Secondo la Cassazione, è irrilevante che la notificazione telematica eseguita nei confronti dell'altro difensore non sia stata consegnata per errore tecnico imputabile al gestore.
Il conduttore conveniva dinanzi al Tribunale di Agrigento il proprietario di un magazzino alfine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal cedimento di un costone retrostante il fabbricato, con conseguente distruzione di tutta la merce ivi depositata.
Il Giudici di primo grado accoglievano la domanda attorea, ma la decisione era stata riformata...
Svolgimento del processo
1. G.L. convenne dinanzi al Tribunale di Agrigento F.B. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell'immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.
A sostegno della domanda evidenziava che la convenuta, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, aveva omesso di rappresentarle che l'immobile si trovava in grave stato di pericolo già prima della stipula del contratto di locazione e che il crollo del costone aveva determinato lo sprofondamento di una parte dell'immobile locato adibito a magazzino, con conseguente distruzione di tutta la merce ivi depositata.
La B. dedusse l'inammissibilità della domanda, facendo presente che aveva richiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo dell'importo di euro 14.000,00, a titolo di canoni di locazione non corrisposti, nei confronti della L., la quale aveva proposto opposizione facendo rilevare in quella sede le medesime pretese risarcitorie azionate nel presente giudizio.
Disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Agrigento, respinte le richieste istruttorie, dichiarò risolto il contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 cod. civ. e condannò la convenuta al pagamento, in favore dell'attrice, a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dell'importo di euro 1.000.000,00, già comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati alla data di deposito della sentenza, nonché al rimborso delle spese di lite.
2. Avverso la predetta sentenza la Bellavia propose appello, sostenendo, tra l'altro, che il giudice di primo grado aveva errato nel rigettare l'eccezione di improponibilità delle domande proposte dalla L. per violazione del divieto di frazionamento della domanda, ribadendo che, antecedentemente all'introduzione del presente giudizio, aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento decreto ingiuntivo per canoni non pagati e che, proponendo opposizione, la L. aveva replicato che la locatrice non le aveva fatto presente che l'immobile versava in grave stato di pericolo, ma aveva anzi garantito che l'immobile non presentava pericolo alcuno di crollo, cosicché, a fronte del grave inadempimento, non era tenuta al pagamento dei canoni di locazione.
In riforma parziale della sentenza impugnata, la Corte d'appello di Palermo rigettò la domanda di risarcimento danni proposta dall'appellata, annullando la statuizione della sentenza di primo grado che condannava la B. al pagamento di somme a titolo risarcitorio.
Osservò, in particolare, che:
a) la B. aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento, in data 13 marzo 2015, decreto ingiuntivo nei confronti della Lipari per canoni non pagati; avverso il decreto ingiuntivo era stata proposta opposizione dalla L. che aveva lamentato il grave inadempimento della locatrice, negando di essere obbligata al versamento dei canoni di locazione;
b) con l'atto introduttivo del presente giudizio la L. aveva chiesto il risarcimento dei danni fondato sullo stesso fatto posto a fondamento delle difese svolte nell'opposizione a decreto ingiuntivo;
c) non era ravvisabile il frazionamento della domanda da parte della L., in quanto quest'ultima, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva proposto alcuna domanda risarcitoria nei confronti della B., ma si era limitata, in via di eccezione, ad esporre che il diritto al pagamento dei canoni non sussisteva, in quanto non le era stato rappresentato il grave stato di pericolo in cui si trovava l'immobile oggetto di locazione;
d) in assenza di impugnazione, si era formato il giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato tra le parti per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 cod. civ., cosicché non era possibile verificare se l'obbligo della locatrice di garantire l'idoneità dell'immobile locato da vizi che ne impedivano in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, per tutta la durata del rapporto contrattuale, fosse o meno possibile all'atto della conclusione del contratto;
e) per effetto del giudicato interno formatosi, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all'art. 1578 cod. civ., che faceva riferimento ai vizi dell'immobile esistenti all'atto della sua consegna;
f) nella fattispecie era da escludersi la configurabilità di un comportamento in mala fede della locatrice nell'avere locato l'immobile, dato che lo stesso, al momento della stipula del contratto di locazione, appariva perfettamente idoneo all'uso concordato poiché non esistevano segni apparenti dell'imminente crollo del costone roccioso e del muro di contenimento posti sul retro dell'immobile, né poteva ritenersi che, all'atto della stipula del contratto di locazione, fosse prevedibile che in futuro, nel corso della durata del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile utilizzare l'immobile locato;
g) antecedentemente alla stipula del contratto di locazione si erano verificati soltanto fenomeni di colamento di detriti di terra a monte del banco calcarenitico, ma tali fenomeni si erano interrotti al limite delle gabbionate che sovrastavano il muro di sostegno posto dietro l'edificio dove si trovava l'immobile locato; a seguito di sopralluoghi effettuati dal Comune di Agrigento era stata emanata l'ordinanza sindacale n. 52 del 7 marzo 2011, con la quale era stato inibito l'uso degli spazi condominiali adibiti a garage retrostanti l'edificio dal n.161 al n. 175 fino alla messa in sicurezza del sovrastante terreno, ma i predetti numeri civici non afferivano alla proprietà B.; nessun pericolo di instabilità del costone e del muro posti a tergodell'immobile era stato ravvisato dalle autorità intervenute il 1° ed il2 marzo 2011;
h) dalla consulenza tecnica eseguita dalla Procura della Repubblica di Agrigento risultava che: il muro di sostegno della montagna posto dietro l'edificio non presentava dissesti all'atto degli eventi verificatisi in data 1° e 2 marzo 2011; la causa del crollo del costone roccioso e di parte del muro di contenimento retrostanti era riconducibile alla formazione di una frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno, con conseguente perdita di equilibrio del muro e frana a tergo del muro stesso; la propagazione della frattura era avvenuta in un intervallo temporale ampio, via via che si incrementavano le pressioni neutre per effetto della perdita di efficienza dei drenaggi esistenti del pendio, a causa di una miscela di acque di falda ed acque potabili provenienti da consistenti perdite della rete idrica dell'ex Ospedale S. G. poste a monte del pendio;
i) gli ulteriori avvenimenti verificatisi successivamente al 1° ed al 2 marzo 2011 erano del tutto irrilevanti; infatti, la circostanza che la società A. s.r.l., amministrata dal figlio della L., avesse stipulato, in data 1° marzo 2014, ossia quattro giorni prima dellafrana, un contratto di locazione di altro immobile nello stesso fabbricato, era del tutto irrilevante, in quanto era ben possibile che l'amministratore della società non fosse a conoscenza degli eventi o che, pur essendone a conoscenza, avesse comunque inteso stipulare il contratto di locazione, ritenendo che gli eventi del 1° e 2 marzo 2011 fossero insignificanti in relazione all'utilizzabilità dell'immobile locato; parimenti irrilevante era la circostanza che la B. fosse a conoscenza degli eventi del 1° e 2 marzo 2011, in quanto proprietaria dell'immobile ed in quanto il fratello, per sua delega, aveva partecipato all'assemblea condominiale del 17 marzo 2011, in cui si era discusso della nomina di un legale a tutela del danno temuto a causa dello smottamento che si era verificato e dell'ordinanza del 9 marzo 2011 inviata dal Comune con la quale si inibiva l'uso degli spazi condominiali retrostanti l'immobile.
3. G.L. ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione d'appello, sulla base di due motivi.
F.B. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, con un unico motivo.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380- bis. l. cod. proc. civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.l. cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d'impugnazione si deduce la violazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1571, 1575, 1578 e 1256 cod. civ., nonché «l'omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.».
Segnatamente, la ricorrente lamenta che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere non provata la responsabilità della B., pur a fronte della prova documentale della sussistenza dei vizi dell'immobile in data antecedente alla stipula del contratto di locazione, e ribadisce che la locatrice l'aveva indotta in errore garantendo che l'immobile si trovava in ottime condizioni e che era esente da pericolo di crollo, pur essendo a conoscenza che l'immobile locato fosse affetto da vizi gravi che ne impedivano l'utilizzo, presentando il costone retrostante, di natura argillosa, già a far data dal 2010, fenomeni di colamento gravitativo con grave rischio di crollo sull'immobile condotto in locazione.
Rimarca, in particolare, la ricorrente, a comprova che la Bellavia fosse a conoscenza dello stato di pericolo dell'immobile locato, che:
a) nei primi mesi del 2011, ossia prima della stipula del contratto di locazione, avvenuta in data 31 maggio 2011, si erano verificati consistenti smottamenti e caduta di abbondante terriccio sull'edificio ove era ubicato l'immobile locato;
b) in data 17 marzo 2011 era stata convocata una assemblea condominiale - alla quale aveva partecipato il fratello della B., su delega di quest'ultima - avente come ordine del giorno la
«nomina di legale a tutela per danno temuto a causa dello smottamento verificatosi nel terreno lato nord dell'edificio»; nel corso dell'assemblea l'amministratore aveva comunicato di avere ricevuto in data 9 marzo 2011 l'ordinanza del Sindaco di Agrigento, datata 7 marzo 2011, con cui si inibiva l'utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l'immobile ed in quella stessa sede era stata istituita una commissione composta da alcuni condomini, tra i quali G.B., fratello della controricorrente, al fine di affiancare l'amministratore del Condominio per la risoluzione del problema;
c) il Condominio, in data 11 marzo 2011, aveva inviato atto di costituzione in mora a diversi enti e, in data 20 marzo 2011, al Comune e a Girgenti Acque, rappresentando che vi era grave pericolo sull'immobile a causa degli «smottamenti nel costone sottostante via (omissis) e retrostante edificio C.O.»;
d) il Comune di Agrigento aveva inviato al Condominio C.O. una nota datata 14 giugno 2012, nella quale si faceva riferimento ad una ordinanza sindacale n. 52/2011 in cui si prescriveva all'amministratore dell'edificio e, quindi, ai proprietari degli immobili, di inibire l'utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l'edificio fino ad avvenuta eliminazione del pericolo;
e) il Condominio C.O. in precedenza aveva inviato al Comune di Agrigento una missiva chiedendo di revocare l'ordinanza sindacale n. 52/2011, che era stata riscontrata dal Comune con nota del 27 marzo 2012, con cui era stato comunicato che l'ordinanza non poteva essere revocata in quanto il pericolo era imminente e sussistente.
Ad avviso della ricorrente, pertanto, già dal mese di marzo 2011 la B. era a conoscenza dei vizi da cui era affetto l'immobile, ma, nonostante ciò, pur non essendo stati effettuati i lavori di messa in sicurezza dell'immobile, lo aveva concesso in locazione, omettendo di comunicare alla conduttrice il grave stato di pericolo.
A seguito della stipula del contratto di locazione - soggiunge la ricorrente - aveva effettuato ingenti investimenti, sostenendo elevati costi per l'acquisto di attrezzature, arredamenti e per interventi di manutenzione edilizia, aveva inoltre assunto dipendenti e proceduto all'acquisto di un vasto assortimento di merce; il fatto verificatosi in data 5 marzo 2014 aveva comportato una improvvisa interruzione dell'attività commerciale, dato che l'Autorità pubblica aveva disposto l'evacuazione dell'intero condominio, con conseguente impossibilità di utilizzare l'immobile locato che era crollato. Erra, pertanto, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata laddove afferma che non vi era prova che il vizio fosse esistente al momento della stipula del contratto e che l'evento verificatosi nel 2014 non fosse strettamente collegato agli eventi verificatisi nel 2011, essendo al contrario la B. incorsa in grave inadempimento contrattuale, a nulla valendo che l'evento dannoso si fosse verificato a distanza di tre anni dalla stipula del contratto. Dalle stesse argomentazioni esposte dalla Corte di appello, prosegue la ricorrente, si evince che la causa del crollo del costone roccioso era da ascrivere alla formazione della frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno e la stessa consulenza tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento aveva chiarito che gli eventi erano iniziati nel 2011 e poi terminati nel 2014 quando si era verificato l'evento dannoso.
La ricorrente sottolinea, quindi, che la locatrice avrebbe violato i canoni di buona fede e correttezza, avendo l'obbligo di mantenere il bene locato in buone condizioni di utilizzo, e addebita alla Corte d'appello di avere erroneamente affermato che si fosse formato il giudicato interno sulla dichiarata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, posto che in appello aveva insistito nel sostenere che si era in presenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, contestando dunque la impossibilità sopravvenuta; in ogni caso, l'impossibilità sopravvenuta, seppure sussistente, era addebitabile a colpa della locatrice che era a conoscenza dell'evento che aveva reso impossibile la prestazione ed era pertanto tenuta al risarcimento del danno. In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza gravata sarebbe censurabile per avere trascurato di valutare fatti storici decisivi, quali le delibere condominiali, le ordinanze del Comune di Agrigento e la consulenza disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento.
2. Con il secondo motivo d'impugnazione si deduce nullità della, sentenza, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 cod. civ.
La ricorrente, partendo dalla premessa che si verte in ipotesi di inadempimento contrattuale per grave responsabilità della locatrice, sostiene che quest'ultima era tenuta al risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante, di cui era stata fornita piena prova mediante la documentazione prodotta.
3. Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato, F.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 645, 647 e 653 cod. proc. civ., nonché dell'art. 111 Cost.
Precisa che nel giudizio di appello aveva dedotto che le domande proposte dalla Lipari erano inammissibili, poiché l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo richiesto per il pagamento dei canoni era stata dichiarata inammissibile con sentenza passata in giudicato, di cui era stata depositata copia. La Corte d'appello aveva ritenuto che la Lipari con l'instaurazione del giudizio di risarcimento dei danni non avesse frazionato la domanda, ma tale statuizione, ad avviso della controricorrente, non teneva conto degli effetti del giudicato che si era formato nel giudizio sulla debenza dei canoni, che copriva il dedotto ed il deducibile, precludendo l'esame delle domande proposte dalla Lipari che erano basate su fatti costitutivi incompatibili con l'accertamento passato in giudicato.
4. In controricorso la B., in via preliminare, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per cassazione perché tardivamente proposto dopo il decorso di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta presso la cancelleria della Corte d'appello in data 22 gennaio 2019. Ha spiegato che in data 18 gennaio 2019, pur avendo tentato la notifica della sentenza d'appello alle caselle p.e.c. dei difensori della odierna ricorrente, questa non è andata a buon fine: la notifica all'avv. S. non è stata consegnataper «casella piena», mentre quella all'avv. T. non si è perfezionata per «errore tecnico presso il gestore ricevente». Considerato che la Lipari non aveva eletto domicilio nel circondario in cui aveva sede l'ufficio giudiziario dinanzi al quale si era svolto il giudizio d'appello, bensì presso lo studio dei suoi difensori, sito in Agrigento, in data 22 gennaio 2019 aveva eseguito la notifica presso la cancelleria della Corte d'appello di Palermo, ai sensi degli artt. 82 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 e 16-sexies d.l. n. 179 del 2012, posto che la notifica a mezzo Pec aveva avuto esito negativo per cause imputabili ai destinatari delle caselle di posta elettronica.
4.1. L'eccezione è fondata.
4.2. Occorre osservare che l'art. 16-sexies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - articolo rubricato «Domicilio digitale» e introdotto dall'art. 52 d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, nella I. n. 114 del 2014 - prevede testualmente: «Salvo quanto previsto dall'articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia».
Tale disposizione normativa, nell'ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall'art. 366 cod. proc. civ. per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l'indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui all'art. 6-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.
La prescrizione dell'art. 16-sexfes d.I. n. 179 del 2012 prescinde dalla stessa indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell'indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l'indirizzop.e.c. del difensore, stante l'obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell'ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell'elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell'atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l'impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche l'art. 82 r.d. n. 37 del 1934, che, stante l'obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell'ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048; Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914; Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982; Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164; Cass., sez. 1, 03/02/2021, n.2460).
Da quanto esposto discende che, nel caso di specie, essendo l'art. 16-sexies ci.I. n. 179 del 2012 entrato in vigore il 19 agosto 2014 e trovando esso immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla sua vigenza, in applicazione del principio del tempus regit actum (Cass., sez. 3, 18/07/2013, n. 17570; Cass., sez. 1, 24/03/2016, n. 5925; Cass., sez. 6-5,20/01/2017, n. 1635; Cass., sez. 6-3,14/12/2017, n. 30139), la notificazione della sentenza di appello a G.L. avrebbe dovuto essere effettuata presso l'indirizzo p.e.c. dei difensori della stessa risultante dagli elenchi/registri indicati dall'art. 16-sexies citato e, soltanto ove impossibile per causa imputabile a detti difensori, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pendeva la lite.
4.3. Come emerge dagli atti, il difensore della B. ha effettuato la notificazione della sentenza d'appello nei confronti dei difensori della odierna ricorrente a mezzo p.e.c., ma il sistema ha generato un avviso di mancata consegna, segnalando, con riguardo all'avv. C.S., che la casella risultava «piena» e, quanto all'avv. T., che «presso il gestore ricevente si era verificato un errore tecnico che impediva la consegna».
4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la notifica a mezzo Pec ex art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 di un atto del processo ad un legale implica l'onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l'allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l'onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l'esercizio della professione (Cass., sez. 6-3, 25/9/2017 n. 22320).
4.5. In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore (Cass., sez. 6-1, 12/11/2018 n. 28864, in motivazione; Cass., sez. 1, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 09/01/2020, n. 3164; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall'ufficio giudiziario l'abilitazione all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l'avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministerodella Giustizia per il tramite del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass., sez. L, 02/07/2014 n. 15070; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532).
4.6. Va, peraltro, evidenziato, come precisato da Cass., sez. 6-5, 18/02/2020, n. 3965, che, in caso di mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell'avvenuto deposito. Infatti, ai sensi dell'art. 16, comma 4, del d.m. n. 44 del 2011, «nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (... ) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell'atto nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori».
4.7. Per completezza espositiva il Collegio deve pure rilevare che, secondo alcune pronunce di questa Corte (Cass., sez. 5, 20/07/2018, n. 19397; Cass., sez. L, 30/12/2019, n. 34736; Cass., sez. 6-3, 26/05/2021, n. 14446; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758), il mancato perfezionamento della notifica telematica effettuata dall'avvocato per non avere il destinatario reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella p.e.c. impone alla parte notificante di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e ss. cod. proc. civ., e non mediante deposito dell'atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 16, comma 6, ultima parte, del decreto-legge n. 179 del 2012, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione di avvenuta consegna. Secondo altro orientamento (Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164), «la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario "piena", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi».
4.8. Nella fattispecie in esame si può, tuttavia, prescindere da
ogni valutazione sulla questione prospettata dalle pronunce sopra richiamate. E ciò in quanto, a fronte del mancato perfezionamento della notifica all'avv. S. a causa del riempimento della casella p.e.c., e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma piuttosto addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532), il difensore della B. ha comunque proceduto (anche in un tempo adeguatamente contenuto, in conformità ai principi espressi da Cass., sez. U, 15/07/2016, n. 14594) alla notificazione della sentenza d'appello mediante deposito dell'atto presso la cancelleria della Corte di appello presso la quale pendeva la lite, considerato che entrambi i difensori della odierna ricorrente erano domiciliati extra discrictum, cosicché da tale momento è sicuramente iniziato a decorrere il termine breve ex art. 325 cod. proc. civ. per la impugnazione della sentenza d'appello.
Resta, peraltro, del tutto irrilevante che la notificazione telematica della sentenza di appello eseguita nei confronti dell'altro difensore della L., avv. T. non sia stata consegnata a causa di un errore tecnico imputabile al gestore, e non al titolare della casella di posta elettronica, posto che la notificazione della sentenza ad uno soltanto dei difensori nominati dalla parte è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, di cui all'articolo 325 cod. proc. civ. (Cass., sez. 1, 31/08/2017, n. 20625; Cass., sez. 6-3, 27/05/2011, n. 11744;Cass., sez. 2, 31/05/2006, n. 12963).
Ne deriva che il ricorso per cassazione, notificato in data 28 giugno 2019, è stato tardivamente proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza previsto dall'art. 325 cod. proc. civ., avvenuta presso la cancelleria della Corte d'appello in data 22 gennaio 2019.
5. In ogni caso, il primo motivo del ricorso non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità.
Con tale doglianza, in realtà, non si denuncia la violazione delle norme di diritto invocate, ma si sollecita la rivalutazione della quaestio facti mediante la reiterazione di deduzioni difensive già svolte e mediante il richiamo a circostanze di fatto già sottoposte all'esame dei giudici di merito e da questi già adeguatamente valutate.
In sostanza, la ricorrente muove una contestazione alla motivazione resa dai giudici di appello, non consentita dall'attuale art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., tra l'altro invocato non già secondo il paradigma dell'omesso esame, ma secondo il paradigma della omessa valutazione e, comunque, senza rispettare, quanto alle emergenze fattuali richiamate, i criteri di deduzione fissati da Cass., sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 7 aprile 2014, ossia senza specificare se e dove le circostanze di fatto di cui si denuncia l'omesso esame siano state oggetto di deduzione in giudizio.
Occorre, invero, ribadire che, dopo la modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, non trova più accesso al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza ed incompletezza dell'impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula iuris che, prendendo le mosse da una determinata premessa, conduca ad una determinata conseguenza (in diritto) idonea a giustificare il decisum.
Rimangono, pertanto, estranei al perimetro del vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la contestazione volta a criticare, come nel caso in esame, il convincimento che il giudice si è formato ex art. 116 cod. proc. civ., in esito all'esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892), come pure asseriti errori attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune«questioni» o alle stesse argomentazioni nelle quali si estrinseca l'esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove, restando precluso nel giudizio di cassazione l'accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.
Quanto ai denunciati vizi di violazione di legge, le doglianze prospettate dalla ricorrente non sono riconducibili nell'ambito della previsione normativa dettata dall'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., poiché si risolvono nella denuncia di violazione di disposizioni normative sulla base di una errata ricognizione della fattispecie concreta, laddove, invece, tale vizio consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, o ancora nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., sez. 1, 5/02/2019, n. 3340; Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., sez. 5, 25/09/2019, n. 23851). Viceversa, l'allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione.
6. Il secondo motivo del ricorso, con il quale si lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato le norme che regolano la quantificazione del danno, resta assorbito, in quanto presuppone l'accoglimento nell'an della domanda di risarcimento dei danni.
7. Il ricorso incidentale condizionato, in ragione dell'inammissibilità del ricorso principale, resta parimenti assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di F.B., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificati pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.