Al creditore è riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria, applicabile dal giorno di verificazione dell'evento dannoso, e degli interessi compensativi secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa.
Svolgimento del processo
1. Per quanto qui ancora interessa, con sentenza emessa il 5 ottobre 2010 il Tribunale di Roma, in accoglimento di domanda proposta da G. B. e M. C. nei confronti della Banca Popolare di M. - Gruppo B. soc. coop. a r.l. (di seguito indicata come "Banca Popolare Milano"), condannò la banca a risarcire a dette persone il danno loro derivato dalla sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina, liquidato nella misura pari a complessivi €. 77.522,60, "oltre, dalla data della domanda fino alla pubblicazione della presente sentenza, rivalutazione monetaria, secondo i coefficienti ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e operai, e interessi compensativi del lucro cessante da mancato pagamento, calcolati anno per anno sul valore della somma via via rivalutata, nonché, dalla pubblicazione in avanti e fino al saldo, interessi legali"; ciò, sul rilievo che la banca, intermediaria nella sottoscrizione di tali obbligazioni, ebbe a violare gli specifici obblighi di informazione a essa imposti dall'art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dagli artt. 23 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998.
2. Adita da G. B., in proprio e quale coerede di M. C. (nel frattempo deceduta) e da N. B., quale coerede della stessa C., la Corte di appello di Roma, con sentenza, pubblicata il 22 febbraio 2017, confermò dette statuizioni.
2.1 Questa, in sintesi, e sempre per quanto qui ancora interessa, è la motivazione caratterizzante la sentenza in risposta ai motivi di appello, anche incidentale: quanto alla censura di mancato riconoscimento del lucro cessante da impossibilità di reinvestimento del capitale, la domanda era generica, non essendo sufficiente il riferimento a un investimento in titoli di stato, ma essendo invece necessaria "l'indicazione di concrete differenti occasioni mancate"; in ogni caso, "se gli appellanti avessero realmente risentito di un ulteriore danno per perdite di migliori investimenti/rendimenti per le somme de quo (e la prova comunque non c'è stata), tale danno doveva essere necessariamente compensato con il ricavato conseguibile con il residuo valore dei titoli obbligazionari argentini rimasti in...possesso" degli appellanti, secondo una stima equitativa tenendo conto "sia del fatto che i titoli de quo non risultano annullati del tutto circa possibili e tardive liquidazioni (come notizie di stampa hanno posto in luce con riferimento a transazioni internazionali per i titoli argentini) come pure dell'avvenuta corresponsione di cedole di interesse periodico prima del default ... e questo sul presupposto che, in assenza di pronuncia di risoluzione ex art. 1455 cc, i titoli in questione non dovevano essere necessariamente restituiti alla banca"; la doglianza relativa alla mancata decorrenza di rivalutazione e interessi dalla data dell'acquisto dei titoli (marzo 2000), anziché da quella della domanda giudiziale (novembre 2007), è infondata alla luce del principio affermato da Cass. n. 9338 del 2009, secondo cui la decorrenza degli interessi, sulle somme liquidate a titolo risarcitorio, dalla data del verificarsi del danno vale solo per l'illecito aquiliano, mentre se l'obbligazione risarcitoria deriva da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, atto idoneo a mettere in mora il debitore.
3. G. B., in proprio e quale coerede di M. C., e N. B., quale coerede di M. C., chiedono la cassazione di tale sentenza con ricorso contenente diciassette motivi di impugnazione.
4. La Banco B. s.p.a., dichiarando di agire in nome e nell'interesse della propria mandante Banca Popolare di M. s.p.a., resiste con controricorso, contenente anche ricorso incidentale espressamente condizionato all'accoglimento di taluno dei motivi del ricorso principale, assistito da memoria.
5. Gli intimati G. e N. B. non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1. I motivi da uno a tredici del ricorso riguardano, in buona sostanza, la questione relativa alla determinazione della misura del danno da lucro cessante nel caso di specie; costituito, a dire dei ricorrenti, dalla mancata percezione di rendimenti di titoli di Stato che avrebbero potuto da loro essere sottoscritti in luogo delle obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina.
Per quanto esposto nella sintesi dei contenuti della sentenza impugnata, questa osserva, quanto alla censura di mancato riconoscimento del lucro cessante da impossibilità di reinvestimento del capitale in titoli di Stato, che:
a) la domanda era generica, non essendo sufficiente il riferimento a un investimento in titoli di Stato, ma essendo invece necessaria "l'indicazione di concrete differenti occasioni mancate";
b) in ogni caso, "tale danno doveva essere necessariamente compensato con il ricavato conseguibile con il residuo valore dei titoli obbligazionari argentini rimasti in loro possesso", secondo una stima equitativa tenendo conto "sia del fatto che i titoli de quo non risultano annullati del tutto circa possibili e tardive liquidazioni (come notizie di stampa hanno posto in luce con riferimento a transazioni internazionali per i titoli argentini) come pure dell'avvenuta corresponsione di cedole di interesse periodico prima del default ... e questo sul presupposto che, in assenza di pronuncia di risoluzione ex art. 1455 cc, i titoli in questione non dovevano essere necessariamente restituiti alla banca".
2. Con il dodicesimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia (violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.) su loro domanda consistita nell'eccepire l'irritualità (per violazione degli artt. 190 e 345, terzo comma, cod. proc. civ.) del deposito da parte della banca dei tre documenti, nel ricorso specificamente indicati, avvenuto unitamente al deposito della comparsa conclusionale del giudizio di appello.
3. La censura, per come dedotta, è infondata.
E' costante, infatti, nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione del principio secondo cui il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale (anche dedotta come eccezione pregiudiziale di rito) non può dar luogo a vizio di omessa pronunzia, il quale attiene al mancato esame delle sole domande ed eccezioni di merito, e non può assurgere quindi a C.sa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall'art. 112 cod. proc. civ. (espressamente evocato dai ricorrenti), in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 15613 del 2021; Cass. n. 10422 del 2019; Cass. n. 25154 del 2018; Cass. n. 1876 del 2018; Cass. n. 22083 del 2013; Cass. n. 1701 del 2009; Cass. n. 5482 del 1997).
4. Confermata, conseguentemente, la acquisizione dei documenti di cui trattasi, vanno disattesi anche i motivi nono, decimo e undicesimo, riguardanti la ratio decidendi alla base del rigetto della domanda di riconoscimento di lucro cessante da mancato reinvestimento in titoli di stato del danaro utilizzato per sottoscrivere le obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina: ratio dai ricorrenti censurata sotto il profilo del divieto di scienza privata, di errato ricorso al notorio, di omesso esame di fatto decisivo, mentre qui si tratta di documenti acquisiti agli atti del giudizio di merito.
5. Il consolidamento della seconda ratio decidendi caratterizzante la sentenza impugnata (quella sub b), sintetizzata nel precedente punto 1.) comporta l'assorbimento primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo e tredicesimo motivo del ricorso, in quanto riferiti alla prima ragione della decisione (quella sub a) sintetizzata nel precedente punto 1.).
6. I motivi da quattordici a diciassette del ricorso contengono censure relative al dies a quo di decorrenza della rivalutazione del credito da danno emergente e degli interessi, di natura compensativa del lucro cessante, sulla somma di danaro liquidata a titolo di danno emergente.
7. Con il quattordicesimo motivo si denuncia che la motivazione sul punto caratterizzante la sentenza impugnata è sostanzialmente mancante.
8. La censura è manifestamente infondata; risultando dalla sentenza impugnata affatto chiara la ragione alla base della decisione di conferma della statuizione sul punto propria della sentenza di primo grado; avendo il giudice di appello, in risposta ai motivi di impugnazione (nel ricorso riprodotti) esplicitato motivazione in diritto contrastante con la prospettazione idei ricorrenti, in tal guisa implicitamente disattendendo le argomentazioni in diritto contenute nei motivi di appello.
9. Con il quindicesimo motivo la sentenza è censurata per "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1225 e.e.; falsa applicazione dell'art. 1224 e.e.", avendo la sentenza impugnata, in assenza di risoluzione di contratto e in presenza di accertato inadempimento della banca a obbligazione (di comportamento imposta da norma imperativa) di natura non pecuniaria, confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva fatto decorrere dal giorno della notificazione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado (22 novembre 2007, secondo quanto è indicato nella sentenza impugnata) la rivalutazione del credito da danno emergente e la decorrenza degli interessi compensativi del lucro cessante, anziché dal giorno (2 marzo 2000, secondo quanto è indicato nell'atto di appello parzialmente riprodotto nel ricorso) in cui venne eseguita l'operazione, dannosa, di sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina da parte dei Signori B. e C..
10. Premesso che nessuna censura è mossa dai ricorrenti quanto alla misura della liquidazione, effettuata dalla sentenza di primo grado, del danno loro derivato dal compimento di detta operazione (valore nominale delle obbligazioni diminuito, in ragione della compensazione del lucro con il danno, della misura degli interessi dai ricorrenti percetti su tali obbligazioni dalla loro sottoscrizione fino all'insolvenza della Repubblica Argentina), la sentenza impugnata è sul punto caratterizzata dal, dedotto, errore di diritto.
Invero, a fondamento della propria decisione sul punto la sentenza dichiara espressamente di conformarsi al principio di diritto affermato da Cass. n. 9338 del 2009. secondo cui: «gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell'art. 1219, secondo comma, cod. civ., il debitore del risarcimento del danno è in mora ("mora ex re") dal giorno della consumazione dell'illecito. Invece, se l'obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l'atto idoneo a porre in mora il debitore, siccome la sentenza costitutiva, che pronuncia la risoluzione, produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda».
Tale principio, relativo alla decorrenza degli interessi sul danaro liquidato a titolo di risarcimento del danno da inadempimento a obbligazione nata da contratto di cui sia pronunciata la risoluzione in applicazione dell'art. 1453 cod. civ. (con conseguente effetti retroattivi di tale pronuncia: art. 1458 cod. civ.), è da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità (prima di Cass. n. 9338 del 2009, nello stesso senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 6856 del 1988; Cass. n. 4869 del 1994; Cass. n. 637 del 1996; successivamente alla sentenza del 2009, in senso conforme, cfr.: Cass. n. 6545 del 2016; Cass. n. 20883 del 2019).
Il principio in questione è tuttavia strettamente connesso alla natura (costitutiva, con effetto al momento della proposizione della domanda) della pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento di non scarsa importanza e dei relativi effetti (restituzioni reciproche, con determinazione necessaria del valore di cosa che non possa essere per qualsiasi ragione restituita); con la conseguenza che esso non si attaglia al caso di specie, in cui non è stata pronunciata risoluzione di contratto per inadempimento della banca (dalla sentenza impugnata risulta che la domanda venne rigettata dal Tribunale e tale statuizione non venne appellata).
In tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimità è invece costante nell'affermare che:
a) l'obbligazione di risarcimento del danno per tale tipo di inadempimento costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta nel periodo intercorso fra evento dannoso e liquidazione giudiziale del danno, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ., detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie (in questo senso, cfr.: Cass. n. 1627 del 2022; Cass. n. 7948 del 2020; Cass. n. 9517 del 2002; Cass. n. 11937 del 1997);
b) al creditore in discorso spettano di diritto gli interessi aventi natura compensativa (cfr. Cass. n. 5584 del 1987; Cass. n. 2240 del 1985), secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa (cfr. Cass. 25817 del 2017), che si cumulano con la rivalutazione monetaria, assolvendo funzioni diverse la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata (Cass. n. 9517 del 2002), in quanto la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno e a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l'evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento (dr. Cass. n. 11937 del 2002).
La sentenza impugnata è dunque da cassare perché caratterizzata dall'errore di diritto costituito dall'aver fatto decorrere la rivalutazione del credito secondo gli indici ISTAT del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati e degli interessi compensativi del ritardo nella restituzione del danaro dal giorno di proposizione della domanda giudiziale anziché da quello di verificazione dell'evento (sottoscrizione delle obbligazioni in discorso), per i ricorrenti dannoso, determinato dall'inadempimento della banca alle obbligazioni di informazione di cui al d.lgs. n. 58 del 1998 e al relativo regolamento di attuazione.
11. L'accoglimento del quindicesimo motivo determina l'assorbimento delle successive due censure, relative alla, diversa, indicazione del giorno da cui far decorrere rivalutazione e interessi.
12. Assorbito è anche il ricorso incidentale, in quanto benché proposto alla condizione dell'accoglimento, "totale o parziale", del ricorso principale, la censura con esso formulata riguarda la parte della sentenza di appello (pag. 5) relativa al non accoglimento delle censure dei ricorrenti riguardanti il lucro cessante da mancato reinvestimento in titoli di Stato del danaro da costoro impiegato per la sottoscrizione delle obbligazioni in discorso.
Tale ipotesi non si è però verificata nella specie.
13. In conclusione, la sentenza impugnata è da cassare in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, dovrà riesaminare l'appello dei ricorrenti conformandosi al seguente principio di diritto:
«L'obbligazione di risarcimento del danno cagionato da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore: al relativo creditore è dunque riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria, applicabile dal giorno di verificazione dell'evento dannoso, e degli interessi compensativi secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa»
Al giudice di rinvio è anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
rigetta i motivi nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo del ricorso principale; accoglie il quindicesimo motivo, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale; cassa e rinvia in relazione al motivo accolto alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui rimette anche la decisione sulle spese del presente giudizio.