Con la decisione in commento, la Suprema Corte afferma che tale linea di demarcazione va identificata nelle manifestazioni esteriori concrete, tenendo in considerazione ogni indicatore rilevante dell'elemento psicologico effettivo.
L'imputato propone ricorso in Cassazione contro la decisione che lo aveva ritenuto responsabile di tentato omicidio. La decisione impugnata si fondava sulle risultanze di prova generiche e sul racconto del coniuge della persona offesa, oltre che di quest'ultima e del contenuto di alcune registrazioni video.
A sua difesa, l'imputato asserisce di essersi semplicemente...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Le decisioni di merito emesse nei confronti di D.T.C. sono rappresentate dalla sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Brindisi in data 12 maggio 2020 (in rito abbreviato) e da quella emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 21 aprile 2021.
Con dette decisioni, tra loro conformi in punto di affermazione della responsabilità, è stata ritenuta fondata la contestazione mossa all'imputato di tentato omicidio commesso in danno di D.E. per fatto avvenuto il 25 marzo del 2019.
In primo grado, ridotta la pena per il rito ed escluse le contestate aggravanti, la pena è stata determinata in quella di anni otto di reclusione.
In secondo grado la pena è stata ridotta ad anni sette e mesi cinque di reclusione.
2. Le decisioni, quanto alla ricostruzione del fatto, sono fondate sulle risultanze di prova generica, sul portato narrativo riferibile a B.A. (coniuge del D.) e della stessa vittima, nonché sul contenuto di alcune registrazioni video.
2.1 L'imputato non ha negato di aver avuto uno 'scontro' con il D. (peraltro suo cognato) ma - a suo dire - avrebbe soltanto cercato di difendersi da una manovra aggressiva portata dal D. verso di lui.
Tale versione viene ritenuta falsa, in ragione di più evidenze (tra cui le modalità repentine di allontanamento del D.T. da luogo teatro dei fatti ed il contenuto di un colloquio tra l'imputato e la moglie B.A. oggetto di captazione durante la detenzione del primo e contenente inequivoci riferimenti al porto del coltello ed alla responsabilità del D.T.).
2.2 La qualificazione giuridica in termini di tentato omicidio si ricollega alla tipologia di strumento utilizzato per l'aggressione (un coltello), alla zona attinta (la parte sinistra del torace, con conseguenze di versamento pleurico) e alla capacità di penetrazione del colpo portato - con forza - verso la vittima.
Il dolo di omicidio viene configurato come diretto, in forma alternativa.
La Corte di secondo grado ritiene del tutto indimostrata la tesi difensiva dell'aver agito, il D.T., in condizioni tali da legittimare la reazione per legittima difesa.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore – D.T. C.. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con cui si formulano deduzioni in tema di erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
3.1 In particolare, il ricorrente muove da una considerazione in fatto che può cosi riassumersi: avendo il D. descritto in modo dettagliato il coltello, ne era, evidentemente, il possessore originario. Da qui le considerazioni in punto di sussistenza della legittima difesa, ingiustamente denegata.
Le ulteriori doglianze riguardano la ricostruzione dell'elemento psicologico del tentato omicidio ed il diniego della attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto, in parte, per motivi non consentiti (in fatto) e in parte per motivi manifestamente infondati.
4.1 Quanto al tema della legittima difesa, va osservato che il fondamento storico di simile opzione è stato introdotto dal solo imputato in modo ritenuto non credibile, in sede di merito, sulla base di plurime evidenze, con cui il ricorrente omette di confrontarsi.
Da qui la assoluta impossibilità, per i limiti ontologici del giudizio di legittimità, di procedere a rivalutazione alcuna, posto che il ricorso si fonda su una considerazione del tutto opinabile, su cui già la Corte territoriale ha espresso un logico apprezzamento.
4.2 Quanto al tema della ricorrenza del dolo diretto alternativo, anche in tal caso il ricorso risulta meramente assertivo, posto che il ragionamento probatorio espresso in sentenza si fonda su ragionevoli indicatori, quali la tipologia del mezzo usato, la direzione e la intensità del colpo, con penetrazione toracica.
Dunque, ponendosi nell'ottica dell'agente, è esatto ritenere che gli indicatori fattuali depongono per un dolo alternativo tale da ricomprendere l'omicidio.
4.2.1 Il dolo è infatti fenomeno interiore (di rappresentazione e volontà della condotta causativa dell'evento preso di mira) che si ricostruisce necessariamente in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di «indicatori fattuali» capaci di sostenere l'opzione ricostruttiva di sussistenza e di qualificazione, come di recente ribadito da Sez. U. n. 38343 del 29.4.2014 -dep. il 19 settembre 2014 - ove si afferma che le difficoltà connesse alla dimostrazione di un dato «così poco estrinseco» come l'atteggiamento interiore non possono dar luogo a schemi presuntivi, ma postulano l'adozione di un ragionamento puramente indiziario «dovendosi inferire fatti interni o spirituali attraverso un procedimento che parte dall' id quod plerumque accidit e considera le circostanze esteriori, caratteristiche del caso concreto, che normalmente costituiscono l'espressione o accompagnano o sono comunque collegate agli stati psichici.. » in senso analogo, tra le precedenti, Sez. II n. 3957 del 17.2.1993, rv 193919, nonchè Sez. I n. 31449 del 14.2.2012, rie. Spaccarotella).
Nel delitto tentato, caratterizzato dalla punibilità di atti che - per definizione - non hanno raggiunto lo scopo perseguito dagli agenti e tipizzato dal legislatore nella norma incriminatrice di parte speciale è questione delicata quella della individuazione in fatto della idoneità (da valutarsi ex ante ed in concreto, secondo la prospettiva dell'agente) e della univocità (direzione della condotta verso 'quello' scopo previsto dalla norma di parte speciale) dell'azione posta in essere. La riconoscibilità del tentativo punibile richiede, pertanto, la logica e coerente individuazione di 'segni esteriori' della condotta che, in rapporto alle circostanze del caso concreto, siano idonei da un lato a consentire (attraverso una catena inferenziale solida) la deduzione in punto di idoneità, dall'altro a svelare la reale intenzione perseguita dall'agente.
Ciò posto va qui ricordato che l'analisi relativa alla ricorrenza del dolo - nel tentato omicidio - non deve necessariamente approdare alla ricostruzione di un dolo specifico di tipo intenzionale, posto che il tentativo punibile è tale anche in presenza di dolo diretto di tipo alternativo, ferma restando la ritenuta incompatibilità tra tentativo punibile e dolo eventuale.
4.2.2 Sul punto, va affermato - in via generale - che resta valida l'affermazione di principio risalente a Sez. Un. 748 del 12.10.1993 (dep. 25.1.1994; rv 195804) per cui in tema di elemento soggettivo del reato, possono individuarsi vari livelli crescenti di intensità della volontà dolosa. Nel caso di azione posta in essere con accettazione del rischio dell'evento, si richiede all'autore una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità di verificazione dell'evento. Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l'autore, invece, non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l'evento stesso, cioè lo vuole e con una intensità maggiore di quelle precedenti. Se l'evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità, e può distinguersi fra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale, ed un evento perseguito come scopo finale. Il dolo va, poi, qualificato come eventuale solo nel caso di accettazione del rischio, mentre negli altri casi suindicati va qualificato come dolo diretto e, nell'ipotesi in cui l'evento è perseguito come scopo finale, come intenzionale (affermazione ripresa e ulteriormente specificata, tra le molte, da Sez. VI n. 1367 del 26.10.2006, rv 235789; Sez. VI n. 6880 del 15.4.1998, rv 211082; Sez. I n. 3277 del 29.1.1996, rv 204188).
Dunque per esservi dolo diretto di omicidio non è necessario che l'evento morte sia previsto e voluto come unica e certa conseguenza della condotta ma è sufficiente che detto evento sia previsto e voluto come conseguenza altamente probabile nell'ambito di una dinamica lesiva che includa anche - in via cumulativa e alternativa - l'evento di lesioni.
Corretta è pertanto l'affermazione per cui anche il cd. dolo alternativo è dolo diretto, in quanto espressione di un atteggiamento volitivo che include, accanto ad un primo evento preso di mira un secondo evento altamente probabile previsto anch'esso come scopo della condotta e non meramente accettato come conseguenza possibile (ancora, Sez. I n.267 del 14.12.2011, rv 252046).
Ora, per quanto sottile sia la linea di demarcazione tra dolo diretto di tipo alternativo, correlato ad una previsione e volizione di un evento altamente probabile e dolo eventuale (dipendente da una mera accettazione del rischio di un evento più grave) tale linea esiste e va identificata nelle sue manifestazioni esteriori concrete, prendendo in esame ogni indicatore rilevante dell'effettivo elemento psicologico.
4.2.3 Nel caso in esame, pertanto, la valutazione di idoneità e univocità della condotta è stata elaborata in modo del tutto logico, atteso che la sede corporea attinta e la intensità del colpo inferto sono chiari indicatori della ricorrenza di una volontà includente l'omicidio. In ciò è esatto ritenere che l'agente abbia posto sullo stesso piano le conseguenze lesive o mortali della propria condotta, previste nella condizione in cui si trovava ad operare. Il motivo di ricorso è meramente rivalutativo, oltre che manifestamente infondato.
4.3 Le ulteriori doglianze, in tema di trattamento sanzionatorio, risultano generiche ed assertive, a fronte di motivazione del tutto congrua espressa in sede di merito.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell'art. 616cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.