Nel caso di contestazione "aperta", il termine finale di consumazione coincide con la pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, consentendo fino a tal momento l'estensione dell'imputazione agli atti della sequenza criminosa realizzati dopo l'esercizio dell'azione penale.
Svolgimento del processo
1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Bologna del 16.2.2021, che ha confermato la decisione del 19.6.2020 del GUP del Tribunale di Bologna, resa all'esito di giudizio abbreviato, con cui S. B. è stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per il delitto di atti persecutori, commesso nei confronti della sua ex convivente D. D., contestato in (omissis) dal novembre 2018, con condotta ancora in atto.
La persona offesa, che ha dei figli con l'imputato, era stata costretta a trasferirsi da (omissis), ove viveva il nucleo familiare, a (omissis), proprio per tentare di arginare le condotte persecutorie dell'ex compagno; tuttavia, la campagna di stalking, secondo quanto accertato, realizzata con telefonate moleste, avvicinamenti ed aggressioni verbali ingiuriose e minacciose, ha preso nuovo vigore anche dopo detto trasferimento, e nonostante la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare cui era stato sottoposto l'imputato dal 24.5.2018.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, l'avv. B., deducendo quattro motivi di censura.
2.1. Il primo argomento difensivo denuncia violazione di legge in relazione al tempo del commesso reato ed alla contestazione "aperta" ritenuta legittima dalla Corte d'Appello. La tesi del ricorrente è che il delitto di atti persecutori, essendo un reato abituale e non permanente, non "sopporterebbe" la contestazione temporale "aperta" dell'imputazione, dovendo avere uno spazio predeterminato di accadimento.
Nella specie, quindi, non avrebbero dovuto essere al centro dell'accertamento dei giudizi di merito gli episodi successivi all'ultimo specificamente segnalato in imputazione (una minaccia perpetrata ai danni della vittima in videochiamata il giorno 31.12.2019), e cioè quelli compresi fra il giorno 1.1.2020 e 11.2.2020.
2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce vizio di motivazione assente e travisata, in contraddizione con la denuncia sporta dalla vittima, che aveva chiaramente fatto partire la ripresa delle condotte persecutorie da novembre 2018 e non da novembre 2019, così come equivocato sia dalla contestazione che dalle sentenze di merito (l'equivoco sarebbe relativo all'aggettivo "scorso" temporalmente utilizzato per collocare al novembre 2019 le nuove condotte persecutorie). L'errata collocazione temporale del delitto incide non soltanto sul corretto accertamento del tempus commissi delicti, ma anche sul piano del trattamento sanzionatorio.
2.3. La terza ragione di censura denuncia violazione di legge e motivazione manifestamente illogica in relazione all'accertamento del nesso causale tra la condotta e uno degli eventi del reato di stalking previsti dalla norma incriminatrice dell'art. 612-bis cod. pen.
Partendo dall'insegnamento della sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 2014, la difesa sostiene la tesi che non vi sarebbe prova in concreto di uno degli eventi delittuosi, in particolare di quello del perdurante e grave stato d'ansia e paura e di quello del mutamento delle abitudini di vita della vittima; né è possibile basarsi, per tale prova, sulle sole impressioni derivanti dal racconto-denuncia della persona offesa.
Aderendo alla lettura esatta della denuncia della vittima, poi, il suo trasferimento da (omissis) a (omissis) non sarebbe avvenuto in conseguenza della ripresa della persecuzione da parte dell'imputato; inoltre, il mutamento di abitudini su cui la Corte d'Appello ha focalizzato la sua decisione, vale a dire il cambiamento del percorso casa/scuola dei figli da parte della vittima, al fine di evitare di incontrare il ricorrente, ha un tratto marginale nelle condizioni esistenziali e, pertanto, non potrebbe assurgere ad evento del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen.
In ogni caso, non è stata esplorata adeguatamente la prova concreta che tali eventi fossero conseguenza delle condotte ascritte al ricorrente, o non piuttosto costituissero il precipitato del precedente delitto di maltrattamenti ai danni della persona offesa, in relazione al quale egli è stato già condannato con sentenza passata in giudicato.
2.4. Un'ultima ragione argomentativa proposta dalla difesa attiene alla dosimetria sanzionatoria, che si denuncia eccessiva e decisa sulla base di parametri valutativi incongruenti, fondati o sulla pregressa condotta di reato, che aveva determinato la vittima a trasferirsi dalla (omissis) a (omissis), oppure sulla prospettiva della riduzione per il rito abbreviato, che dovrebbe costituire un passaggio logico autonomo rispetto al criterio commisurativo del disvalore del reato.
3. Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo argomento difensivo denuncia violazione di legge in relazione al tempo del commesso reato ed alla contestazione "aperta", poichè il delitto di atti persecutori, essendo un reato abituale e non permanente, non "sopporterebbe" la contestazione temporale "aperta" dell'imputazione, dovendo avere uno spazio predeterminato di accadimento.
Il ricorrente si ispira alla sentenza di questa Sezione (Sez. 5, n. 45376 del 2/10/2019, S., Rv. 277255), secondo cui al delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis cod. pen., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, non si applica il principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell'ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell'imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell'imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall'istruttoria dibattimentale. Di conseguenza, le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell'imputazione dovrebbero formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l'imputazione originaria, sia - e a maggior ragione - quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione.
La pronuncia citata dal ricorrente costituisce, tuttavia, un orientamento rimasto isolato, che sembra oggi decisamente superato dalla differente opzione ermeneutica, condivisa dal Collegio, secondo cui il delitto previsto dell'art. 612-bis cod. pen. ha natura di reato abituale di evento "per accumulo", che si perfeziona al momento della realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, così che, in caso di contestazione "aperta", il termine finale di consumazione coincide con quello della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, consentendo fino a quel momento l'estensione dell'imputazione alle condotte, frutto della reiterazione criminosa, realizzate dopo l'esercizio dell'azione penale. e affermazioni successive (Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 279081; nello stesso senso, cfr. Sez. 5, n. 12055 del 19/1/2021, C., Rv. 281021; Sez. 5, n. 15651 del 10/2/2020, T., Rv. 279154; Sez. 5, n. 17350 del 20/01/2020, C., Rv. 279401; già in precedenza, vedi Sez. 5, n. 22210 del 03/04/2017, C., Rv. 270241).
Tutti gli episodi che compongono la campagna persecutoria, pertanto, ancorchè realizzati successivamente all'ultimo di quelli ai quali si riferisce espressamente il capo d'imputazione (una videochiamata di molestie e minacce effettuata la notte del 31 dicembre 2019), possono essere oggetto della cognizione del giudice di merito, purchè siano stati commessi fino alla pronuncia di primo grado.
Il motivo di ricorso, pertanto, è infondato.
3. Il secondo motivo di censura attiene all'errata collocazione temporale del delitto, che inciderebbe non soltanto sul corretto accertamento del tempus commissi delicti, ma anche sul piano del trattamento sanzionatorio.
Appare svolta in fatto e, per tale ragione, pacificamente inammissibile (cfr. ex multis, tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), l'eccezione del ricorrente secondo cui vi sarebbe stato un travisamento nell'interpretare la denuncia della vittima del reato, poiché l'inizio della condotta criminosa, cui costei si riferisce, sarebbe inteso dal novembre 2019 e non dal novembre 2018, non potendo che spiegarsi nel primo senso l'utilizzo dell'espressione "dal novembre scorso", inserita nella denuncia sporta il 10.12.2019.
Invero, il motivo è stato posto anche in modo generico, dal punto di vista più specifico del vizio di travisamento dedotto e si risolve, come già chiarito, in una richiesta di rivalutazione "in fatto" dei risultati dell'accertamento dibattimentale.
Ed infatti, il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6 n. 10795 del 16/2/2021, F., Rv. 281085; Sez. 6, 45036 del 2/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
Nella specie, il ricorrente non ha portato la prova della verità del dato probatorio invocato, che di per sé ha carattere di deduzione logica, dal contesto complessivo della ricostruzione della vicenda di fatto.
La Corte territoriale ha sposato le motivazioni del giudice di primo grado ed entrambe le sentenze di merito hanno descritto la vicenda, nei suoi punti essenziali, in linea con il senso dato dall'imputazione alle parole della vittima del reato.
Tale disegno motivazionale non è afflitto da vizi di manifesta illogicità e la sentenza impugnata, che ha già risposto all'analoga eccezione formulata dal ricorrente in appello, ha evidenziato, altresì, come la postdatazione dell'inizio della condotta persecutoria cui perviene la difesa rileggendo le dichiarazioni della persona offesa sia stata palesemente smentita dal complesso delle dichiarazioni di quest'ultima.
4. Il terzo argomento difensivo contenuto nel ricorso è manifestamente infondato, oltre che, per la gran parte, formulato secondo direttrici di censura sottratte al sindacato di legittimità, e pertanto inammissibili, in quanto dirette a sollecitare una diversa valutazione del tessuto probatorio da parte del Collegio, invocando l'insussistenza del reato, per mancanza di prova riguardo ad uno degli eventi della fattispecie previsti dall'art. 612-bis cod. pen.
La testimonianza della persona offesa, rafforzata da alcuni congrui elementi di riscontro, evidenzia la sussistenza dello stato d'ansia e timore nei quali è caduta la vittima del reato, spaventata, angosciata e preoccupata da una relazione "inevitabile" con il padre dei propri figli, il quale mostrava tanta reiterata volontà di ferirla moralmente, attraverso una costante opera di persecuzione minacciosa e molesta, alla quale sono stati costretti spesso ad assistere i figli.
Il Collegio rammenta, in proposito, che, in tema di stalking, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis cod. pen. (Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265231).
Inoltre, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135 del 9/5/2012, G., Rv. 253764) e, più in generale, può essere desunta da elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C., Rv. 261535; Sez. 5, n. 14391 del 28/2/2012, S., Rv. 252314).
Ed ancora, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto - tra i quali lo stato d'ansia provocatole dall'imputato o il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, che sono certamente enucleabili dal contesto della vicenda in esame - potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Sez. 5, n. 47195 del 6/10/2015, S., Rv. 265530; Sez. 5, n. 57704 del 14/9/2017, P., Rv. 272086).
Dal punto di vista della forza probatoria degli elementi valutativi utilizzati dai giudici di merito, è utile ricordare, poi, che la testimonianza della persona offesa può da sola essere posta a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, pur non essendovi necessità di riscontri ex art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (ma, al più, di potenziamento della valenza probatoria, attraverso "elementi di riscontro"): si richiamano in proposito, anzitutto, Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214, e, quindi, per tutte, Sez. 5, n. 21135 del 26/3/2019, S., Rv. 275312.
Nella specie, la persona offesa ha reso dichiarazioni che hanno ampiamente e positivamente superato il vaglio di attendibilità richiesto dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.
Del tutto inconferente, infine, rispetto alle tesi difensive, risulta il richiamo alla sentenza n. 172 del 2014 della Corte costituzionale, con cui i giudici delle leggi hanno escluso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 612-bis cod. pen., in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cast., per violazione del principio di determinatezza della fattispecie penale.
4.1. Quanto alla questione relativa alla sussistenza del "mutamento di abitudini di vita", su cui la Corte d'Appello ha pure focalizzato la sua decisione, vale a dire il cambiamento del percorso casa/scuola dei figli da parte della vittima, al fine di evitare di incontrare il ricorrente - che la difesa contesta nella sua natura di evento del reato di atti persecutori, per la scarsa significatività, lamentandone anche la non derivazione dalla condotta dell'imputato -, sotto un primo profilo, il motivo di ricorso al riguardo deve ritenersi inammissibile, poiché è irrilevante, alla luce della giurisprudenza consolidata già richiamata sulla non necessità che si realizzino tutti gli eventi del reato al fine di ritenerlo configurabile, il verificarsi di tale evento, in presenza della ritenuta sussistenza di due degli altri eventi descritti dalla fattispecie incriminatrice di immediata derivazione dalle dichiarazioni della vittima del reato, ampiamente credibile.
D'altro canto, l'evocata marginalità delle richiamate conseguenze sulla vita della vittima rappresentate dalla deviazione dal consueto percorso scuola/casa da affrontare quotidianamente insieme ai figli è solo nella prospettazione difensiva, essendo invece indubbio che tale modifica del percorso quotidiano, in un'attività non certo di poco conto quale è quella di accompagnare i propri bambini a scuola, incida significativamente sulle abitudini di vita alla tutela delle quali è preordinata (anche) la norma incriminatrice prevista dall'art. 612-bis cod. pen. e, quindi, possa configurare l'evento del reato di stalking, sotto tale profilo.
5. Infine, anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente si lamenta, sotto il solo profilo sanzionatorio, della duplicazione del disvalore penale avuto riguardo alla condanna già inflittagli per la precedente condotta di maltrattamenti nei confronti dell'ex moglie: le ragioni esposte, che lambiscono, senza mai enunciarlo espressamente, un motivo di bis in idem, non possono trovare accoglimento poiché la Corte d'Appello si è correttamente rapportata, nel valutare la dosimetria sanzionatoria, alla durata della condotta criminosa, collegandola alle vicende pregresse, sintomatiche di una complessiva pervicacia criminale ed espressiva di un'intensità del dolo particolarmente evidente ed elevata.
Il profilo di censura riferito all'estraneità dal giudizio dosimetrico della considerazione della riduzione per il rito abbreviato è privo di pregio, essendo evidente che si tratti soltanto, nell'economia motivazionale, di un'annotazione di ordine pratico, subito convalidata dal riferimento all'adeguatezza ed alla congruità sanzionatoria della pena confermata, in relazione alla gravità del fatto commesso ed alla personalità dell'imputato.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d. lgs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.