La mancata indicazione nella dichiarazione presentata ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio della percezione di redditi da attività illecite non integra reato quando essi siano frutto di reati oggetto del procedimento in cui viene richiesta l'ammissione al beneficio.
La Corte d'Appello di Milano confermava la decisione con cui il Tribunale aveva condannato l'imputato per avere falsamente dichiarato di aver percepito nel 2012 un reddito pari a zero ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio, nonostante egli fosse stato trovato in possesso di somme rilevanti di denaro provenienti da attività illecite.
Contro...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Milano, in data 12 febbraio 2021, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano, in data 18 ottobre 2019, aveva condannato G.F. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato p. e p. dagli artt. 483 cod. pen. e 76, d.P.R. n. 115/2002, contestato come commesso in Milano il 13 marzo 2013, con la recidiva reiterata.
Al F. é contestato di avere dichiarato falsamente di aver percepito, per l'anno 2012, un reddito pari a zero, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sebbene egli fosse stato trovato in possesso di rilevanti somme di denaro provenienti da condotte illecite (nell'ambito di una perquisizione per reati in materia di stupefacenti). La Corte di merito ha respinto le lagnanze del ricorrente, riferite soprattutto al fatto che il possesso di redditi illeciti non sarebbe suscettibile di integrare l'addebito penale mosso al F. (che doveva essere ricondotto nell'ambito dell'art. 95, d.P.R. 115/:2002) non potendo i predetti redditi formare oggetto di dichiarazione a fini di imposte; ed ha perciò concluso per la conferma della sentenza di primo grado.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il F., per il tramite del suo difensore di fiducia, articolando un unico motivo di doglianza, nel quale l'esponente lamenta violazione di legge, nonché carenza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa addebita all'imputato violazioni eterogenee rispetto all'art. 76, comma 1, del d.P.R. 115/2002, a lui espressamente contestato: il riferimento del comma 3 (anche) ai redditi esenti da imposta non risulta espressamente contestato e, del resto, esso non può in alcun modo ricomprendere i redditi provenienti da attività illecite, ovviamente insuscettibili di dichiarazioni a fini d'imposta; contesta poi il deducente la qualificazione giuridica dell'addebito, che doveva essere ricondotto nell'ambito dell'art. 95 del citato d.P.R. 115/2002, in base al principio di specialità.
Motivi della decisione
1. Il ricorso é fondato.
E' innanzitutto corretto quanto esposto dal ricorrente circa la qualificazione giuridica del reato, che doveva essere certamente inquadrato nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 95, d.P.R. 115/2002: é pacifico, infatti, che la norma di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 é speciale rispetto a quella di cui all'art. 483 cod. pen. (cfr. ex multis Sez. 5, n. 12019 del 19/02/2008, Gallo, Rv. 239126).
Di tal che, anche a fronte della diversa qualificazione giuridica precedentemente attribuita nel caso di specie, vale il principio in base al quale, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato il giudice deve tenere conto anche dei redditi da attività illecite posseduti dall'istante (ex plurimis, Sez. 4, n. 21974 del 20/05/2010, Di Stefano, Rv. 247300). Pertanto, la mancata indicazione cli tali redditi nella richiesta di ammissione al beneficio é idonea ad integrare la fattispecie delittuosa di cui all'art. 95 del d.P.R. 115 del 2002.
Deve ulteriormente chiarirsi che é altrettanto corretto quanto affermato dal ricorrente circa la necessità di tenere distinti i fatti costituenti motivo di rigetto o di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (artt. 96, comma 2, e 112, d.P.R. 115/2002) da quelli costitutivi del delitto di falsità od omissione nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), di cui all'art. 95 del d.P.R. 115/2002.
2. Chiariti tali aspetti, deve constatarsi che, in base a quanto risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, il F. aveva chiesto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito dello stesso procedimento in cui, a seguito di perquisizione, egli era stato trovato in possesso - sia sulla persona, che presso la sua abitazione - di alcune somme di denaro reputate di provenienza illecita.
In definitiva, redditi illeciti a lui oggi contestati, non inseriti nell'autocertificazione a corredo dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, erano qualificabili come provento dei reati oggetto del processo nel cui ambito il F. aveva richiesto l'ammissione al beneficio.
3. Così stando le cose, ritiene il Collegio di ribadire quanto già affermato in altro precedente caso similare (Sez. 4, Sentenza n. 27990 del 13/01/2017, Novello, Rv. 269971), ossia che, in tale ipotesi, pretendere dall'imputato la dichiarazione di percezione di redditi illeciti, in violazione del principio nemo tenetur se detegere, confligge con il suo diritto di difesa e quindi a protestarsi innocente e rivendicare una pronuncia assolutoria; con la conseguenza che non integra il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 la mancata indicazione, nella dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, della percezione di redditi da attività illecite, quando questi sono il frutto dei reati oggetto del procedimento in cui viene richiesta l'ammissione a tale beneficio.
4. Ne consegue che, anche nel caso che occupa, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.