Un suo eventuale utilizzo come elemento indiziario determinerebbe una non consentita inversione dell'onere della prova.
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 20 settembre 2018 dalla Corte di appello di Roma, che ha confermato la decisione del Tribunale di Cassino che aveva condannato Pizzuti Cesidio, in ordine ai reati di sequestro di persona e di sottrazione di persone incapaci, per aver sottratto ai genitori il minore C. A., di anni sei, portandolo di forza in una radura del bosco, così privandolo della libertà personale.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Cassino, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1 Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 e 125 cod. proc. pen.
Sostiene che la sentenza impugnata sarebbe completamente priva di motivazione, in palese violazione dell'art. 192 cod. proc. pen.
La Corte di appello, in particolare, si sarebbe limitata a recepire, in modo acritico e passivo, le conclusioni del perito, senza affrontare le ragioni poste dalla difesa a base dell'atto di impugnazione.
2.2 Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione e l'inosservanza degli artt. 63, 191 e 195 cod. proc. pen.
Sostiene che la motivazione sarebbe palesemente viziata poiché i giudici di merito avrebbero fondato il giudizio di responsabilità anche sul "fallimento dell'alibi" fornito dall'imputato. La parte contesta, da un lato, il merito di tale valutazione, poiché sarebbe basata su un'errata lettura delle risultanze istruttorie, e, dall'altro, l'utilizzabilità per la decisione delle dichiarazioni dell'imputato relative all'alibi.
2.3 Con un terzo motivo, deduce la violazione dell'art. 178 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione.
Rappresenta che la difesa, in primo grado, aveva chiesto un esperimento giudiziale, facendone specifica richiesta nella lista presentata ai sensi dell'art. 468 cod. proc. pen. Tale mezzo istruttorio sarebbe stato ritualmente ammesso, ma non era stato mai esperito, né revocato e a nulla rileverebbe il rigetto dell'analoga richiesta effettuata ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., in considerazione dei più stringenti parametri che giustificano l'ammissione della prova assolutamente necessaria, al termine dell'istruttoria dibattimentale.
2.4 Con un quarto motivo, deduce «l'inosservanza dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.».
Rappresenta che, in sede di appello, la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, reiterando la richiesta di esperimento giudiziale, ma la Corte di appello aveva rigettato la richiesta, senza fornire un'adeguata motivazione in ordine all'inutilità dello specifico accertamento richiesto nell'interesse dell'imputato.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
4. Con memoria scritta, il difensore di Pizzuti Cesido ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, sostenendone l'infondatezza, essendo fondate su affermazioni generiche e apodittiche.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non è fondato, ma la sentenza deve essere annullata poiché reati sono estinti per prescrizione.
1.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente censura la motivazione per una presunta violazione delle regole di valutazione della prova dettate dall'art. 192 cod. proc. pen., è inammissibile.
Va, infatti, ribadito che l'asserita inosservanza di tali regole non è vizio prospettabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge, che è deducibile esclusivamente in caso violazione di disposizioni processuali la cui osservanza è prevista a pena di nullità o inutilizzabilità, quale certamente non è il citato art. 192 cod. proc. pen. (ex multis Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027; Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, Zonfrilli e altri, Rv. 264174; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191). Va, in ogni caso, rilevato che la sentenza di appello è motivata in maniera adeguata, coerente e logica.
Essa non si basa affatto sulle sole valutazioni del perito, ma anche e soprattutto sulle dichiarazioni della vittima, della madre del minore, del datore di lavoro dell'imputato, del teste D'Ambrosia Giuseppe - tutte rigorosamente analizzate e valutate - nonché sui dati oggettivi emersi dalla perquisizione domiciliare, nel corso della quale erano stati rinvenuti i capi di abbigliamento che erano stati descritti dalla persona offesa.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Con esso, il ricorrente lamenta che i giudici di merito avrebbero fondato il giudizio di responsabilità anche sul fallimento dell'alibi.
Al riguardo, deve essere premesso che <<In tema di valutazione delle prove, l'alibi fallito, in quanto fondato su circostanze non compiutamente dimostrate, non può essere valorizzato quale elemento indiziario a carico dell'imputato, in quanto ciò comporterebbe una non consentita inversione della regola sull'onere della prova>> (Sez. 6, n. 15255 del 19/02/2020, Prota, Rv. 278878).
Ebbene, nel caso in esame, dalla lettura delle sentenze, emerge che, effettivamente, entrambi i giudici di merito hanno dato rilievo anche al fallimento dell'alibi fornito dall'imputato, ma solo quale elemento ulteriore e di chiusura del costrutto probatorio.
Invero, come già evidenziato, la condanna si basa sulle dichiarazioni della vittima, su quelle della madre e degli altri testi, sulle valutazioni del perito, sui dati oggettivi emersi dalla perquisizione domiciliare.
I giudici di merito (come emerge in maniera evidente dalle pagine 8 e 9 della sentenza di primo grado e dalla pagina 6 della sentenza d'appello) ricostruiscono rigorosamente i fatti sulla base di tali elementi e solo, infine, a chiusura della valutazione degli esiti dell'istruttoria, rilevano il fallimento dell'alibi dell'imputato.
Appare, dunque, evidente che l'alibi fallito non ha avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento e nel convincimento dei giudici di merito. Al riguardo, occorre ricordare che le Sezioni Unite hanno affermato il principio per il quale la sentenza impugnata, pur se formalmente viziata da inosservanza di norme processuali, in tanto va annullata in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita abbia avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale sul convincimento e sul dictum del giudice di merito, nel senso che la scelta di una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza quella prova (Sez. U, n. 16 del 21 giugno 2000, Tammaro, Rv. 216246). Il che non è certamente avvenuto nel caso in esame, nel quale il ragionamento giudiziale si fonda sulla valutazione analitica e complessiva di gravità, precisione e concordanza degli indizi di reità - specificamente identificati nelle sentenze - e risulta ancorato a un solido quadro accusatorio che resiste comunque all'elisione del dato viziato.
Il ricorrente, sotto altro profilo, ha contestato anche il merito della valutazione del Tribunale e della Corte di appello in ordine all'effettivo fallimento dell'alibi, sostenendo che essa si baserebbe su una non corretta interpretazione degli esiti dell'istruttoria.
Il motivo, sotto tale profilo, si presenta inammissibile, attenendo a questioni non censurabili in sede di legittimità. Il ricorrente, invero, ha articolato censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., sono all'evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello e una pronuncia su una diversa ricostruzione dei fatti (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Egli, in realtà, non deduce alcun travisamento della prova o una manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma offre al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari che tendono a sollecitare un'inammissibile rivalutazione dei fatti nella loro interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31 gennaio 2018, Ndoja, Rv. 273911).
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Gli atti ai quali ha fatto riferimento il ricorrente (l'originaria istanza di esperimento giudiziale contenuta nella lista depositata ai sensi dell'art. 468 cod. proc. pen. e, soprattutto, l'ordinanza di ammissione del mezzo istruttorio) non sono stati allegati né la parte ha chiesto, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, di allegarli al ricorso da trasmettere in cassazione.
Al riguardo, va ricordato che < <In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza, il motivo inteso a denunciare l'omesso esame di una richiesta, di cui non vi sia menzione nel provvedimento impugnato, qualora non siano stati specificamente indicati, ai fini dell'inserimento nel fascicolo formato dalla cancelleria del giudice "a quo" ai sensi dell'art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., gli atti da cui possa desumersi che detta richiesta era stata invece ritualmente proposta>> (Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che, dopo l'entrata in vigore dell'art. 165 bis, comma 2, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall'art. 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, in modo tale da consentirne la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso (cfr. Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
Orbene, nel caso in esame, la parte non ha allegato al ricorso l'originaria istanza di esperimento giudiziale (che sarebbe stata contenuta nella lista depositata ai sensi dell'art. 468 cod. proc. pen.) né l'ordinanza di ammissione del mezzo istruttorio e neppure li ha specificamente indicati quali atti di cui riteneva necessaria l'allegazione.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
La rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, invero, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820).
La Suprema Corte ha chiarito che, in ragione della sua natura eccezionale, in sede di legittimità, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale solo qualora si dimostri l'oggettiva necessità dell'incombente istruttorio e, di conseguenza, l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Cozzetto, Rv. 258236).
Oggettiva necessità che nel caso in esame non è stata dimostrata.
La Corte di appello, peraltro, ha motivato adeguatamente il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria, mettendo in rilievo come le istanze istruttorie dell'appellante - e, in particolare, quella di espletamento di una perizia tecnica - fossero del tutto inconferenti con la ricostruzione dei fatti emersa in dibattimento.
2. Il secondo motivo di ricorso - nella parte in cui censura l'utilizzazione del "fallimento dell'alibi" - è infondato, ma non inammissibile.
Non essendosi, pertanto, formato alcun giudicato sostanziale, deve essere valutata l'eventuale estinzione del reato.
Il reato di cui all'art. 605 cod. pen. è stato consumato il 1° settembre 2006 e il termine massimo di prescrizione, pari a dieci anni, risulta sospeso per complessivi 728 giorni. Il reato, pertanto, risulta estinto per prescrizione fin dal 1° settembre 2018.
Il reato di cui all'art. 574 cod. pen. è stato consumato il 1° settembre 2006 e il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi, risulta sospeso per complessivi 728 giorni. Il reato, pertanto, risulta estinto per prescrizione fin dal 1° marzo 2016.
La sentenza, dunque, deve essere annullata senza rinvio, per intervenuta prescrizione.
Vanno, però, mantenute ferme, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., le statuizioni della sentenza sugli interessi civili.
3. La natura delle vicende oggetto del procedimento impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché i reati sono estinti per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. lgs. 196/03, in quanto imposto daIla legge.