La Cassazione risponde al quesito affermando un nuovo principio di diritto.
In un giudizio avente ad oggetto la condanna per una pluralità di reati, tra cui quello di associazione finalizzata alla tratta e riduzione in schiavitù di giovani, anche minorenni, nigeriane da avviare alla prostituzione, gli imputati ricorrono in Cassazione denunciando, tra i motivi di doglianza, la violazione di legge nella commisurazione della pena. Nello...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 settembre 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia aveva dichiarato:
- L.W., D. M., K.E., K.O. e B.O.U. colpevoli di partecipazione, E. con ruolo direttivo, ad associazione finalizzata alla tratta e riduzione in schiavitù di giovani, anche minorenni, nigeriane da avviare alla prostituzione (capo A);
- L.W., D. M., K.E., K.O. e B.O.U. colpevoli della tratta nel territorio dello Stato italiano di cinque donne nigeriane, tra le quali una minore di età, al fine di ridurle in schiavitù e avviarle alla prostituzione (capo B);
- L.E., D.M. e K.E. colpevoli di concorso nella riduzione in schiavitù di tre giovani donne nigeriane, avviate alla prostituzione della quale i tre imputati facevano sfruttamento (capo C).
Fatti commessi in Verona, sino al luglio 2018.
Con sentenza in data 23 giugno 2020 la Corte di assise di appello di Venezia ha riformato la sentenza di primo grado solo con riguardo al trattamento sanzionatorio nei confronti di K.O., con conferma nel resto.
Le indagini svolte a seguito dell'allontanamento, nel gennaio 2017, da una comunità di accoglienza in Palermo di una immigrata nigeriana minorenne, L.E., consentivano di accertare che la stessa era giunta a Bologna, da dove si era diretta, assieme a D.M., a Verona.
Veniva quindi accertato, mediante controllo del traffico telefonico e servizi di appostamento, che la minore era domiciliata in Verona, via (omissis), dove vivevano anche altra giovane nigeriana L.E., chiamata A., L.E., il di lei marito K.E..
Si accertava che L.E., chiamata N. e la giovane A., come altra giovane chiamata V. e pure sotto il controllo delle medesime persone, esercitavano il meretricio.
Dalle captazioni emergeva che le giovano consegnavano i guadagni dell'attività di prostituzione a L.E., e ciò al fine di pagare il prezzo per riottenere la propria libertà.
D.M., pure domiciliato nell'appartamento di via (omissis), collaborava con L.E. nel controllare le giovani prostitute, che a lui si rivolgevano per tutte le necessità.
Veniva accertato anche il coinvolgimento di D.M., e delle persone a lui collegate, nell'acquisizione di altra giovane, identificata in R.G., chiamata S., e di altra giovane, non identificata, che il gruppo aveva fatto partire dalla Nigeria e quindi, una volta giunte in Italia e alloggiate presso una comunità di accoglienza, si era attivato per farle arrivare a Verona.
Veniva anche accertato il ruolo di K.O., che assicurava sostegno finanziario erogando, ove necessario, prestiti in denaro.
Il gruppo aveva a disposizione anche altro appartamento, sito in via (omissis), dove viveva B.O.U., la quale aveva poi ammesso di aver ospitato, su richiesta della E., le ragazze chiamate J. ed A., esercenti la prostituzione, che le versavano il compenso per l'affitto della camera e le spese ordinarie.
D.M. aveva ammesso di conoscere la coppia E. – E., di essersi prestato ad andare a prendere alcune ragazze e di aver anche da essere raccolto denaro destinato alla E., di aver, infine, appreso che le ragazze pagavano per riottenere la propria libertà.
Si era poi proceduto alla assunzione, con incidente probatorio, della testimonianza di L.E., R.G. e E.L., le quali avevano riferito di essersi impegnate, prima della partenza dalla Nigeria, al versamento della somma di € 25.000, promessa fatta con le forme di un giuramento rituale; avevano descritto il viaggio compiuto, in Italia, per raggiungere Verona utilizzando riferimenti che a loro erano stati dati sin dal momento della partenza dalla Nigeria; la successiva attività di prostituzione e la condizione di soggezione e sfruttamento cui erano sottoposte; avevano, infine, riconosciuto gli imputati come le persone, con diversi ruoli, coinvolte nella loro vicenda.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di L.E., D.M., K.E. e B.O.U., chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza.
L.E.
Con l'unico motivo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio sulla sussistenza dell'associazione, risultando gli imputati privi di collegamenti tra loro, e sulla partecipazione della ricorrente, che, essendo stata in passato dedita alla prostituzione, era solo intermediaria, senza alcuna volontà di aderire a sodalizio e senza alcun ruolo nella fase del reclutamento delle giovani, che avevano sempre mantenuto la condizione libera.
Insussistenti, quindi, erano anche le accuse di cui ai capi B e C, come le aggravanti contestate.
La pena inflitta generica era eccessiva, dovendosi riconoscere le attenuanti
D.M..
Con il primo motivo viene denunciato il difetto di motivazione del giudizio di colpevolezza in ordine ai reati di cui ai capi A, B e C.
Quanto al reato associativo, la motivazione non aveva affrontato il tema del ruolo svolto dal ricorrente, né degli utili che ne avrebbe conseguito, tenuto anche conto che l'unico soggetto di nazionalità diversa da quella nigeriana. L'imputato aveva agito in un ristretto arco temporale, per cortesia senza lucrare utili, non aveva condiviso alcun programma criminoso.
Le sue interlocuzioni, oggetto di captazione, erano significative di una tendenza alla millanteria.
Quanto ai reati di cui ai capi B e C, la sentenza non aveva considerato il ruolo secondario e marginale del ricorrente, che si era limitato ad attività di trasporto di cortesia, senza alcun utile personale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione della legge penale in relazione al capo C, da qualificare come delitto di sfruttamento della prostituzione.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione della legge penale, in quanto, a fronte del giudizio di comparazione tra circostanze operato dal primo giudice, in violazione dell'art. 602-ter cod. pen. che non consente il bilanciamento, la difesa aveva chiesto la riduzione della pena per le attenuanti generiche, ma il secondo giudice aveva confermato la pena inflitta.
K.E..
Con il primo motivo viene denunciato il difetto di motivazione del giudizio di colpevolezza in ordine ai reati di cui ai capi A, B e C.
Quanto al reato associativo, la motivazione non aveva affrontato il tema del ruolo svolto dal ricorrente, né degli utili che ne avrebbe conseguito, tenuto anche conto che l'unico soggetto di nazionalità diversa da quella nigeriana. L'imputato aveva agito in un ristretto arco temporale, per cortesia senza lucrare utili, non aveva condiviso alcun programma criminoso.
Le sue interlocuzioni, oggetto di captazione, erano significative di una tendenza alla millanteria.
Quanto ai reati di cui ai capi B e C, la sentenza non aveva considerato il ruolo secondario e marginale del ricorrente, che si era limitato ad attività di trasporto di cortesia, senza alcun utile personale.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione della legge penale, in quanto, a fronte del giudizio di comparazione tra circostanze operato dal primo giudice, in violazione dell'art. 602-ter cod. pen. che non consente Il bilanciamento, la difesa aveva chiesto la riduzione della pena per le attenuanti generiche, ma il secondo giudice aveva confermato la pena inflitta.
B.O.U.
Con il primo motivo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio in ordine al capo A con particolare riguardo all'elemento soggettivo del reato.
La sentenza impugnata aveva valorizzato una conversazione, intercorsa nel marzo 2018 tra la E. e la U., dal contenuto generico in relazione alla fattispecie associativa, e non aveva indicato alcun elemento significativo della consapevolezza, in capo alla ricorrente, della struttura soggettiva del sodalizio.
Con il secondo motivo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio relativo al capo B, fondato su una captazione ben successiva rispetto al fatto.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione di legge in relazione all'aggravante della minore età della persona offesa L., minorenne al momento dell'ingresso in Italia, ma maggiorenne nel momento in cui la ricorrente era intervenuta.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione della legge penale, in quanto, a fronte del giudizio di comparazione tra circostanze operato dal primo giudice, in violazione dell'art. 602-ter cod. pen. che non consente il bilanciamento, la difesa aveva chiesto la riduzione della pena per le attenuanti generiche, ma il secondo giudice aveva confermato la pena inflitta.
3. Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso proposti in relazione all'affermazione di penale responsabilità sono generici e con contenuto di merito.
1.1. Con riguardo alla condanna per il capo A, le sentenze di merito hanno fondato il giudizio sulle dichiarazioni delle persone offese, confermate dalle intercettazioni, prove significative del fatto che agli imputati faceva capo una rete organizzativa in grado di indirizzare, in Nigeria, giovani al giuramento voodoo e quindi di trasferirle in Italia, dove raggiungevano Verona per mettersi a disposizione di L.E.
Le prove avevano dato contezza anche delle condotte tenute da ciascun imputato, idonee a descrivere l'assunzione, da parte di ciascuno, di uno specifico ruolo associativo, e dei dati, desumibili in particolare dal compendio captativo, relativi alla consapevolezza di ciascuno di operare all'interno di una rete organizzata e di contribuire al raggiungimento dei fini perseguiti dal gruppo.
L'unico motivo della difesa di L.E., in parte qua (pagine 1-3), ha proposto considerazioni attinenti al merito della decisione, sostenendo che non era sussistente alcuna associazione per delinquere e che, comunque, l'imputata aveva operato individualmente senza collegamenti con altri soggetti.
Viene dunque proposta una alternativa ricostruzione dei fatti, senza alcuna critica rivolta alla struttura della motivazione e dunque al di là dei limiti entro i quali è consentito il controllo sulla motivazione nel giudizio di legittimità.
Il primo motivo del ricorso del difensore di D.M. articola la censura motivazionale su due dati di fatto alternativi rispetto alla ricostruzione operata dai giudici del merito: la circostanza che i viaggi compiuti dal M. per accompagnare a Verona le ragazze fossero stati compiuti a titolo di "mera cortesia" verso L.E. e il fatto che il contenuto delle interlocuzioni oggetto di captazione non fosse corrispondete al reale, ma frutto di millanteria del M..
Anche questo motivo, dunque, si risolve nella prospettazione di argomenti di merito, al di là dei limiti entro i quali è consentito il sindacato motivazionale.
Il ricorso del difensore di K.E. si limita a sostenere che l'assunto relativo alla "costante disponibilità" e al "fattivo apporto al consolidamento della stessa struttura associativa" sarebbe stato solo apoditticamente affermato, ma non si confronta con la specifica motivazione data dalla sentenza di appello, che ha valorizzato una conversazione telefonica oggetto di intercettazione, la presenza dell'imputato all'interno dell'appartamento, il suo intervento, in sostituzione della moglie, nella riscossione del denaro dalle vittime.
Il motivo di ricorso, sul punto, risulta dunque generico.
Il ricorso del difensore di B.O.U. riconosce che il giudizio sull'elemento oggettivo del reato è motivato, e censura la motivazione relativa alla consapevolezza della struttura organizzativa del sodalizio.
Sul punto, peraltro, la difesa non si confronta con l'assunto svolto dalla sentenza di appello, secondo la quale dalle interlocuzioni tra l'imputata e L.E. era desumibile la consapevolezza in capo alla prima dell'esistenza di una rete organizzativa diretta dalla Edward, così che diveniva dato non rilevante l'assenza di rapporti diretti tra la ricorrente e i sodali diversi dalla E..
La difesa ha riproposto il dato storico dell'assenza di contatti tra la ricorrente e gli altri imputati, argomento cui la sentenza impugnata ha risposto, evidenziando, con motivazione che sfugge al sindacato consentito in questa sede, che dalle interlocuzioni che vedevano protagonista la ricorrente era desumibile la piena consapevolezza della complessità dell'attività associativa e quindi dell'esistenza di una articolata struttura organizzativa.
Il ricorso risulta dunque generico.
1.2. La condanna per il delitto di tratta di cinque giovani nigeriane (capo B) è stata fondata sulle dichiarazioni delle persone offese, riscontrate dal contenuto di diverse intercettazioni.
Il difensore di L.E. ha contenuto di merito, in quanto procede direttamente ad una ri-lettura del compendio dichiarativo disponibile per sostenere una diversa ricostruzione del fatto, in una prospettiva che è estranea al sindacato motivazionale consentito nel giudizio di legittimità.
Il ricorso del difensore di D.M. ha contenuto di merito, in quanto ripropone l'argomento secondo il quale la posizione gregaria rispetto a Lilian Edward era significativa di estraneità al fatto, deduzione cui la sentenza impugnata ha risposto evidenziando (alla pagina 23) il contenuto confessorio di dichiarazioni di M., oggetto di captazione.
Il ricorso del difensore di K.E. è, sul punto, generico, in quanto privo di un confronto con lo specifico passaggio motivazionale della sentenza impugnata, che, sul punto, ha evidenziato la consapevolezza dell'uomo circa la complessità delle azioni criminostfunzionali al reclutamento di giovani da avviare alla prostituzione e la condivisione attiva del relativo piano criminoso.
Anche il ricorso del difensore di B.O.U. è generico, in quanto si limita a sostenere assenza di motivazione del giudizio sul fatto tipico e sul dolo specifico, punti in ordine ai quali il secondo giudice ha richiamato le dichiarazioni delle persone offese e le captazioni, significative della piena consapevolezza delle modalità con le quali le giovani erano state condotte in Italia.
La sussistenza della circostanza aggravante della minore età di una delle vittime è oggetto di censura da parte delle difese di L.E. e B.O.U..
I ricorsi sono, sul punto, manifestamente infondati.
Infatti, è pacifico che la persona offesa E.L. era ancora minorenne quando aveva fatto ingresso in Italia, nell'anno 2016, e dunque a tale data va rapportata l'aggravante, e non alla successiva data nella quale la vittima era venuta a contatto diretto con taluni concorrenti nel reato.
1.3. Anche il giudizio sulla condizione di schiavitù nella quale erano state ridotte (capo C) le giovani nigeriane è stato fondato sul compendio dichiarativo proveniente dalle vittime e dall'attività captativa.
Il ricorso del difensore di L.E. ha contenuto di merito, in quanto argomenta l'affermazione secondo la quale le giovani nigeriane erano libere di autodeterminarsi, sia per la scelta del luogo dove vivere che in ordine all'attività svolta che, infine, in ordine alla dazione di denaro alla E..
Argomentazione attinente al merito, e dunque estranea al sindacato motivazionale consentito nel giudizio di legittimità.
I ricorsi dei difensori di D.M. ed K.E. sono generici, in quanto deducono in ordine all'assenza di un effettivo vincolo di coercizione a carico delle vittime, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che ha valorizzato alcune captazioni nelle quali gli stessi ricorrenti avevano riconosciuto la condizione di totale sottomissione in cui vivevano le giovani nigeriane.
Il ricorso del difensore di D.M. ha ripreso, al secondo motivo, la deduzione relativa alla qualificazione del fatto come delitto di sfruttamento della prostituzione.
Il motivo è manifestamente infondato.
Il secondo giudice ha evidenziato che M., attivandosi sin dalla sottoposizione delle giovani al rito voodoo, non si era limitato a conseguire un profitto economico dal meretricio, ma aveva concorso sia nella tratta che nella riduzione in schiavitù.
Il ricorso ha dedotto che, invece, il rito voodoo sarebbe assimilabile alla forma di un negozio obbligatorio, liberamente assunto e liberamente adempiuto.
Argomento che non considera la reale funzione del rito, che, congruamente con il contesto culturale dei protagonisti, priva l'obbligato dalla facoltà di recedere da un contratto a causa illecita.
2. I ricorsi censurano anche il trattamento sanzionatorio.
2.1. Il ricorso del difensore di L.E. sostiene che la pena inflitta era eccessiva e che dovevano essere riconosciute le attenuanti generiche, vuoi per l'incensuratezza vuoi per la scelta del rito abbreviato.
Si tratta di argomenti di merito, che non propongono censure alla struttura della motivazione con cui il secondo giudice, evidenziando il ruolo direttivo dell'imputata, ha giustificato il diniego.
2.2. I ricorsi presentati nell'interesse di D.M., K.E. e B.O.U. denunciano violazione di legge nella commisurazione della pena.
In particolare, le difese, premesso che ai menzionati ricorrenti erano state riconosciute le attenuanti generiche e che il primo giudice, ritenuto più grave il capo B, aveva operato il bilanciamento tra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante speciale in termini di equivalenza, hanno denunciato la violazione dell'art. 602-ter cod. pen. da parte del secondo giudice che aveva respinto la richiesta di riduzione della pena per le attenuanti generiche.
Sul punto, la sentenza impugnata ha rilevato che il primo giudice, procedendo al giudizio di comparazione tra le circostanze aveva violato l'art. 602-ter cod. pen. che, nel caso specifico, lo vieta, e ha dedotto che alla diminuzione per le attenuanti generiche, chiesta dalle difese, non si poteva procedere in quanto il primo giudice, seppur con valutazione sostanziale, aveva già tenuto conto delle attenuanti generiche neutralizzando l'effetto sanzionatorio della circostanza aggravante.
Il motivo di ricorso è fondato.
Innanzitutto, si deve rilevare l'interesse al ricorso delle parti.
Infatti, l'errore di diritto compiuto dal primo giudice, che, in violazione dell'art., 602-ter, comma nono, cod. pen., ha proceduto al giudizio di comparazione, non è sicuramente in favorem rei, in quanto, ove si fosse proceduto all'aumento minimo per le aggravanti e alla diminuzione massima per le attenuanti generiche, la pena per il capo B sarebbe risultata inferiore alla pena di anni otto di reclusione ritenuta dai giudici del merito.
La questione di diritto posta dalle difese, che avevano reclamato la diminuzione di pena per le attenuanti generiche, è fondata.
Posto che il mancato aumento di pena per le circostanze aggravanti speciali non era emendabile, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, dal secondo giudice, questi doveva prendere atto che le difese, invece, avevano impugnato la mancata diminuzione di pena per le attenuanti generiche e a tale diminuzione, secondo i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., avrebbe dovuto procedere.
In giurisprudenza si è già affermato il principio secondo il quale, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, non è consentito operare una sorta di compensazione tra un errore in favorem rei, non impugnato, e altro errore, contra reum, oggetto di impugnazione, ma si deve procedere all'eliminazione dell'errore di diritto oggetto di impugnazione (Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, ACQUISTAPACE, Rv. 280539).
Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "Nel caso in cui il giudice di primo grado abbia, in violazione di legge, operato il bilanciamento tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, il giudice di appello, cui sia devoluta, solo dalla difesa, la violazione di legge per la mancata diminuzione della pena per le circostanze attenuanti, ad essa deve procedere".
3. Va dunque dichiarata la inammissibilità del ricorso presentato dal difensore di Lilian Edward, con conseguente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in euro tremila.
Va pronunciato annullamento della sentenza impugnata nei confronti di M.D., E.K. e B.O.U. limitatamente alla determinazione della pena, rinvio- per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia.
Il giudice del rinvio deve procedere a nuova determinazione del trattamento sanzionatorio applicando il principio di diritto enunciato al punto 2.2.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.D., E.K. e U.B.O. limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Dichiara inammissibile il ricorso di E.L., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.