Il disposto dell'art. 2744 c.c., pur trattandosi di norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell'ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente.
Svolgimento del processo
Con lodo depositato il 27/11/2012, il Collegio arbitrale ha rigettato le domande formulate da Immobiliare L. s.r.l. , quale assuntore concordatario nei confronti della massa dei creditori del fallimento di B. C., con l'intervento dell'Immobiliare M. s.r.l., B. G. e S. C. (che hanno formulato le stesse richieste), nei confronti del Credito S. s.p.a. (succeduto alla L. Group s.p.a.), volte all'accertamento della nullità del contratto di compravendita, con il quale B. C., B. G. e S. C. avevano trasferito alla L. Group s.p.a. (società controllata dalla Banca S.) un immobile sito in Agrigento, piazza Vittorio Emanuele, unitamente alla nullità del contratto di locazione finanziaria, stipulato dalla stessa L. Group s.p.a. con la Immobiliare M. s.r.l. (società le cui quote appartenevano B. C., B. G. e B. M.), avente ad oggetto lo stesso immobile, con le statuizioni conseguenti.
Le richieste si fondavano sulla deduzione che la complessa operazione negoziale configurasse, in luogo di dell'apparente contratto di sale e lease back, un accordo illecito, volto ad aggirare il divieto del patto commissorio, sancito dall'art. 2744 c.c., perché otteneva il risultato di garantire un finanziamento tramite la cessione di un bene immobile in favore del finanziatore.
L'Immobiliare L. s.r.l. ha impugnato il lodo, prospettando il vizio sancito all'art. 829, comma 3, c.p.c., in ragione della ritenuta contrarietà all'ordine pubblico della decisione arbitrale.
Gli intervenienti nel giudizio arbitrale si sono costituiti, proponendo appello incidentale di analogo contenuto.
Il Credito S. s.p.a. ha eccepito in via preliminare l'inammissibilità dell'impugnazione, chiedendone comunque il rigetto nel merito.
Con sentenza n. 805/2018 depositata il 17/04/2018, la Corte d'appello di Palermo ha dichiarato inammissibile l'impugnazione, escludendo che il mancato riconoscimento dell'esistenza di un patto commissorio, vietato dall'art. 2744 c.c., potesse rendere la decisione arbitrale contraria all'ordine pubblico.
In particolare, la Corte di merito ha ritenuto decisiva la distinzione tra l'illiceità negoziale derivante dalla violazione di norme imperative e quella conseguente alla contrarietà all'ordine pubblico, riconducendo la violazione del divieto del patto commissorio alla prima categoria, perché il menzionato divieto è volto a salvaguardare il patrimonio del contraente economicamente più debole e non è destinato a tutelare interessi che trascendono i diritti del singolo, investendo l'intera collettività.
Avverso tale statuizione, la Immobiliare L. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo.
Il Credito Valtellinese s.p.a., che ha incorporato in sede di fusione il Credito S. s.p.a. si è difeso con controricorso, sollevando anche eccezioni di inammissibilità.
Anche B. C. e S. C. hanno notificato controricorso, qualificato anche come atto di intervento, a sostegno del motivo formulato dalla ricorrente.
La Immobiliare M. s.r.l. e B. G., nonostante la ritualità della notifica del ricorso per cassazione, sono rimasti intimati.
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale C. M., ha depositato, in data 07/02/2022, le proprie conclusioni scritte, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
La Immobiliare L. s.r.l., B. C. e S. C. hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 829 c.p.c. e dell'art. 2744 c.c., per avere la Corte d'appello escluso che ricorresse l'ipotesi di nullità del lodo per l'assunzione di una decisone contraria all'ordine pubblico, ritenendo che il divieto sancito dall'art. 2744 c.c. non contenesse un principio di ordine pubblico.
Parte ricorrente ha evidenziato che, secondo la Corte di merito, il riferimento all'ordine pubblico contenuto nell'art. 829, comma 3, c.p.c. non consente di comprendere anche le norme imperative, cui ha ricondotto il divieto del patto commissorio, stigmatizzando la debolezza degli argomenti della Corte di merito, ove ha affiancato il divieto del patto commissorio ai rimedi sanciti dall'art. 1448 c.c. (rescissione del contratto per lesione) e dall'art. 1467 c.c. (risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta), senza tenere conto che tali rimedi possono essere richiesti solo dalla parte lesa, mentre la nullità prevista dall'art. 2744 c.c. è rilevabile anche d'ufficio.
Dopo aver richiamato l'evoluzione giurisprudenziale sull'interpretazione di tale divieto - la cui ratio è rinvenuta nell'esigenza di evitare di esporre il debitore, parte contrattualmente più debole, ad eventuali abusi del creditore, che potrebbe conseguire la titolarità di beni ben superiore all'importo del credito garantito - la ricorrente ha, poi, illustrato un diverso orientamento interpretativo, cui ha mostrato di aderire, secondo il quale il divieto sancito dall'art. 2744 c.c. ha fondamento nell'interesse dell'ordinamento ad impedire l'autotutela privata del creditore, contraria al principio di ordine pubblico, che riserva al monopolio statale l'attività esecutiva.
In base a tale orientamento, il patto commissorio non danneggia solo il debitore, ma anche gli altri creditori i quali, ignorando l'esistenza del trasferimento commissorio, fanno legittimo affidamento sul bene alienato in garanzia e sono danneggiati da un'attribuzione eccessiva a beneficio del creditore che ha ottenuto il trasferimento in garanzia, con lesione della par condicio creditorum, inteso come indiscusso principio di ordine pubblico.
2. Nel costituirsi, il Credito Valtellinese s.p.a. ha formulato plurime eccezioni di inammissibilità del ricorso avversario, tutte infondate.
2.1. È, in particolare, infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dello stesso, in violazione dell'art. 366. Comma 1, n. 4), c.p.c., tenuto conto che dalla semplice lettura dell'atto introduttivo del presente giudizio si evince con chiarezza che la doglianza attiene alla mancata considerazione del divieto del patto commissorio, sancito dall'art. 2744 c.c., quale principio di ordine pubblico, il cui riconoscimento avrebbe potuto consentire l'impugnazione della decisione arbitrale, ai sensi dell'art. 829, comma 3, c.p.c., dichiarata invece inammissibile dalla Corte d'appello.
2.2. È, altresì, infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto dell'indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda, in violazione dell'art. 366. Comma 1, n. 6), c.p.c., tenuto conto che l'unica censura formulata attiene alla questione giuridica inerente alla riconducibilità o meno del divieto del patto commissorio alla nozione di principio di ordine pubblico, espressamente negata dalla sentenza impugnata, con argomenti illustrati e criticati nel ricorso per cassazione, depositato unitamente a tale sentenza, nel rispetto dei termini sanciti all'art. 369 c.p.c.
2.3. È, infine, infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del disposto dell'art. 360 bis c.p.c., tenuto conto che la materia del contendere non si incentra sulla ratio del divieto del patto commissorio, ma sulla possibilità di qualificare lo stesso come principio di ordine pubblico, in modo tale che, in caso di risposta negativa, la pronuncia arbitrale che abbia erroneamente escluso la violazione dell'art. 2744 c.c. possa essere impugnata per violazione dell'art. 829, comma 3, c.p.c.
3. Nel merito il ricorso è infondato.
3.1. Questa Corte è oramai consolidata nel ritenere che qualsiasi negozio può integrare la violazione del patto commissorio, ove venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento giuridico, di far ottenere al creditore la proprietà del bene dell'altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione (così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23553 del 27/10/2020 e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4262 del 20/02/2013).
Ove vi siano più contratti tra loro collegati, non è dirimente la liceità dei singoli negozi predisposti dalle parti, dovendosi guardare al risultato complessivo, a mezzo di un esame che rimane affidato al giudice di merito.
L'art. 2744 c.c. esprime un divieto di risultato, e trova applicazione, oltre che nelle ipotesi espressamente contemplate dall'art. 2744 c.c. anche in caso di alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all'inadempimento o in quelle immediatamente traslative risolutivamente condizionate all'adempimento del debitore (v. da ultimo Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23553 del 27/10/2020).
Il patto commissorio è, infatti, ravvisabile rispetto a più negozi tra loro collegati, qualora l'assetto di interessi complessivo sia tale da far ritenere che il trasferimento di un bene sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere sia dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto, sia dal momento temporale in cui l'effetto traslativo è destinato a verificarsi, nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, sempre che tra le diverse pattuizioni sia ravvisabile un rapporto di interdipendenza e le stesse risultino funzionalmente preordinate allo scopo finale di garanzia (v. ancora Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23553 del 27/10/2020 ed anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9466 del 19/05/2004).
L'intento vietato dall'art. 2744 c.c. è, dunque, configurabile allorché sussista tra diverse pattuizioni un nesso di interdipendenza tale da far emergere la loro funzionale preordinazione allo scopo finale di garanzia piuttosto che a quello di scambio, sicché il giudice non deve limitarsi a verificare il solo tenore letterale delle clausole inserite nel contratto, o nei contratti, posti in essere dalle parti, ma è tenuto ad accertare la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale posta in essere, restando a tal fine irrilevanti sia la natura obbligatoria o reale del contratto, o dei contratti, sia il momento temporale in cui l'effetto traslativo sia destinato a verificarsi, sia, infine, quali siano gli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e perfino l'identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti (così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 27362 del 08/10/2021; v. anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23553 del 27/10/2020).
3.2. Proprio con riferimento al contratto sale and lease back, questa Corte ha precisato che si tratta di un contratto d'impresa socialmente tipico che, come tale, è, in linea di massima, astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che non sia stata posta in essere la causa concreta del L., bensì quella della vendita con funzione di garanzia, allo scopo di eludere il divieto del patto commissorio. La ricostruzione di un simile intento - sulla base di un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo motivazionale - richiede il riscontro simultaneo dei seguenti elementi sintomatici, rivelatori dell'intento contrattuale fraudolento: 1) l'esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l'impresa venditrice utilizzatrice; 2) le difficoltà economiche di quest'ultima; 3) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente (così Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4664 del 22/02/2021 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2219 del 25/01/2022).
Coerentemente con la descritta ratio del divieto, è stato anche precisato che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, può rappresentare un mezzo per sottrarsi all'applicazione del relativo divieto ogni qualvolta il versamento del prezzo da parte del compratore non si configuri come corrispettivo dovuto per l'acquisto della proprietà, ma come erogazione di un mutuo, rispetto al quale il trasferimento del bene risponda alla sola finalità di costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi in maniera diversa a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute (v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4514 del 26/02/2018).
È stata, invece, esclusa la violazione del divieto in esame, quando nella vendita immobiliare con funzione di garanzia sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell'eventualità di inadempimento del debitore, il creditore può vendere il bene, previa stima, versando al debitore l'eccedenza del prezzo rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. ed è ispirata alla medesima finalità di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso e all'epoca dell'inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento (così Cass., Sez. 3, Sentenza n. 844 del 17/01/2020; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1625 del 28/01/2015).
3.3. Com'è noto, il disposto del novellato art. 829, comma 3, c.p.c. ha escluso, in via generale, la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme di diritto relative al merito della controversia, se tale possibilità non è espressamente prevista dalle parti o dalla legge, consentendola, in via eccezionale, solo nel caso in cui la decisione sia contraria a principi di ordine pubblico.
Sebbene, dunque, l'arbitro rituale debba giudicare secondo diritto, dando applicazione al principio iura novit curia, non tutti gli errori di giudizio nell'applicazione o nell'interpretazione del diritto sono sindacabili.
Solo se l'errar iuris in iudicando comporta la violazione di un principio che è espressione di un valore essenziale dell'ordinamento (cioè di ordine pubblico), il lodo stesso frustra tale valore e diviene intollerabile, al punto da giustificarne la rimozione degli effetti (fase rescindente) e la riforma della decisione (fase rescissoria).
3.4. Come già più volte affermato da questa Corte, il richiamo alla clausola dell'ordine pubblico, operato dall'art. 829, comma 3, c.p.c., deve essere interpretato come rinvio alle norme fondamentali e cogenti dell'ordinamento e non sottende una nozione "attenuata" di ordine pubblico, che comprende tutte le norme imperative esistenti (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21850 del 09/10/2020 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25187 del 17/09/2021).
Tale soluzione si pone in piena coerenza con il dettato codicistico, che distingue tra contrarietà a norme imperative e contrarietà all'ordine pubblico (art. 1343 c.c.).
In particolare, la nozione di ordine pubblico esprime quei principi etici, economici, politici e sociali che, in un determinato momento storico, caratterizzano il nostro ordinamento nei vari campi della convivenza sociale, i "valori di fondo" del sistema giuridico italiano, che trovano in larga parte espressione nella Carta costituzionale.
Si tratta, in sintesi, di un complesso di norme e principi che esprimono interessi e valori generalizzati dell'intera collettività, dettati a tutela di interessi generali, per questo non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di compromesso (così, con riferimento all'impugnazione del lodo pronunciato secondo equità, v. Cass., Sez. 1, Sentenza, n. 16755 del 04/07/2013 e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4228 del 28/04/1999).
In tale ottica, questa Corte ha di recente escluso che costituisca causa (omissis) e contratto di mediazione, concluso con un soggetto non iscritto al ruolo dei / mediatori, escludendo che rientri tra le norme fondamentali dell'ordinamento, la regola organizzativa posta dall'art. 6 I. n. 39 del 1989 : (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21850 del 09/10/2020).
3.5. Nella stessa ottica, deve escludersi che la decisione che non riconosca l'esistenza di un patto commissorio possa ritenersi violativa di principi di ordine pubblico.
Come sopra evidenziato, l'art. 2744 c.c. esprime un divieto di risultato, mirando a difendere il debitore da illecite coercizioni del creditore ed è dunque posta a tutela del patrimonio individuale del contraente più debole, senza coinvolgere interessi fondamentali e generali della collettività, tant'è che, ove tali coercizioni non siano ravvisabili, come avviene nel caso in cui il trasferimento in garanzia sia affiancato da un patto marciano, la nullità non è neppure configurabile.
Lo stesso legislatore, adottando il d.lgs. n. 170 del 2004, in attuazione della direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, ha espressamente escluso l'applicabilità ai contratti di garanzia finanziaria, che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, l'applicazione dell'articolo 2744 c.c. (art. 6 d.lgs. cit.).
Non può dunque ritenersi che il divieto del patto commissorio, pur esprimendo una norma imperativa, rappresenti un valore generale fondante del nostro ordinamento, che non può in alcun modo essere violato, tenuto conto che lo stesso nostro ordinamento consente delle deroghe ad esso.
4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto in applicazione del seguente principio:
"In tema di impugnazione del lodo per contrarietà a/l'ordine pubblico, deve escludersi che la decisione arbitrale possa essere impugnata per violazione del divieto del patto commissorio, poiché il disposto dell'art. 2744 c.c., pur trattandosi di una norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell'ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente, tant'è che lo stesso legislatore ha previsto all'art. 6 d.lgs. n. 170 del 2004 ipotesi in cui tale divieto non si applica".
5. Le spese devono essere interamente compensate tra le parti costituite, in considerazione della novità, al tempo della proposizione del ricorso, della questione in diritto prospettata.
Nessuna statuizione sulle spese deve, invece, essere adottata con riferimento alle parti rimaste intimate.
6. In applicazione dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Compensa tra le parti costituite le spese di lite;
Dà atto, in applicazione dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l'impugnazione proposta, se dovuto.