Con la pronuncia in commento, la Cassazione risponde al quesito.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 27 ottobre 2015, il Tribunale di Cosenza - per quanto qui rileva - ha dichiarato l'imputato responsabile dei reati di cui agli art. 110, 393, 624-bis, 625, primo comma, n. 5), cod. pen. (così riqualificato rispetto all'originaria imputazione di cui agli artt. 110, 628, primo e terzo comma, nn. 1 e 3-bis cod. pen.) e di cui agli artt. 110 e 635, secondo comma, cod. pen., esclusa l'aggravante dell'arma come contestata. La sentenza di primo grado - per la parte che qui rileva - è stata confermata dalla Corte d'appello di Catanzaro con sentenza 28 settembre 2018. Tale ultima pronuncia è stata annullata dalla Corte di cassazione, Sez. 4, con sentenza n. 10115 del 04/12/2019, dep. 2020, limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto ex art. 624-bis anziché ex art. 624 cod. pen. (capo a), con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro.
Con sentenza del 7 aprile 2021, la Corte d'appello di Catanzaro, decidendo nel giudizio di rinvio, ha riformato la sentenza di primo grado, riqualificando ai sensi degli artt. 110, 624, 625, primo comma, n. 5), la sottrazione di bottiglie di vino e whisky e di una parte dell'impianto DVR, in danno del titolare di un bar (capo a), ferme restando tutte le altre statuizioni, a rideterminando la pena inflitta all'imputato in un anno di reclusione ed euro 380,00 di multa.
2. Avverso tale ultima sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l'erronea applicazione dell'art. 624 cod. pen. e il correlato vizio di motivazione, per la mancata dichiarazione di intervenuta prescrizione. In particolare, si rileva che il reato, come risulta dal capo di imputazione, era stato commesso in data 18 maggio 2013 e - tenendo conto che il tempo di prescrizione massimo complessivo per l'ipotesi di cui all'art. 624 cod. pen. è pari a sette anni e sei mesi - all'udienza di discussione del 7 aprile 2021 lo stesso risultava ampiamente prescritto. Ulteriormente, la difesa precisa che tale conclusione non è messa in discussione dal d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Deve innanzi tutto osservarsi che il dispositivo della sentenza rescindente reca una pronunzia di annullamento in ordine al reato di cui al capo a). Il che impone una verifica circa l'effettiva portata dell'annullamento stesso, posto, che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in caso di annullamento parziale, la declaratoria in dispositivo delle parti della sentenza impugnata divenute irrevocabili, ex art. 624, comma secondo, cod. proc. pen., ha efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva; conseguentemente, ove tale dichiarazione sia stata omessa, è comunque consentito alla Corte - adita con ricorso avverso la sentenza del giudice di rinvio - di individuare, sulla base dell'interpretazione della sua precedente sentenza, le parti passate in giudicato (ex p/urimis, Sez. 4, n. 29186 del 29/05/2018, Rv. 272966; Sez. 2, n. 46419 del 16/10/2014, Rv. 261050).
Applicando tale principio al caso cli specie, deve ritenersi che la pronuncia della Corte di cassazione, Sez. 4, abbia travolto il capo a) della imputazione relativamente ai fatti relativi alla sottrazione di bottiglie di vino e di whisky e di parte dell'impianto DVR, che erano stati qualificati sub art. 624-bis cod. pen., non solo alla luce del tenore letterale del dispositivo, ma anche per la rilevata connessione della questione relativa alla qualificazione giuridica, con l'accertamento del fatto di reato. Sul punto, la Corte d'appello di Catanzaro, nel ritenere sussistente il delitto di cui all'art. 624 cod. pen., e non quello di cui all'art. 624-bis, si è conformata al dictum delle Sezioni Unite (sent. n. 12228 del 23/03/2017), secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 624-bis cod. pen., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa; rientrano nella nozione di privata dimora, di cui all'art. 624-bis cod. pen., esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.
1.2. Devono, a questo punto, essere chiariti i rapporti tra annullamento parziale, giudicato parziale ed estinzione del reato, alla luce della previsione dell'art. 624 cod. proc. pen., secondo cui: «Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata». Sul punto, Sez. 2, n. 8462 del 29/01/2019, Rv. 276321, ha da ultimo chiarito che la sentenza parziale esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella sentenza impugnata e non comprese in quelle annullate, né ad esse legate da un rapporto di connessione essenziale, potendo il giudicato avere una formazione progressiva, non solo quando la sentenza di annullamento parziale viene pronunciata nel processo cumulativo e riguarda solo alcuni degli imputati ovvero delle imputazioni contestate, ma anche quando la stessa ha ad oggetto uno o più statuizioni relative ad un solo imputato ed ad un solo capo di imputazione. Deve dunque essere riconosciuta l'autonomia dei capi di sentenza che non hanno una connessione essenziale con le "parti della sentenza" annullate, dovendosi considerare quali capi autonomi di una sentenza "le decisioni" che concludono l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un reato, sul presupposto dell'autonomia delle azioni confluenti nel processo cumulativo, sia in relazione al loro esercizio che alla loro consunzione (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 16/01/1991, Rv. 186165). La tesi dell'autonomia dei singoli capi di imputazione e, nell'ambito di questi, dei singoli punti, è stata ribadita nella sentenza Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Rv. 216239, nella quale, sulla questione relativa alla possibilità di dichiarare estinto il reato per prescrizione quando i motivi di impugnazione riguardino solo la pena, si è stabilita la rilevanza delle cause estintive sopravvenute anche nei casi in cui non sia ulteriormente in discussione, nel procedimento pendente, il tema della responsabilità. In tale sentenza, e successivamente nelle Sezioni Unite n. 6903 del 27/05/2016, Rv. 268966, si è nuovamente indicato il capo di sentenza come "ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato", riaffermando che il giudicato parziale può formarsi solo con riguardo ai capi e non ai punti della decisione. Il concetto di punto della decisione, cui fa espresso riferimento l'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ha infatti una portata più ristretta riguardando "tutte le statuizioni ma non le argomentazioni svolte a sostegno, suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo". I punti della decisione vengono a coincidere, dunque, con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato, che non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato (accertamento del fatto, attribuzione di esso all'imputato, qualificazione giuridica, inesistenza di cause di giustificazione, colpevolezza e, nel caso di condanna, circostanze aggravanti e attenuanti e relativa comparazione, determinazione della pena ed eventuali benefici, nonché altre questioni eventualmente dedotte dalle parti o rilevabili d'ufficio).
Alla stregua della distinzione tra capi e punti della sentenza deve ribadirsi, quindi, che la cosa giudicata si forma sul capo e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli.
Gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza appena riportata costituiscono la necessaria premessa per affrontare il tema sottoposto alla cognizione del Collegio, perché il giudice d'appello, investito della questione relativa alla configurazione giuridica del fatto, avrebbe dovuto rilevare l'intervenuta prescrizione (per il decorso del termine di sette anni e sei mesi al 02/12/2020 secondo la vecchia disciplina più favorevole al reo, computata la sospensione tra il 13 e il 27 ottobre 2015, per rinvio dovuto a richiesta difensiva), essendo tale aspetto ricompreso nella disamina del fatto reato la cui completa delibazione può dirsi esaurita solo quando un certo accadimento sia compiutamente delineato, non solo nella sua dimensione storico naturalistica, ma anche nella sua veste giuridica, poiché solo rispetto ad un fatto-reato così unitariamente inteso, può configurarsi la permanenza (o meno) della volontà punitiva dello Stato.
2. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, relativamente al reato di furto, perché estinto per prescrizione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena in ordine ai residui reati
P.Q.M
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente al reato di furto, perché estinto per prescrizione, e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena in ordine ai residui reati.