Ne consegue l'inapplicabilità del divieto in relazione all'esposizione dei rischi individuali paventati.
8. Con riguardo al quinto motivo di ricorso relativo al riconoscimento della protezione umanitaria ex art. 5 comma 6 D.Lgs. 286/1998 deve rilevarsi che il ricorrente ha allegato e provato il livello di integrazione lavorativa e culturale raggiunto in Italia attraverso la produzione di certificati scolastici attestanti una buona padronanza della lingua italiana ed il deposito di un contratto di lavoro a tempo determinato con prosecuzione ininterrotta dal 2018. Questi indici fattuali di riconduzione della condizione di vulnerabilità nell'alveo dell'art. 8 Cedu (diritto alla vita privata) sono stati solo astrattamente considerati dalla Corte d'Appello che ne ha, tuttavia, a pag. 20 escluso qualsiasi rilievo in concreto, nonostante le produzioni documentali ritualmente indicati nel motivo di ricorso. Così facendo il giudice del merito non ha fatto buon governo del recente orientamento espresso dalle S.U. (sentenza n. 24413 del 2021) secondo il quale "In base alla normativa del testo unico sull'immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d'integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, (...) la Corte d'Appello ha invece escluso che pur sulla base degli indici sopraindicati potesse svolgersi una valutazione comparativa, peraltro secondo i criteri indicati dalle S.U., ignorando il rilievo di essi. Al riguardo deve essere rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha, invece, sottolineato sia il peso specifico dell'integrazione lavorativa che delle attività formative (Cass. 7396 del 2021) e da ultimo, ha evidenziato che (Cass. 16369/2022 anche la seria intenzione d'integrazione sociale, desumibile da una pluralità di attività, può rilevare ai fini della protezione umanitaria, quantunque essa non si sia ancora concretizzata in un'attività lavorativa a tempo indeterminato, specie se si consideri che tale obiettivo presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini del paese ospitante.
9. Nei limiti indicati il motivo deve essere accolto e la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari, in diversa composizione, perché si adegui ai principi di diritto sopra indicati e pronunci anche sulle spese processuali della fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivi, accoglie il quinto nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari in diversa composizione perché provveda anche sulle spese processuali del presente giudizio.