Si tratta di circostanze “ordinarie” che incidono sul danno in maniera analoga per tutte le vittime nelle stesse condizioni, la cui oscillazione giustifica la divergenza tra minimi e massimi tabellari.
La Corte d'Appello condannava il Ministero al pagamento della somma di 50mila euro, a titolo di risarcimento del dannonon patrimoniale, in favore di ciascuno dei familiari della vittima morta per epatite C dopo una trasfusione di sangue infetta.
Nonostante l'applicazione del criterio noto come “tabella...
Svolgimento del processo
1. Nel 2008 gli odierni ricorrenti convennero dinanzi al Tribunale di Catanzaro il Ministero della salute, esponendo:
-) di essere prossimi congiunti di MV
-) MV morì il 22 maggio 2008 in conseguenza di una infezione da virus HCV, contratta in seguito ad una emotrasfusione con sangue infetto;
-) di tale danno doveva rispondere l'amministrazione convenuta.
Il Ministero si costituì eccependo la prescrizione del credito e in ogni caso l'assenza di propria responsabilità.
2. Con sentenza 16 gennaio 2017 n. 145 il Tribunale di Catanzaro rigettò la domanda ritenendo prescritto il credito.
La sentenza venne appellata dai soccombenti.
3. Con sentenza 21 febbraio 2019 n. 372 la Corte d'appello di Catanzaro accolse il gravame e condannò il Ministero al pagamento della somma di euro 50.000, comprensiva degli interessi compensativi, in favore di ciascuno dei danneggiati, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
La Corte d'appello, dopo aver premesso che "la prova del pregiudizio resta affidata alla sola relazione di parentela, non avendo parte attrice approfondito probatoriamente tale aspetto", ha motivato la liquidazione cli cui sopra osservando che:
-) mv al momento della morte aveva 69 anni e non era in buona salute, sicché per i suoi figli l'exitus della donna "non appariva di certo imprevedibile";
-) non vi era prova che i figli od alcuno di essi convivessero ancora con la madre;
-) i figli della donna erano tutti adulti ed autonomi.
Concluse perciò la Corte osservando che appariva equo ridimensionare la misura standard del risarcimento prevista dalla cosiddetta "tabella" diffusa dal Tribunale di Milano, riducendola al di sotto del suo importo minimo (importo minimo paria 163.990 euro).
4. La sentenza è stata impugnata dai congiunti di MV, ricorso fondato su cinque motivi.
Il Ministero della salute ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 1226 e 2056 c.c..
Nella illustrazione del motivo imputano alla Corte d'appello di avere commesso i seguenti errori:
a) avere erroneamente ritenuto che la vittima avesse al momento della morte 79 anni, mentre in realtà ne aveva dieci di meno;
b) avere erroneamente ritenuto che la vittima al momento della morte non fosse in buona salute, in contrasto con quanto risultava dagli atti ed in particolare dalla consulenza tecnica d'ufficio;
c) avere liquidato una somma di denaro identica per tutti i figli della donna, nonostante il rilevante divario di età tra il più giovane di essi (26 anni) ed il più anziano (48 anni);
d) avere erroneamente ritenuto che la "prevedibilità" della morte imminente d'una persona cara costituisca una circostanza idonea a ridurre la misura standard del risarcimento del danno non patrimoniale;
e) avere liquidato il risarcimento del danno non patrimoniale in misura inferiore al minimo "tabellare", in violazione del principio secondo cui tale riduzione può avvenire solo in presenza di circostanze "eccezionali", nel caso di specie assenti;
f) avere liquidato a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale importi assai inferiori a quelli accordati dal medesimo ufficio giudiziario in casi analoghi.
1.1. La censura sub (a) è inammissibile in questa sede, in quanto costituisce un errore revocatorio.
1.2. Le censure sub (b) ed (f) sono inammissibili, in guanto investono apprezzamenti di fatto.
1.3. Le restanti censure possono essere esaminate congiuntamente, e sono fondate.
La Cotte d'appello ha ritenuto (p. 8 della sentenza impugnata) di liquidare il danno non patrimoniale patito dagli odierni ricorrenti in conseguenza della morte della loro madre applicando il criterio noto come "tabella milanese" (e non v1 e questione tra le parti circa la legittimità dell'adozione di tale criterio).
È la stessa Corte d'appello, poi, a riferire che quel criterio prevede che spetti al figlio, nel caso di uccisione della madre per colpa altrui, un risarcimento a titolo di ristoro del danno non patrimoniale variabile tra 163.990 e 327.990 euro (p. 8, secondo capoverso, della sentenza impugnata).
Ciò posto quanto al criterio applicabile, la Corte d'appello ha ritenuto di stimare il danno di cui si discorre nella misura di euro 50.000 per ciascuno dei quattordici figli della vittima, spiegando tale liquidazione coi seguenti argomenti:
a) la vittima era anziana;
b) la vittima era malata;
c) i figli della vittima erano adulti e conducevano "una vita ormai avviata".
c1.4. Così giudicando, la Corte d'appello di Catanzaro ha effettivamente violato l'art. 1226 c.c..
La liquidazione di pregiudizi sine materia come il danno da uccisione d'un prossimo congiunto, secondo l'ormai costante giurisprudenza di questa Corte, può dirsi "equa" - per i fini di cui all'art. 1226 .c.c. - quando sia compiuta con un criterio che rispetti due princìpi:
a) garantisca la parità di trattamento a parità di danni;
b) garantisca adeguata flessibilità per tenere conto delle peculiarità del caso concreto.
"Uniformità pecuniaria di base" e "flessibilità" della liquidazione sono dunque i due momenti indefettibili di ogni liquidazione dei pregiudizi non patrimoniali (ex multis, tra le ultime, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 5865 del 04/03/2021, Rv. 660926 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 18056 del 5/7/2019; Sez. 3 - , Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, Rv. 648303 -01).
1.5. Il rispetto del principio della "uniformità pecuniaria di base” esige il ricorso, da parte del giudice di merito, ad un criterio prestabilito e standard di liquidazione: e questo la sentenza impugnata lo ha fatto, dichiarando di applicare la e.cl. "tabella milanese".
1.6. Il rispetto del principio della ''flessibilità" della liquidazione esige che:
a) si accertino tutte le circostanze di fatto rilevanti nel caso concerto, per quanto dedotto e provato dalle parti:
b) si sceverino quelle "ordinarie" da quelle "eccezionali";
c) si attribuisca rilievo soltanto alle seconde, per aumentare o diminuire la misura standard del risarcimento (ex multis, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 5865 del 04/03/2021, Rv. 660926 - 01; Sez. 3 - , Sentenza n. 28988 del 11/11/2019, Rv. 655964 - 01).
1.7. La distinzione tra conseguenze "ordinarie "ed "eccezionali" del fatto illecito consistito nell'uccisione d'un parente dipenderà da ciò: andranno reputate "ordinarie" quelle conseguenze che qualunque persona della stessa età, dello stesso sesso e nelle medesime condizioni familiari della vittima, non avrebbe potuto (presumibilmente) non subire. Andranno, invece, reputate "eccezionali", e quindi idonee a giustificare una variazione del risarcimento (beninteso, tanto in aumento quanto in diminuzione), quelle circostanze "legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale" (così, testualmente, Sez. 3 - , Sentenza n. 2788 del 31/01/2019, Rv. 652664 - 01; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 26118 del 27.9.2021; nonché, diffusamente, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 32372 del 13.12.2018)
1.8. Consegue da quanto esposto che l'età della vittima, l'età del superstite, la convivenza dell'una con l'altro, la costituzione d'un autonomo nucleo familiare da parte del secondo (e dunque tre delle quattro circostanze valorizzate dalla Corte d'appello nell'aestimatio del danno) avrebbero potuto bensì consentire una variazione della liquidazione tra il rrun1mo ed il massimo tabellare, ma non una liquidazione inferiore al minimo.
L'incidenza sul danno di quelle circostanze di fatto (età e convivenza), infatti, debbono presumersi comuni a tutte le vittime della stessa età e nelle stesse condizioni familiari degli odierni ricorrenti, e rappresentano perciò le "conseguenze ordinarie" la cui oscillazione giustifica la divergenza tra minimi e massimi tabellari, come già ritenuto più volte da questa Corte (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7597 del 18/03/2021, Rv. 660927 - 01; Sez. 3 - , Sentenza n. 29495 del 14/11/2019, Rv. 655831 - O).
Una liquidazione del danno inferiore al numero tabellare avrebbe dunque presupposto l'accertamento di ulteriori e diverse circostanze di fatto, quali ad esempio l'assenza di un saldo vincolo affettivo, l'esistenza di dissapori intrafamiliari, l'anaffettività del superstite nei confronti del defunto (Sez. 3 - , Ordinanza n. 22859 del 20/10/2020, Rv. 659411 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 14746 del 29/05/2019, Rv. 654307 - 01).
1.9. Un cenno a parte merita la valutazione con cui la Corte d'appello ha ritenuto di liquidare ai figli della vittima un importo pari a meno di un terzo del minimo tabellare, in base all'assunto che MV al momento della morte fosse "vecchia e malata", e di conseguenza i suoi figli si sarebbero dovuti aspettare che da un momento all'altro la loro madre venisse a mancare.
Quanto all'età della vittima, si è già detto che essa costituisce un fattore di cui tenere conto nella valutazione del risarcimento standard, e dunque può giustificare l'oscillazione del quantum debeatur tra il massimo ed il minimo tabellare, ma non consente di scendere al di sotto del minimo: sia perché l'età anagrafica è un fatto naturale e non eccezionale; sia perché l'età avanzata d'una madre consente alla statistica, ma non ai suoi figli, di fare previsioni sulla residua speranza di vita: insegna l' A, infatti, che nemo est tam senex qui se annum non putet passe vivere.
1.9.1. Quanto alla malattia della vittima, giusta o sbagliata che fosse tale valutazione in punto di fatto (questione che non è consentito a questa Corte indagare), questa Corte ha già stabilito il principio che uccidere una persona già malata è pur sempre omicidio, e che non è possibile stabilire in astratto alcun automatismo tra la malattia del defunto, e il minor dolore provato dal familiare superstite.
Se è, vero, infatti, che con più forte animo s'affrontano di norma le avversità previste ed attese, non è men vero che la malattia d'una persona cara può suscitare nei suoi familiari più intensi affetti, senso di protezione e commozione per la sorte della persona cara (così già Sez. 3, Sentenza n. 5282 del 28/02/2008, secondo cui "preoccupanti patologie di un congiunto intensifìcano, piuttosto che diminuire, il legame emozionale con gli altri parenti'').
Pertanto le pregresse condizioni di salute della vittima (beninteso, a condizione che non fossero anch'esse conseguenza del fatto illecito) potranno bensì giustificare un abbattimento della misura standard del risarcimento, ma sulla base di una valutazione ex post e non ex ante e senza alcun automatismo.
1.1O. Il motivo va dunque accolto, e la sentenza d'appello cassata sul punto, in applicazione del seguente principio di diritto:
"quando la liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d'un congiunto avvenga in base ad un criterio "a forbice': che preveda un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie. Tali non sono né l'età della vittima, né quella del superstite, né l'assenza di convivenza tra l'una e l'altro, circostanze tutte che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento all'interno della fascia di oscillazione tra minimo e massimo tabellare”.
2. Col secondo motivo la sentenza d'appello è censurata sul presupposto che avrebbe invertito l'onere della prova, addossando ai danneggiati quello di provare la sofferenza interiore provata in conseguenza della morte della madre.
Deducono i ricorrenti che unico loro onere era provare il rapporto di parentela: provato questo, sarebbe stato onere dell'Amministrazione convenuta provare l'inesistenza d'un vincolo affettivo tra la persona defunta ed i suoi familiari.
2. Il motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo, in quanto il giudice di rinvio, dovendo liquidare ex novo il danno, dovrà necessariamente tornare a valutare le prove disporubili.
In ogni caso reputa utile il Collegio aggiungere che esso sarebbe stato infondato nel merito, se del merito si fosse potuto discorrere.
Nel giudizio di risarcimento del danno, infatti, l'esistenza e l'entità di quest'ultimo debbono essere provati dall'attore. L'esistenza del vincolo parentale non è dunque l'oggetto esclusivo della prova che è onere dell'attore fornire, ma è solo il fatto noto dal quale può essere consentito al giudice risalire, ex art. 2727 c.c.., al fatto ignorato dell'esistenza del danno. Ma anche in questo caso senza automatismi, ed avuto riguardo a tutti gli elementi forniti dalle parti.
3. Col terzo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di omesso esame d'un fatto decisivo.
Impugnano la sentenza nella parte in cui ha giustificato la determinazione del quantum debeatur osservando che MV non era in perfette condizioni di salute.
Deducono che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare la documentazione medica in atti, della quale si sarebbe dovuto desumere che gli unici problemi di salute che MV presentava erano proprio quelli causati dall’infezione e dall’epatite.
3.1. Il motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo motivo di ricorso.
4. Col quarto motivo i ricorrenti impugnano la sentenza d'appello nella parte in cui ha incluso nella liquidazione del danno anche gli interessi compensativi.
Deducono che la Corte d'appello ha violato il principio secondo cui il debitore di una obbligazione di valore è tenuto al pagamento degli interessi compensativi calcolati sul credito originario rivalutato anno per anno.
4.1. Il motivo è fondato.
La Corte d'appello infatti ha liquidato unitariamente il capitale e gli interessi compensativi.
Così facendo, in primo luogo ha adottato una motivazione che non consente cli stabilire come sia pervenuta alla liquidazione del danno da mora; quale saggio abbia applicato; su quale capitale l'abbia calcolato. Una motivazione, dunque, imperscrutabile.
In secondo luogo la sentenza d'appello ha m ogni caso violato i principi stabiliti dalla nota sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 17.2.1995 n. 1712, secondo cui la mora del debitore d'una obbligazione cli valore comporta l'obbligo cli pagamento degli interessi compensativi, calcolati ad un saggio equitativamente scelto dal giudice, ed applicato sul capitale originario rivalutato anno per anno (ovvero, in alternativa, sulla media aritmetica tra capitale devalutato all'epoca del fatto e capitale rivalutato all'epoca della liquidazione), con decorrenza dalla data dell'illecito, ex art. 1219 c.c..
5. Il quinto motivo riguarda le spese cli lite e resta assorbito dall'accoglimento degli altri.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo, il terzo ed il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.