In presenza di reati perseguibili a querela, qualora emergano situazioni di incertezza, ilfavor querelae consente al giudice di individuare la volontà di punizione da parte della persona offesa a prescindere dall'uso di forme particolari.
Il Tribunale di Catania riformava la sentenza con cui il Giudice di Pace aveva dichiarato non doversi procedere per la mancanza della necessaria condizione di procedibilità nei confronti dei due imputati, ritenuti responsabili rispettivamente del reato di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale monocratico di Catania, in funzione di Giudice di Appello, ha riformato la sentenza con cui il Giudice di Pace aveva dichiarato non doversi procedere «per difetto della necessaria condizione di procedibilità» nei confronti di C.A.A., imputato del reato di cui all'art. 612 cod. pen., e di P.A., imputata del reato di cui all'art. 581 c p (per avere, quest'ultima, afferrato e stretto con forza il braccio della persona offesa), dichiarandoli colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti e condannando C.A.A. alla pena di euro 800 di multa e P.A. alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Per quel che qui rileva, P.A. veniva condannata altresì al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile, S.M., liquidati in euro 4000, e al pagamento delle spese processuali sostenute da quest'ultima, liquidate in euro 600, oltre spese generali liquidate in favore dello Stato.
2. Avverso la citata sentenza, ha presentato ricorso per cassazione P.A., per il tramite del suo difensore, Avv. E.M., articolando le proprie censure attraverso due motivi, col primo dei quali lamenta erronea applicazione dell'art. 120 cod. pen., per aver il Tribunale ravvisato, nella denuncia-querela presentata dalla persona offesa, quella manifestazione di volontà punitiva che, sola, rende validamente presentato l'atto di querela. Più in particolare, la difesa sostiene che l'atto presentato ai Carabinieri della Stazione di N. dalla persona offesa risulterebbe manchevole sia dell'esposizione dei fatti sia della richiesta di punizione; pertanto, la querela sarebbe stata illegittimamente ammessa come tale dal Tribunale. Quest'ultimo avrebbe dunque errato nel discostarsi dalla decisione del Giudice di Pace, che aveva invece correttamente ritenuto inammissibile l'atto di querela.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell'art. 133 cod. pen., per avere il Tribunale mancato di indicare le ragioni della necessità di applicare la pena detentiva in presenza di una pena alternativa, peraltro trascurando il buon comportamento processuale della ricorrente, la quale - scrive la difesa -aveva prestato «consenso all'utilizzabilità come prova della querela, così rinunciando a sentire la p.o.».
La difesa chiede pertanto a questo Collegio l'annullamento dell'impugnata sentenza.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo, mentre è manifestamente infondato il primo motivo.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Dalla motivazione dell'impugnata sentenza emerge che la persona offesa non si era limitata a esporre gli accadimenti, che l'avevano vista vittima di condotte di minacce e percosse, affermando bensì di «sporgere formale querela per i fatti esposti nei confronti di P.A.». In ciò, il Tribunale ha correttamente individuato una manifestazione inequivocabile di volontà punitiva nei confronti dell'odierna ricorrente, in coerenza con il consolidato e risalente orientamento di legittimità (a riprova del quale può ricordarsi quanto già affermato da Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259 - 01: «in tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; ne consegue che tale volontà può essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio». Nello stesso senso, e ancor prima nel tempo, cfr. Sez. 3, n. 397, del 26/06/1979, dep. 1980, Titone, Rv. 143876, a proposito di un'ipotesi nella quale l'atto, appunto qualificato "denunzia-querela", conteneva l'esposizione dei fatti attribuiti all'imputato).
Nel corso del tempo, questa Corte ha seguito tale orientamento, chiarendo ulteriormente come, ove emergano situazioni di incertezza, il «favor querelae» consenta al giudice, nei casi di reati perseguibili a querela, di individuare la volontà di punizione da parte della persona offesa a prescindere dall'utilizzo di formule particolari (Sez. 5, n. 2665 del 12/10/2021, dep. 2022, Baia, Rv. 282648-01; cfr. anche Sez. 5, n. 1710 del 05/12/2013, dep. 2014, Baldinotti, Rv. 258682-01: «ai fini della validità della querela, la manifestazione della volontà di punizione è univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto depositato dalla persona offesa come denuncia-querela, in quanto assume rilievo decisivo il significato tecnico dell'espressione adoperata. Esclusa, infatti, la necessità di formule sacramentali (Sez. 2, n. 30700 del 12/04/2013, De Meo, Rv. 255885), assume rilievo decisivo il significato tecnico dell'espressione querela adoperata dalle persone offese.»
Più volte, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito il principio in parola, ritenendo immuni da censure decisioni con cui i giudici di merito hanno ritenuto validamente integrata la sussistenza dell'istanza di punizione in affermazioni non rigidamente predefinite (ad esempio, attraverso la formula «pertanto con la presente denuncia mi costituisco parte civile nel procedimento penale», come ritenuto da Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557-01; cfr., inoltre, Sez. 2, n. 9968 del 02/02/2022, Saottini, Rv. 282816-01: «ai fini della validità della querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria a seguito di arresto in flagranza, la manifestazione di volontà della persona offesa di perseguire l'autore del reato è univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto, formato su richiesta della persona offesa, come "verbale di ricezione di querela orale"». In tale occasione, la Corte ha precisato che, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, non è dirimente l'indicazione della formale richiesta di punizione, ma la valutazione del contesto fattuale, riservata al giudice di merito. Ancor più di recente, v. Sez. 4, n. 8486 del 02/03/2022, Bonanno, Rv. 282760 - 01: «In tema di reati perseguibili a querela, è necessario e sufficiente per la sua validità che il querelante formuli l'istanza di punizione in ordine ad un fatto-reato suscettibile di sicura individuazione, senza ulteriori precisazioni, dettagli o circostanziate descrizioni».
3. Il secondo motivo coglie nel segno, laddove stigmatizza la mancata indicazione, da parte del Tribunale, delle ragioni per cui applicare «la pena detentiva in presenza di una pena alternativa». Più precisamente, la norma violata dall'impugnata sentenza non è l'art. 133 cod. pen., come eccepito dalla difesa, bensì l'art. 52, comma 2, lett. a) del d. lgs. n. 274/2000, secondo cui «ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 258 a euro 2.582». Posto che il reato di percosse per cui è stata condannata l'imputata (art. 581 cod. pen.) è di competenza del Giudice di pace, il Tribunale avrebbe infatti dovuto applicare l'art. 52, comma 2, lett. a) del citato decreto legislativo.
4. Ne consegue che la condanna inflitta all'odierna ricorrente (mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile, liquidati in euro 4000, e al pagamento delle spese processuali sostenuti da quest'ultima, liquidate in euro 600, oltre spese generali liquidate in favore dello Stato) è illegale; pertanto, l'impugnata sentenza va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinviata al Tribunale di Catania per un nuovo esame sul punto. Nel resto, questo Collegio dichiara inammissibile il ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Catania e dichiara inammissibile il ricorso nel resto.