Ai fini dell'attribuzione della qualifica, rileva anche il caso in cui il soggetto eserciti soltanto alcuni dei poteri tipici di gestione. Spetterà poi al giudice valutare l'importanza delle singole attività in concreto svolte.
Svolgimento del processo
1. D. R. ricorre contro l'ordinanza indicata in epigrafe (con la quale il Tribunale di Milano, adito ex art. 310 cod. proc. pen. su appello del P.M., ha disposto l'applicazione all'indagato della misura cautelare deç1li arresti domiciliari in ordine ai reati di cui agli artt. 512-bis cod. pen. e 8 D. Lgs. n. 74 del 2000, rispettivamente di cui ai capi 4 e 5 delle imputazioni provvisorie) deducendo plurimi vizi di motivazione quanto alla ritenuta qualità di amministratore di fatto ed alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, asseritamente non attuali.
1.1. In data 31/05/2022 è pervenuta una memoria sottoscritta dall'indagato personalmente.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, perché presentato per motivi non consentiti oltre che privi della specificità necessaria ex artt. S81, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto meramente reiterativi di doglianze già correttamente disattese dal Tribunale, con argomentazioni con le quali il ricorrente in concreto non si confronta.
1. La memoria sottoscritta dall'indagato personalmente non può essere esaminata.
1.1. Come già chiarito da questa Corte (Sez. 6, n. 31560 del 03/04/2019, Scelsi, Rv. 276782 - 01), nel giudizio per cassazione le memorie difensive non possono essere sottoscritte dalla parte personalmente atteso che, a seguito della riforma dell'art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come interpolato dall'art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017, n. 103, tali atti vanno redatti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.
1.2. D'altro canto, nel processo penale non è consentito all'imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l'autodifesa, difettando un'espressa previsione di legge che la legittimi (Sez. 6, n. 46021 del 19/09/2018, Antonucci, Rv. 274281 - 01).
2. Ciò premesso, il ricorrente lamenta vizi di motivazione quanto ai gravi indizi di colpevolezza, essenzialmente proponendo una diversa ricostruzione del significato delle conversazioni intercettate.
2.1. In tal modo, la difesa del ricorrente contesta le valutazioni operate concordemente dai giudici del merito, offrendone una lettura alternativa, il che costituisce non consentita doglianza di natura fattuale, peraltro fondata su argomentazioni meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti 9iuridici, senza documentare decisivi travisamenti, concentrando, peraltro, la propria attenzione soltanto su alcuni elementi, e trascurando altri elementi pure incensurabilmente valorizzati.
2.2. In particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il collegio condivide e ribadisce, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, l1a quale si sottrae al sindacato di legittimità se - come nel caso di specie - la valutazione operata risulti logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti (così, per tutte, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715); inoltre, gli esiti delle intercettazioni non necessitano di riscontri, avendo valenza probatoria (nel procedimento di cognizione) ovvero indiziaria (nell'ambito del subprocedimento cautelare) "piena" (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar., Rv. 263714 - 01).
2.3. In concreto, il Tribunale ha valorizzato, ad integrazione del necessario quadro indiziario, il contenuto di una serie di conversazioni intercettate, incensurabilmente interpretate, in difetto di documentati travisamenti, a torto sottovalutate dal G.I.P. (cfr. pagg. 14 e seguenti dell'ordinanza impugnata), evidenziando punto per punto che quanto emerge incontrovertibilmente dalle predette intercettazioni si pone in evidente ed insanabile contrasto con le giustificazioni rese dall'indagato nel corso delle dichiarazioni spontanee rese.
2.4. Valorizzando i predetti elementi, il Tribunale ha motivatamente sostenuto che l'indagato "è pienamente consapevole di chi siano reali referenti/amministratori della società, ai qualii si rapporta costantemente, a partire da L. e O., ma, soprattutto, da P., che opera direttamente nel suo studio, nel quale si svolgono gli incontri tra correi", ed ha puntualmente confutato quanto in contrario sostenuto dalla difesa (cfr., riepilogativamente, pagg. 40 e seguente dell'ordinanza impugnata), ed ha riconosciuto all'indagato il ruolo di amministratore di fatto della M., in quanto "consapevole organizzatore di peculiari modalità operative della società in termini illeciti" in precedenza puntualmente descritte.
2.4.1. L'art. 2639 cod. civ. stabilisce che, per i reati societari previsti dal codice civile, "al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi".
2.4.2. Secondo la giurisprudenza, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'eserciZ110 di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimit,3, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 - 01).
2.4.3. Anche con riguardo ai reati fallimentari, la giurisprudenza di legittimità è tradizionalmente orientata nel senso di ritenere che la posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici previste dalla legge fallimentare, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. Ciò comporta l'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento ciel soggetto - quale "intraneus" che svolge funzioni gerarchiche e direttive - in qualsiasi momento dell'iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi - rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti- ed in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare, con apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 9222 del 22/04/1998, Galimberti, Rv. 212145 - 01; Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254 - 01).
I destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno, quindi, individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non giè rapportandosi alle mere qualifiche formali, ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 19145 del 13/04/2006, Binda, Rv. 234428 - 01; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273 - 01: in applicazione del principio, è stata ritenuta corretta l'individuazione dell'imputato quale amministratore di fatto, in quanto effettuata sulla base di indici sintomatici quali 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti).
L'orientamento è stato recentemente ribadito, più o meno negli stessi termini, da Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550 - 03; per la quale, in tema di bancarotta fraudolenta, sono destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 legge fall. i direttori generali di fatto di una società, individuati sulla base delle effettive funzioni esercitate in relazione alla gestione dell'attività imprenditoriale ed all'assetto organizzativo dell'azienda, e non già della mera qualifica formale, per nomina dell'assemblea o disposizione statutaria, ovvero della rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta; la citata sentenza ha precisato che, trattandosi pur sempre di funzioni apicali, le attività gestorie proprie del direttore generale di fatto devono essere svolte con continuità e significatività, in via autonoma o in un rapporto di diretta collaborazione con chi si trovi in posizione, formale o di fatto, sovraordinata.
2.4.4. Con specifico riferimento alla categoria dei reati tributari, nella quale rientrano quattro dei cinque reati contestati all'imputato, la giurisprudenza ha, infine, ritenuto che, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto", non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009 - 01.
2.4.5. Il collegio condivide i predetti orientamenti, cui intende dare continuità, evidenziando che, come emergente sia dalla disciplina legislativa riguardante specificamente i reati societari, sia dall'interpretazione giurisprudenziale in tema di reati fallimentari e tributari, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto occorre il ricorrere dei medesimi requisiti, ovvero essenzialmente l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.
2.4.6. Va in proposito affermato il seguente principio di diritto:
«Ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati».
2.4.7. Le conclusioni cui è motivatamente addivenuto il Tribunale, riconoscendo all'indagato la qualifica di amministratore di fatto della società de qua appaiono in sintonia con il predetto principio di diritto.
2.5. Ma vi è di più.
Il Tribunale ha, infatti, espressamente osservato (pagg. 41 e seguenti dell'impgnata ordinanza) che, se anche volesse dubitarsi della possibilità di riconoscere all'indagato la predetta qualifica, cionondimeno sussisterebbero in ogni caso, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ad entrambi i reati ascrittigli, ex art. 110 cod. pen., quale "concorrente pienamente consapevole della riconducibilità della società ad O. M. e P. S. (oltre che L. D. e O. Pasquale), nonché dell'elemento soggettivo indicato dalla norma", avendo egli piena conoscenza delle attività dei correi, cui ha in più occasioni contribuito, nonché della fittizia intestazione della M. per gli scopi illeciti indicati dalla norma e specificati nell'imputazione provvisoria.
2.5.1. Sempre dalle intercettazioni (pagg. 42 e seguenti dell'ordinanza impugnata) è emersa, ad integrazione del reato di cui al capo 5), e del concorso ad esso ex art. 110 cod. pen. dell'indagato, nei medesimi termini appena illustrati per l'altro reato ascrittogli, la reale funzione della M., società non realmente operativa, ma utilizzata dai correi per portare a compimento le illecite operazioni in dettaglio descritte nel relativo capo d'imputazione.
2.5.2. Tale prospettazione alternativa (rispetto a quella che riconosce all'indagato la qualifica di amministratore di fatto) del Tribunale non viene presa in alcun modo in considerazione dal ricorrente.
2.6. Ai fini della valutazione di attualità e concretezza del ritenuto pericolo di recidiva, il Tribunale ha, infine, incensurabilmente valorizzato il continuativo e non occasionale contributo fornito dall'indagato per ampio lasso di tempo ai reati accertati, mettendo a disposizione dei correi la propria indiscussa professionalità, ed il conseguente "rischio che - qualora se ne ripresentasse l'occasione - egli sarebbe disposto a ribadire ed attuare tale disponibilità" (paç1. 46 dell'ordinanza impugnata).
3. In considerazione della declaratoria d''inammissibilità totale del ricorso, il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali oltre che - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa dell'inammissibilità per colpa (Corte c:ost., 13 giugno 2000 n. 186) -, di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della significativa entità della predetta colpa, appare equo quantificare nella somma di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favo1·e della Cassa delle ammende.