
La Cassazione afferma che sono idonee ad integrare la legittimazione del PM anche le mere condotte menzionate nell'art. 7, n. 1, seconda parte l. fall. che non per forza integrano reati e anzi generalmente non sono tali.
La Corte d'Appello di Bologna respingeva il reclamo proposto contro la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento della società su ricorso del PM, rilevando che:
- Sussisteva la legittimazione attiva del PM;
- Non c'era prova del fatto che la società non superasse i requisiti dimensionali ai fini della...
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 15 aprile 2019 ha respinto il reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Modena n. 164 del 2018, che ha dichiarato il fallimento della I.G. s.r.l. in liquidazione, su ricorso del Pubblico Ministero.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
a) sussiste la legittimazione attiva del pubblico ministero, essendo sufficiente l’acquisizione della notitia decoctionis nell’ambito di indagini per operazioni infragruppo aperte ex artt. 216 e 223 l. fall. a seguito di segnalazione del curatore ex art. 33 l. fall.; b) non è provato che la società non superasse i requisiti dimensionali per la fallibilità, risultando l’opposto dai bilanci prodotti; c) sussiste lo stato di insolvenza, come palesato dal passivo societario e dall’essere gli immobili di proprietà della società esecutati per importi notevolmente superiore ai crediti per cui si procede.
Contro questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla società soccombente, affidato ad un motivo.
Non svolge difese la procedura.
Motivi della decisione
1.– Con l’unico motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c. e 7 l. fall., ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., con nullità della sentenza, perché nella richiesta di fallimento avanzata dal P.M. manca ogni riferimento ad una delle ipotesi di cui all’art. 7 l. fall., menzionando essa soltanto la relazione del curatore ex art. 33 l. fall., che però non costituisce la notizia pervenuta dal giudice civile, ai sensi del n. 2 dell’art. 7 citato; mentre le nuove deduzioni della procura in sede di reclamo erano inammissibili, ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
2.– Il motivo è infondato.
2.1.– L’art. 7 l. fall. prevede che il pubblico ministero presenti
la richiesta di fallimento: «1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore; 2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile».
2.2.– Non è controverso che la notizia risultasse dalla relazione del curatore, resa ai sensi dell’art. 33 l. fall.
L’art. 33, comma 4, l. fall. prevede che la relazione redatta dal curatore, depositata nella cancelleria del tribunale fallimentare e diretta al giudice delegato, sia trasmessa, nel suo testo integrale, al pubblico ministero.
L’invio avviene d’ufficio, onde non è il curatore che segnala alcunché, perché è la legge fallimentare a prevedere che quella relazione, diretta dal curatore al giudice delegato, sia inviata dal tribunale al P.M. Essa costituisce il secondo atto che la Procura riceve, dopo la dichiarazione di fallimento: la sentenza fallimentare, cui viene quindi “abbinata” la relazione ex art. 33 l. fall., è iscritta a «modello 45», ossia il c.d. modello delle non notizie di reato, salva la trasformazione a «modello 21», quello delle notizie di reato, di quanto appreso e dunque formale apertura di indagini a carico del fallito.
A norma del medesimo art. 33, il giudice delegato ordina il deposito della relazione in cancelleria, disponendo proprio la segretazione delle parti attinenti alla responsabilità penale, alle azioni del curatore e ai dati sensibili del fallito, mentre il P.M. riceve l’atto nella sua integralità.
La modifica normativa, sul punto, rispetta l’iter precedente, per il quale l’invio della relazione al P.M. avviene da parte del tribunale (non del curatore); nella prassi, il giudice delegato si riserva di affiancare a detto invio, che è atto dovuto, una nota di accompagnamento illustrativa di determinate circostanze; in ogni caso, il P.M. riceve dal tribunale, nella sua integralità, un atto formato dal curatore per il giudice delegato e soggetto a potestà valutativa, ai fini della sua ostensione interna, del giudice delegato stesso.
2.3.– Questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. 25 agosto 2017, n. 20400) che la ratio dell’art. 7 l. fall., una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è nel senso di estendere la legittimazione del P.M. alla presentazione della richiesta in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis, e tale soluzione interpretativa trova conforto sia nella previsione dell’art. 7, comma 1, n. 2, l. fall., che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, sia nella relazione allo schema di d.lgs. di riforma delle procedure concorsuali, che fa riferimento a qualsiasi notitia decoctionis emersa nel corso di un procedimento penale (cfr. Cass. 15 maggio 2014, n. 10679; Cass. 5 maggio 2016, n. 8977; Cass. 16 novembre 2016, n. 23391).
Il riferimento contenuto nell’art. 7, comma 1, n. 1, l. fall. al riscontro della notitia decoctionis «nel corso di un procedimento penale» non deve perciò essere interpretato in senso riduttivo, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi (Cass. 5 maggio 2016, n. 8977).
Una conferma in questo senso viene dal tenore art. 7, comma 1, n. 1, l. fall., che, nel separare in termini alternativi la notizia appresa nel corso di un procedimento penale dai casi elencati nella seconda parte della norma, consentendo di ravvisare nella fuga, irreperibilità, latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo altrettante ipotesi di legittimazione che possono anche essere esterne a un procedimento penale, attribuisce la legittimazione al P.M. in ipotesi in cui la notitia decoctionis viene conosciuta non necessariamente nell’ambito di un procedimento penale, ma anche nel corso dello svolgimento delle proprie attività istituzionali, siano esse di direzione dell’investigazione o di ricezione di informazioni (Cass. 6 aprile 2017, n. 8903, non massimata).
Se l’iniziativa del P.M. dipende non dalla preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati, bensì dalla conoscenza di circostanze apprese nell’ambito dello svolgimento dei compiti istituzionali affidati al magistrato requirente, non può essere posto in dubbio che la notitia decoctionis possa essere ricavata dal magistrato inquirente anche dalla lettura degli atti a lui trasmessi ed iscritti a «modello 45» perché privi di rilevanza penale, dato che una simile attività rientra nei compiti istituzionali attribuitigli e può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l’iniziativa volta alla dichiarazione di insolvenza (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27539, non massimata).
Ed invero, come precisato dalla Corte (Cass. 14 gennaio 2019, n. 646; Cass. 29 settembre 2021, n. 26407), sono idonee ad integrare la legittimazione del pubblico ministero le mere condotte menzionate nell’art. 7, n. 1, seconda parte l. fall., che non di necessità integrano reati e, anzi, generalmente non sono tali.
In tale ordine di concetti, si è affermato (Cass. 29 settembre 2021, n. 26407, cit.) che l’esame da parte del pubblico ministero dei risultati di un’indagine svolta dalla Guardia di Finanza – vuoi se preventivamente disposta dall’organo giurisdizionale in ordine all’esercizio del proprio potere investigativo, vuoi se eseguita autonomamente dal predetto corpo di polizia, e trasmessa all’ufficio di Procura – rientra pienamente nell’attività istituzionale dell’organo giurisdizionale inquirente; ove gli esiti dell’indagine evidenzino la notitia decoctionis, mediante la rappresentazione di esposizioni debitorie verso il fisco astrattamente idonee a costituire fattispecie incriminatrici speciali, il pubblico ministero è pienamente legittimato ad esercitare l’iniziativa di richiedere il fallimento.
Pertanto, è legittima l’iniziativa del pubblico ministero, ove pure essa sia stata assunta sulla base di una notitia decoctionis appresa dalla relazione di un amministratore giudiziario nominato nell’ambito di un sequestro preventivo, disposto e poi revocato dal G.I.P. Mentre ininfluente, ai fini dell’utilizzabilità della predetta relazione, deve ritenersi anche l’eventuale difetto dei requisiti di validità specificamente prescritti dalla normativa che disciplina il relativo procedimento, dal momento che l’art. 7 della legge fall., nel consentire l’acquisizione della notitia decoctionis attraverso le risultanze di un procedimento penale o la segnalazione del giudice civile, non prescrive l’osservanza di forme determinate, richiedendo solo che la stessa sia stata appresa nell’esercizio delle funzioni istituzionali (Cass. n. 21200 del 2021).
Si tratta, altresì, di condotte non tassative, in quanto la loro elencazione è esemplificativa di accadimenti comunque appresi dal P.M. nell’esercizio delle sue funzioni. Ciò, in continuità all’indirizzo che, validando le richieste del P.M. sorte da notitiae decoctionis apprese in procedimenti aperti sub «modello 45», per definizione attinge non da procedimenti penali pendenti, ma da procedimenti di mera competenza del P.M.
La trasmissione di svariati atti concorsuali al P.M., dunque, già lo investe di elementi potenzialmente suscettibili di riferirsi ad una notitia decoctionis: sia ai fini interni (onde il P.M. può chiedere il fallimento di un debitore che ha depositato domanda di concordato per il solo fatto che ne è stato notiziato ai sensi dell’art. 161 l. fall., senza necessità di invocare alcuno dei requisiti dell’art. 7 l. fall.: cfr., fra le altre, Cass. 23 ottobre 2019, n. 27200; 16 marzo 2018, n. 6649; 28 febbraio 2017, n. 5074), sia ai fini esterni (come per le relazioni ex art. 33 l. fall., che gli debbono essere indefettibilmente trasmesse dall’ufficio, e che dunque sono anch’esse informazioni veicolate in modo speciale e distinte, rispetto all’eventuale riferimento del giudice civile del n. 2 dell’art. 7 l. fall.).
Viene, in tal modo, legittimata l’iniziativa del P.M., se tratta dalla sua partecipazione a processi o procedimenti ed ivi conosca della decozione di una parte o di un terzo: in altri termini, ciò che conta è che un fatto sensibile, ai sensi degli artt. 1-5 l. fall., sia portato all’attenzione del pubblico ministero per le sue valutazioni e ciò avvenga nell’ambito di una competenza propria: ogni volta che il P.M. è destinatario di alcuni atti tipici, all’interno di quell’atto può esservi una notitia decoctionis, che lo legittima alla iniziativa di fallimento anche verso terzi; l’unico limite è che gli è vietato di aprire un fascicolo per insolvenza di un imprenditore ex abrupto, dovendo egli avere appreso la notizia dell’insolvenza nell’ambito delle sue competenze istituzionali, civili o penali o disciplinari che siano.
2.4.– Nella specie, la notizia proveniva dalla relazione del curatore, resa ai sensi dell’art. 33 l. fall., ed inoltre la sentenza impugnata dà conto della pendenza di un procedimento per bancarotta, ai sensi degli artt. 216 e 223 l.fall., indicato dal P.M. in sede di giudizio di reclamo come fonte della notitia decoctionis e delle indagini al riguardo.
Pertanto, la legittimazione è stata provata come sussistente, in sede di reclamo, ai sensi del n. 1 dell’art. 7 l. fall.
Al riguardo, va precisato che, nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, ai procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato l’art. 18 l. fall., ridenominando tale mezzo come «reclamo» in luogo del precedente «appello», non operano i limiti previsti, in tema di appello, dagli art. 342 e 345 c.p.c. (Cass. 19 febbraio 2019, n. 4893), essendo il reclamo proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento caratterizzato da un effetto devolutivo pieno, con conseguente facoltà per le parti di proporre questioni non affrontate nel giudizio innanzi al tribunale (Cass. 28 marzo 2017, n. 7959; v. pure Cass. 6 marzo 2017, n. 5520).
La legittimazione attiva, in sostanza, esisteva sin dal principio ed è solo la certezza della stessa ad essere stata acquisita nel corso del procedimento di reclamo.
3.– Non vi è luogo alla liquidazione delle spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.