L'imputato afferma di avere offerto un passaggio alla giovane studentessa ferma alla fermata dell'autobus una sola volta, ma ignora che i quotidiani appostamenti sul luogo avevano senza dubbio turbato, oltre che spaventato, la giovane.
Il Tribunale di Chieti dichiarava responsabile l'imputato per il reato di molestia di cui all'
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso in Cassazione,...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Chieti in composizione monocratica ha dichiarato B.D.P. responsabile del reato di cui all'art. 660 cod. pen., così riqualificato il fatto originariamente contestato come atti persecutori ai sensi dell'art. 612- bis cod. pen., e lo ha condannato alla pena di mesi tre di arresto, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, D.P..
2.1. Col primo motivo deduce violazione degli artt. 129 cod. proc. pen. e 660 cod. pen.
Rileva il difensore che dall'istruttoria espletata è emerso che D.P. si offrì di accompagnare F.C., che si trovava in attesa alla fermata di un autobus, in una sola occasione, invitandola a salire sulla propria auto e, ottenuto il rifiuto, seguì il percorso del mezzo fino alla città di destinazione. Tale unica condotta non lede il bene giuridico della tranquillità pubblica e, in ogni caso, non è assistita dall'elemento psicologico, essendo ispirata non da finalità criminali, bensì da spirito di cortesia.
2.2. Col secondo motivo deduca la violazione dell'art. 62 bis cod. pen.
Il Tribunale ha ancorato il diniego delle circostanze attenuanti generiche sul dato della mancata partecipazione al giudizio, facoltà invece riservata all'imputato dalla quale non può farsi discendere alcuna conseguenza negativa.
2.3. Con conclusioni scritte la difesa ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha prospettato l'inammissibilità del ricorso.
4. La parte civile ha depositato conclusioni scritte, sollecitando il rigetto del ricorso e segnalando l'ammissione della persona offesa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso svolge censure manifestamente infondate ed è, dunque, inammissibile.
2. E' manifestamente infondato il primo motivo di ricorso.
Il reato di cui all'art. 660 cod. pen. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o molestia purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, dep. 2014, Moresco, Rv. 258260; Sez. 1 n. 19631 del 12/06/2018, dep. 2019, Papagni, Rv. :276309). La fattispecie contravvenzionale è, dunque, integrata da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a determinare l'altrui molestia ed è connotata sotto il profilo obiettivo, dall'effetto di importunare e dalla produzione di disturbo o di fastidio in conseguenza dell'interferenza nell'altrui sfera privata o nell'altrui vita di relazione.
Ciò premesso, nel caso di specie, il Tribunale ha adeguatamente valutato la parola della persona offesa F.C., da cui - diversamente da quanto affermato nel ricorso - è emerso che il ricorrente aveva realizzato una pluralità di condotte moleste, consistenti in quotidiani appostamenti presso la fermata dove la giovane attendeva l'autobus per raggiungere la scuola, mentre in una sola occasione si era offerto di darle un passaggio in auto.
Si è trattato di condotte che hanno certamente disturbato, alterando le normali condizioni di tranquillità della giovane attraverso un'azione impertinente, indiscreta, invadente, riconducibile nella nozione di petulanza. Di tanto il Tribunale ha dato adeguatamente conto, con motivazione articolata e puntuale, ponendo in stretto collegamento i principi giurisprudenziali richiamati in sentenza con le dichiarazioni testimoniali della persona offesa e di sua madre, non mancando di evidenziare il dato, da tali prove emerso, del timore della giovane che aveva dovuto cambiare autobus per evitare di essere seguita, chiedere che un familiare l'accompagnasse alla fermata e, alle compagne di scuola, di non lasciarla sola nelle occasioni in cui vedeva l'imputato.
Sono manifestamente infondati anche gli argomenti spesi per contestare l'affermazione di responsabilità del ricorrente sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, che va identificato nella coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza dell'oggettiva idoneità di quest'ultima a molestare o disturbare il soggetto che la subisce, senza che possa rilevare, siccome pertinente alla sfera dei motivi dell'agire, l'eventuale convinzione della gente di operare per un fine non biasimevole o, addirittura, per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 4053 del 12/12/2003, dep. 2004, Rota, Rv. 226992; Sez. 1, n. 33267 del 11/6/2013, Saggiamo, Rv. 256992; Sez. 1, n. 50381 del 7/6/2018, Vidoni, Rv. 274537).
Il ricorrente si appostò reiteratamente nei pressi del luogo frequentato dalla persona offesa, sicché tale condotta è del tutto incompatibile con l'invocato spirito di cortesia, comunque irrilevante alla luce del principio appena richiamato.
4. Non merita, infine, considerazione il secondo motivo.
Al riguardo basti rilevare che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art.
133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269- 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899--01).
A tale principio la Corte di merito si è attenuta, avendo negato il beneficio non già sulla scorta della circostanza della mancata partecipazione all'udienza, bensì sulla mancata introduzione da parte del ricorrente di elementi utili valutabili in suo favore.
5. Ineludibile la declaratoria d'inammissibilità del ricorso, cui consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sentenza n. 186 del 2000) - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
Quanto al regolamento delle spese del grado relativamente alla posizione della parte civile F.C., che ha svolto attività processuale in questa sede, le stesse vanno poste a carico dell'imputato, soccombente rispetto all'azione civile proposta nei suoi confronti, e destinate in favore dello Stato, avendo la suddetta parte civile dato atto di essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato medesimo.
Questa Corte deve limitarsi, tuttavia, a una condanna generica, in ossequio al principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui «in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre è poi rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.» (Sez. U, 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, Rv. 277760 - 01).
In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile F.C., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dal Tribunale di Chieti con separato decreto di pagamento ai sensi degli art. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.