Dibattendo sugli effetti della sentenza della Consulta n. 87 del 2017, gli Ermellini hanno pronunciato un nuovo principio di diritto in tema.
Svolgimento del processo
Nel giugno del 2012 S. P., premesso di essere proprietaria dell'immobile sito in (omissis), via (omissis), n. 13, piano quarto, concesso in locazione per uso abitativo a C. D., con contratto del 13 aprile 2011, registrato il 17 febbraio 2012 (così nella sentenza impugnata; entrambe le parti, nei loro scritti in questa sede, indicano talvolta il 12 febbraio 2012 e talaltra il 17 febbraio 2012 come data di registrazione, il che trova la sua spiegazione nel fatto che entrambe le parti hanno provveduto alla registrazione del contratto, prima il conduttore e poi la locatrice, e ciò risulta incontestato tra le parti, v. rispettivi atti difensivi in questa sede), per il canone mensile di euro 700,00, intimò al D. e alla sua compagna Nicolina Zinna, "in qualità di occupante", sfratto per morosità, deducendo che da febbraio 2012 a giugno 2012 (data della notifica dell'intimazione di sfratto) il conduttore aveva corrisposto solo acconti per l'importo complessivo di euro 452,00 e contestualmente li citò innanzi al Tribunale di Palermo per la convalida e i conseguenti provvedimenti.
I convenuti si costituirono opponendosi allo sfratto e sostennero che doveva applicarsi nel caso di specie l'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011 e che il rapporto negoziale doveva ritenersi regolato dal verbale dell'Agenzia delle Entrate del 15 febbraio 2012.
Il Tribunale adito sollevò la questione di legittimità costituzionale delle norme invocate dai convenuti, che venne decisa dalla Consulta con la sentenza n. 50 del 14 marzo 2014, che dichiarò l'incostituzionalità delle norme in parola.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 5561/2015 del 16 ottobre 2015, diede atto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 169 del 16 luglio 2015 aveva, altresì, dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 5, comma 1-ter del d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con la legge 23 maggio 2014, n. 80 (che aveva fatto salvi fino al 31 dicembre 2015 gli effetti prodotti sui rapporti giuridici sorti sulla base di contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9,del d.lgs. n. 23 del 2011); rilevò che il contratto di locazione alla data di introduzione del giudizio (giugno 2012) era stato registrato (come da timbro dell'Agenzia delle Entrate del 17 febbraio 2012), sicché la domanda era fondata su un valido titolo contrattuale; evidenziò che il conduttore aveva incentrato la linea difensiva sull'applicabilità dell'art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. 23 del 2011, norme poi dichiarate incostituzionali, aveva ammesso di aver corrisposto dalla data della stipula del contratto fino a febbraio 2012 il canone pattuito di euro 700,00 mensili e di averne poi ridotto l'importo ad euro 113,00 mensili, «in aderenza alle istruzioni dell'Agenzia delle Entrate susseguenti la registrazione del 15 febbraio 2012»; ritenne, quindi, che il D. avesse illegittimamente autoridotto il canone, il che costituiva grave inadempimento lesivo del vincolo sinallagmatico costituito tra le parti. Pertanto, quel Tribunale, con la già richiamata sentenza, dichiarò risolto per inadempimento del conduttore il contratto di locazione in questione ma non dispose nulla in ordine al rilascio, avendo il conduttore spontaneamente rilasciato l'immobile in data 24 ottobre 2014 (v. sentenza impugnata p. 5).
Avverso tale decisione C. D. propose appello, del quale la P. chiese il rigetto.
La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 24 maggio 2018, rigettò il gravame e condannò l'appellante alle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito C. D. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria.
S. P. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 33653/21, depositata in data 11 novembre 2021, considerato che la controricorrente ha rappresentato che è stato iscritto altro ricorso, avente NRG 9917/2020, proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 2260/2020, resa tra le stesse parti, e ritenute sussistenti ragioni per la trattazione congiunta dei predetti ricorsi in pubblica udienza, è stato disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo in pubblica udienza.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, concludendo, in via preliminare, per la riunione con il ricorso NRG 9917/2020 e, nel merito, per il rigetto del ricorso nonché, in via subordinata, perché sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, come sostituito dall'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
La controricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Va inoltre evidenziato che, con ricorso del 28 ottobre 2015, S. P., premesso di aver concesso in locazione a C. D. l'appartamento _già indicato, con contratto del 13 aprile 2011, per 11 canone mensile d1 euro 700,00, dedusse che il conduttore aveva / \ autoridotto l'importo del canone mensile ad euro 113,00, a partire dal 1° marzo 2012, che dal mese di marzo 2014 aveva sospeso anche il pagamento della minor somma appena indicata e che in data 25 ottobre 2014 aveva rilasciato l'immobile, chiese al Tribunale di Palermo ed ottenne l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti del D. per l'importo complessivo di euro 20.909, 26, comprensivo di euro 1.221,26 per il mancato pagamento di oneri condominiali certificati dall'amministratore del condominio.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 2024/2017, rigettò l'opposizione proposta avverso il già richiamato decreto ingiuntivo dal D., il quale aveva dedotto che la somma di euro 113,00 era stata determinata sulla base dell'art. 3 del d.lgs. n. 32 del 2011, i cui effetti, nonostante la norma fosse stata successivamente dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 50/2014, erano stati ripristinati poi dal d.l. n. 47 del 2015. A fondamento della sua decisione il Giudice adito evidenziò che: a) con sentenza n. 5561/15 resa tra le stesse parti, quel medesimo Tribunale aveva dichiarato risolto il contratto di locazione inter partes per grave inadempimento del conduttore, risultato moroso nel pagamento dei canoni maturati da febbraio 2012 all'ottobre 2014, quantificati in euro 700,00 mensili, e aveva ritenuto illegittima l'autoriduzione del canone operata dal conduttore sulla base di una normativa poi dichiarata incostituzionale, sicché l'inadempimento o comunque l'autoriduzione del canone erano illegittimi e imputabili al conduttore; b) risultava comprovato il mancato pagamento dei canoni indicati nel ricorso per d.i. e e) l'opponente non aveva fornito la prova contraria.
Il gravame avverso la sentenza di primo grado, al quale si oppose la P., co_n sentenza n. 2260/2019, pubblicata il 10 dicembre 2019, J venne parzialmente accolto dalla Corte di appello di Palermo che, in (} V parziale riforma della sentenza impugnata, revocò il d.i. opposto e condannò il D. al pagamento, in favore della P., della somma di euro 2.125,26, oltre interessi legali dalle date di scadenza dei singoli pagamenti al saldo nonché alla metà delle spese del primo e del secondo grado del giudizio di merito, compensando la restante metà.
Avverso tale sentenza S. P. ha proposto ricorso per cassazione (NRG 9917/2020), basato su tre motivi e illustrato da memoria.
C. D. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta concludendo, in via preliminare, per la riunione con il ricorso N.R.G. 20796/2018, nel merito, per l'accoglimento del ricorso e, in via subordinata, perché sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, come sostituito dall'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
I due predetti ricorsi sono stati fissati entrambi per la trattazione all'odierna udienza pubblica e sono stati trattati in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dall'art. 23, comma 8-bis, del decreto legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto tempestiva e rituale richiesta di discussione orale (l'istanza di discussione orale proposta dal difensore del ricorrente D., con riferimento al ricorso NRG 20796/2018, è stata ritenuta tardiva dal Presidente del Collegio).
Motivi della decisione
1. Il Collegio preliminarmente dà atto della intervenuta riunione - disposta con separata e coeva ordinanza - del ricorso NRG 9917/2020 al ricorso iscritto al NRG 20796/2018.
Ricorso NRG 20796/2018
2. Con il primo motivo, denunciando «Violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. », il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in quanto il petitum di cui all'intimazione di sfratto e il thema decidendum della sentenza di primo grado avrebbero riguardato la risoluzione per grave inadempimento del contratto stipulato tra le parti con riferimento all'asserito inadempimento dei soli canoni di locazione febbraio 2012 - giugno 2012, ridotti in base alla sopra richiamata norma poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 50 del 1014, cui era seguita l'ulteriore sentenza di quella Corte n. 169 del 2015, mentre nessuna domanda e nessuna eccezione sarebbero state proposte in relazione alla diversa obbligazione di pagamento dei canoni di locazione inerenti alle mensilità marzo 2014 - ottobre 2014.
Ciò si evincerebbe: a) dalla sentenza di primo grado con cui è stato risolto il contratto per grave inadempimento dell'obbligo di pagamento di quattro mensilità (febbraio 2012 - giugno 2012), b) dalla circostanza che il Tribunale ha compensato le spese di primo grado, il che non sarebbe avvenuto se fosse stato scrutinato anche l'inadempimento dell'obbligazione relativa ai canoni successivi (marzo 2014 - ottobre 2014), c) dalla circostanza pacifica tra le parti che la locatrice ha proposto autonoma azione di recupero del credito relativo ai canoni da ultimo indicati, decisa con sentenza del Tribunale di Palermo n. 2024 depositata il 24 aprile 2017, appellata e pendente alla data della presentazione del ricorso in esame.
Anche a voler accedere alla tesi contraria a quella dedotta, sostiene il ricorrente che la diversa azione di cui al punto c) che precede integrerebbe un abuso del diritto in violazione del principio di cui alle SU n. 4090/17.
3. Il secondo motivo è così rubricato: «Omesso esame di un fatto decisivo in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.. Violazione dell'art. 1218 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. ».
Con tale mezzo il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso qualsiasi pronuncia in ordine al motivo contrassegnato con il n. 1 dell'atto di appello; il ricorrente avrebbe dedotto l'assenza dell'elemento soggettivo della colpa addebitata con la pronuncia di risoluzione per grave inadempimento, alla luce dei principi di diritto enunciati da Corte Cost. 71/2009 e Cass. 7/10/2015 n. 20100. Ad avviso del ricorrente, la questione atterrebbe al rapporto tra retroattività delle sentenze della Corte Costituzionale e il rapporto contrattuale dedotto in giudizio; la Corte di merito, quindi, avrebbe erroneamente non solo omesso una pronuncia su un punto decisivo della controversia ma avrebbe anche scrutinato una questione - l'inadempimento per il periodo marzo 2014-ottobre 2014 - oggetto di altro e diverso procedimento.
4. Con il terzo motivo, rubricato «Violazione dell'art. 13 comma V legge n. 431/1998 in relazione all'art. 360 n. 3 cpc», il ricorrente sostiene che, pur nell'ipotesi in cui si volesse disattendere il secondo motivo, la Corte di merito avrebbe errato nel non applicare la disciplina di cui alla norma indicata nella rubrica, che così dispone: «5. Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato».
Rappresenta il ricorrente che, in linea con quanto disposto dall'art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. 23 del 2011 "prorogati" dall'art. 5 comma 1- ter del d.l. 47 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014, aveva versato la somma di euro 113,00 a titolo di canoni mensili nei mesi di febbraio 2012 - giugno 2012, come da verbale dell'Agenzia delle Entrate, sicché non sussisteva alcun suo grave inadempimento.
5. Il primo motivo del ricorso proposto da C. D. è fondato. Vi si svolge una censura che suppone che la sentenza di appello abbia omesso di pronunciare sul rilievo che la domanda di risoluzione del contratto sottesa all'azione di sfratto era basata sulla morosità per i canoni di locazione febbraio 2012-giugno 2012, in quanto corrisposti in misura ridotta in base alla normativa poi dichiarata incostituzionale. In sostanza si lamenta che la Corte territoriale avrebbe dovuto giudicare della fondatezza dell'azione di risoluzione solo con riferimento all'inadempimento dedotto sotto il profilo dell'autoriduzione, mentre ha dato rilievo alla morosità (totale) relativa al 2014, cioè a periodi successivi a quello che era stato posto a base dell'azione.
Ora, la sentenza impugnata parrebbe (pag. 6, terza proposizione) avere giudicato sul motivo di appello dando rilievo alla logica della questione più liquida, cioè reputando che, indipendentemente dal problema della sussistenza della morosità originariamente dedotta discendente dall'autoriduzione (ed indipendentemente dalla questione, pure agitata con il motivo di appello, della sua imputabilità sotto il profilo della colpa), comunque l'azione di risoluzione dovesse reputarsi fondata perché rilevava la morosità totale per il 2014, discendente dalla sospensione del pagamento anche del canone autoridotto.
Sotto tale profilo, avuto riguardo alla prospettazione del motivo di appello, il primo motivo denuncia una ultrapetizione o meglio una pronuncia sull'azione di risoluzione per inadempimento al di là di quanto si doveva valutare per giudicarne la fondatezza.
La doglianza così intesa è, come si è anticipato, fondata.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, e il principio, ancorché risalente nel tempo, va riaffermato in questa sede, che le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale; e, per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, di trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell'inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio, egli non può mai prescindere dall'indagine primaria sulla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda; con la conseguenza che non gli è consentito porre a fondamento dell'accoglimento della stessa la sola persistenza della morosità in corso di lite (Cass. 3/06/1981, n. 3601; Cass. 28/01/1987, n. 805).
Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale ha dato rilievo, per rigettare l'appello, con scelta che, come si è detto, parrebbe espressione del criterio di decisione della questione più liquida, alla circostanza che il conduttore aveva sospeso il pagamento del canone per un periodo successivo a quello cui si riferiva l'azione di risoluzione, neppure risultando una estensione della domanda a tale successivo periodo. Ha accolto, dunque, l'azione di risoluzione in manifesta ( contraddizione con il ricordato principio di diritto.
6. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento dell'esame del secondo e del terzo motivo.
7. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito.
Atteso che, in relazione al periodo cui si riferisce la proposta azione di risoluzione (unico periodo cui occorre far riferimento, at fini che qui rilevano, e non anche al periodo da marzo 2014 alla data di rilascio come, invece, ha fatto la Corte territoriale, v. sentenza impugnata p. 6), non sussiste un inadempimento e meno che mai un inadempimento colpevole del conduttore giustificativo della risoluzione del contratto, avendo egli conformato il proprio comportamento a quanto stabilito dall'art. 3 del d.lgs. n. 23/2011, norma dichiarata incostituzionale solo successivamente con sentenza n. 50/2014, pubblicata in data 19 marzo 2014, peraltro in relazione a questione sollevata proprio nel corso del presente giudizio.
La spiegazione di quanto affermato - che vale anche a scrutinare in iure l'appello anche sulle questioni su cui la Corte territoriale, scegliendo la ragione più liquida, non ebbe a pronunciarsi, cioè quella della sussistenza dell'inadempimento per effetto dell'autoriduzione e gradatamente dell'eventuale colpevolezza di esso - emergerà da quanto appresso si dirà esaminando i primi due motivi del ricorso NRG. 9917/2020.
Rileva inoltre il Collegio che non si ravvisa la manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dal P.G. anche con riferimento all'altro ricorso.
Ne consegue che, in accoglimento dell'appello proposto, deve essere rigettata la domanda di risoluzione del contratto avanzata da S. P..
8. Tenuto conto della particolarità della questione, in relazione alla quale si sono registrate negli ultimi anni più interventi della Corte costituzionale, le spese del doppio grado del giudizio di merito e del presente giudizio di cassazione ben possono essere compensate per intero tra le parti.
Ricorso NRG 9917/2020
9. Con il primo motivo, rubricato «Violazione ex n. 3 art. 360 c.p.c.: - dell'art. 136 della Costituzione per l'illegittima applicazione dei commi 8 e 9 dell'art. 3, d.lgs. 23/2011, sebbene dichiarati incostituzionali; - del comma I art. 1O e dell'art. 11 delle preleggi del c.c. per illegittima applicazione retroattiva del comma 59 dell'art. 1, L. 208/2015, laddove ha sostituito l'art. 13 L. 431/98», la ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato la sentenza n. 87/2017 della Corte Costituzionale ed avrebbe, pertanto, ritenuto che il "sopravvenuto" comma 59 dell'art. 1 della legge 208 del 2015 avrebbe "ripristinato" la validità ed efficacia dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. 23 del 2011.
10. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la «Violazione ex art. 3 art. 360 c.p.c. dell'art. 13 L. 431/98 vigente al 13/04/2011 in combinato disposto con: - l'art. 1 comma 346 L. 311/2004; - l'art. 1O, comma 3, L. 212/2000; - l'art. 1418 c.c.».
Ad avviso della P., con la sentenza impugnata, sarebbero state violate e disapplicate le disposizioni richiamate nella rubrica del mezzo in esame, vigenti alle date della sottoscrizione e della registrazione del contratto (13/04/2011 - 17/02/2012). Tali disposizioni, secondo la ricorrente, non prevedevano alcun termine perentorio per la / registrazione, effettuabile anche tardivamente con efficacia sanante e non comminavano alcuna nullità del contratto scritto anche se registrato tardivamente.
11. Con il terzo motivo, rubricato «Conseguente applicazione dell'art. 91 c.p.c. e spese del giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3», la ricorrente deduce che all'accoglimento dei primi due motivi dovrebbe conseguire la riforma della sentenza impugnata anche nella parte in cui con la stessa sono state compensate per la metà le spese del doppio grado del giudizio di merito.
12. I primi due motivi del ricorso proposto da S. P., che ben possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati in base alle argomentazioni che seguono.
12.1. È pur vero che, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 87 del 2017, diversamente da quanto affermato dalla Corte di merito, l'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 novellando, tra l'altro, il quinto comma dell'art. 13 della legge 431 del 1998 non ha «sostanzialmente ripristina[to] la disciplina dei commi 3°, 8° e 9° del d.lgs. n. 23/2011 e successive modifiche, attribuendo al conduttore il diritto di versare il canone annuo nella misura del triplo della rendita catastale dell'immobile», atteso che la Consulta ha precisato espressamente che «il novellato comma 5 dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998 ... non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati la cui convalida, per effetto delle richiamate disposizioni del 2011 e del 2014 [commi 8 e 9 dell'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011 e comma 1-ter dell'art. 5 del d.l. n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2014 del 2014] è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale.
Ma la stessa Corte costituzionale ha aggiunto che « ... una volta che il legislatore del 2015 si è disinteressato del ripristino dei rapporti giuridici di locazione sorti in base a contratti non registrati tempestivamente, ia disciplina inerente al pagamento dell'importo annuo "pari al triplo della rendita catastale de/l'immobile, nel periodo considerato" non può altrimenti collegarsi che alla pretesa situazione di fatto della illegittima detenzione del bene immobile in forza di titolo nullo e privo di effetti ed essere comunque attinente al profilo. La nuova disciplina si rivolge comunque soltanto alla particolare platea di conduttori individuata alla stregua della situazione di fatto determinatasi in base agli effetti della disciplina di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, prorogati dall'art. 5, coma 1-ter, del d./. n. 47 del 2014, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del suddetto d.lgs. del 2011 a quella (16 luglio 2015) di deposito della sentenza caducatoria n. 169 del 2015. E, per tale profilo, opera una selezione che trova giustificazione nella particolare situazione di diritto, ingenerata dalla normativa poi dichiarata illegittima, sulla quale il conduttore aveva però riposto affidamento (fino alla data, appunto della declaratoria di siffatta illegittimità), essendosi conformato a quanto disposto .... La (pur solo) parziale coincidenza dell'importo del parametro indennitario, previsto dalla disposizione censurata, con quello del canone legale, individuato dalle pregresse norme dichiarate costituzionalmente i/legittime, non è dunque sufficiente a determinare la violazione del giudicato costituzionale, atteso, appunto, il più ampio e differente assetto disciplinatorio dettato dalle norme dichiarate illegittime - le quali avevano mantenuto intatti gli effetti di un (convalidato) rapporto giuridico locatizio, con tutti i correlativi obblighi (reciproci), legali e convenzionali, e con le eventuali ricadute sul contenzioso concernente l'attuazione del rapporto stesso - rispetto alla disciplina recata dal vigente comma 5 dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998, che quel rapporto conferma, invece, essere venuto meno ex tunc, regolandone soltanto le implicazioni indennitarie, in termini di occupazione sine titulo».
12.2. Nella specie il contratto è stato stipulato in data 13 aprile 2011, come dedotto da entrambe le parti, sicché, essendo entrato in vigore il decreto legislativo n. 23 del 2011 in data 7 aprile 2011, ed essendo avvenuta la registrazione da parte del conduttore nella sua vigenza, già ne consegue, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che «t'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell'immobile nel periodo considerato».
Invero, la pronuncia della Consulta, là dove ha ritenuto non violativo dell'art. 136 della Costituzione il testo attuale dell'art. 13, comma, 5 della I. n. 431 del 1998, lo ha fatto escludendo che con il suo disposto si sia inteso salvare - come invece risultava dal testo dell'art. 13, comma 5, introdotto dal d.lgs. n. 23 del 2011 e poi prorogato dal d.l. del 2014 (testo caducato dalle precedenti pronunce di incostituzionalità) - l'efficacia del contratto dall'intervenuta registrazione con gli effetti conseguenti quanto alla durata.
Mette conto di rilevare che la Consulta si è occupata degli effetti della registrazione solo sotto tale profilo e non anche con riguardo al regime generale di una tardiva registrazione sulla nullità comminata dall'art. 1, comma 346, della I. n. 311 del 2004.
Sicché, il comportamento del conduttore che avesse proceduto alla registrazione del contratto stipulato nella vigenza della norma ora detta in applicazione della disciplina del d.lgs. n. 23 del 2011 e successiva proroga, disciplina dichiarata incostituzionale, non è stata oggetto in alcun modo della valutazione espressa dal Giudice delle Leggi.
12.3. Quanto osservato consente di precisare in quali termini si debba raccordare il decisum di Corte Costituzionale n. 87 del 2017 e ' quello espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23601 del 9/10/2017, decisa in data 7/02/2017, ma pubblicata ben dopo la decisione della Consulta.
Le Sezioni Unite, pur dando atto dell'attuale testo dell'art. 13, comma 4, I. n. 431 del 1998, non si sono fatte carico di esaminare la sentenza n. 87/17 della Corte Costituzionale, depositata in data 13/04/2017.
Senonché, la decisione delle Sezioni Unite era relativa ad un contratto (peraltro di locazione ad uso non abitativo) stipulato il 20 ottobre 2008 e registrato in data 4 novembre 2008, cui era seguito un accordo integrativo registrato in data 22 gennaio 2009, sicché quella fattispecie esorbitava dall'ambito di applicazione della normativa qui rilevante.
Peraltro, il principio di diritto affermato con quell'arresto nel senso che «Il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente» ha certamente una valenza generale nell'esegesi del comma 346 citato e, dunque, esprime - nonostante il silenzio delle Sezioni Unite - un'esegesi che "copre", sotto il profilo della validità (retroattiva) del contratto conseguente a successiva registrazione anche le fattispecie, come quella di cui è processo, nelle quali la registrazione da parte del conduttore fosse intervenuta durante il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali indicato dall'art. 13, comm , testo attuale.
Ma tale estensione, per quanto si è detto circa il significato della sentenza della Consulta n. 87 del 2017 11, non confligge con il dictum del Giudice delle Leggi inteso nei sensi indicati sopra.
12.4. Il principio di diritto che le svolte considerazioni consentono di affermare è il seguente: <<Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 2017 e della salvezza del testo dell'art. 13, comma 5, della I. n. 431 del 1998, introdotto dall'art. 1, comma 59, della I. n. 208 del 2015, i contratti di locazione abitativa tardivamente registrati ad iniziativa del conduttore dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2011 sino al 16 luglio 2015, in forza della disposizione dell'art. 1, comma 346 della I. n. 311 del 2004, risultano validi ed efficaci, in quanto il Giudice delle Leggi ha escluso che il comma 5 abbia inteso sancire la validità del contratto secondo il regime della registrazione disciplinata dal testo del comma 5 introdotto dal d.lgs. n. 23 del 2011 e dalla successiva proroga di cui alla legge n. 47 del 2014, ma non ha, invece, in alcun modo escluso gli effetti della registrazione ai sensi del citato comma 346. Sempre per effetto della sentenza della Consulta, il canone o l'indennità di occupazione dovuti dal conduttore nel periodo su indicato sono dovuti nell'ammontare precisato dal comma 5 attualmente vigente, ancorché l'intervenuta registrazione, una volta apprezzata alla stregua dell'art. 1, comma 346, retroagisca, giusta Cass., Sez. Un., n. 23601 del 2017, alla data di stipulazione del contratto, se concluso per iscritto».
12.5. I principi affermati intendono fare chiarezza e indicare l'esatto diritto applicabile nell'esegesi del comma 5 dell'art. 431 del 1998 nel testo attuale salvato dalla Consulta.
Va rilevato che i detti principi vogliono evidenziare una presa diposizione consapevole, che intende superare e meglio calibrare le motivazioni a loro tempo offerte da Cass. n. 4921 del 2/03/2018, da Cass. n. 23637 del 24/09/2019 (che, peraltro, si riferì ad un'ipotesi in cui il contratto era stato registrato originariamente dalla locatrice nel 2010) e da Cass. n. 15582 del 4/06/2021.
Si rimarca, altresì, che la sentenza di questa Corte n. 9475 del 9/04/2021, evocata dal P.G., si riferisce - come evidenziato pure dalla ricorrente - ad un contratto di locazione stipulato per facta concludentia, ipotesi del tutto diversa da quella all'esame in questa sede.
Vale la pena, infine, di precisare che nella specie di nessun rilievo è il disposto dell'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011, là dove, al comma 10, ha previsto che «La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (7 aprile 2011), tenuto conto delle date di registrazione del contratto in questione (12 e 17 febbraio 2012).
12.6. Risulta palese, quindi, che il canone dovuto dal conduttore era solo quello di cui al comma 5 dell'art. 13 nel testo attuale.
13. Il terzo motivo è un "non motivo" e, comunque, pur a volerlo ritenere un vero e proprio motivo di ricorso, esso è inammissibile, atteso che, in realtà, con lo stesso si censura la regolamentazione delle spese non con riferimento all'esito del giudizio di secondo grado, nel quale tale regolamentazione trova il suo fondamento, ma in relazione ad una ipotizzata e sperata cassazione della sentenza impugnata che, oltre tutto, travolgerebbe la pronuncia sulle spese, laddove, peraltro, detta sentenza non risulta, per quanto sopra evidenziato, censurata con esito positivo (Cass., ord., 10/11/2020 n. 25278; Cass., ord., 15/05/2018, n. 11813; Cass. 31/05/2017, n. 13716; Cass. 30/6/2015, n. 13314; Cass. 27/10/2012, n. 17492; v. pure Cass., ord., 15/11/2017, n. 26959).
14. Il ricorso proposto da S. P. va rigettato.
15. Non avendo l'intimato, in relazione a detto ricorso, svolto attività difensiva in questa sede, non vi è luogo a provvedere al riguardo per le spese del presente giudizio di legittimità.
16. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso dalla medesima proposto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell'insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, iscritti ai nn. 20796 del 2018 e 9917 del 2020, accoglie il primo motivo del ricorso n. 20796, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo; cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda proposta dalla P.; compensa le spese di tutti i gradi di giudizio; rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso n. 9917 del 2020 e dichiara inammissibile il terzo; nulla per le spese in relazione a tale ultimo ricorso; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della sola ricorrente P., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso dalla medesima proposto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.