Sulla scia del monito che la Corte costituzionale ha indirizzato al giudice penale, la giurisprudenza più recente ha accolto un'accezione più ristretta dei concetti di “famiglia” e di “convivenza”.
La Corte d'Appello di Brescia confermava la condanna inflitta in primo grado nei confronti dell'imputato per il delitto di maltrattamenti e di lesioni volontarie ai danni della ex convivente, con la quale aveva avuto una figlia.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando il travisamento delle prove testimoniali a...
Svolgimento del processo
1. D.B., attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Brescia del 15 novembre 2021, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in danno di A.B., con la quale aveva convissuto ed aveva generato una figlia, e per quello di lesioni volontarie nei confronti della medesima e del padre di lei, R., entrambi costituitisi nel processo come parti civili.
2. Il ricorso consta di due motivi.
2.1. Con il primo, si lamenta il travisamento delle prove testimoniali a discarico, che, se valutate correttamente, avrebbero condotto ad escludere l'abitualità delle condotte, l'esistenza dei due episodi aggressivi denunciati dalle vittime, l'indole irascibile dell'imputato ed il suo disinteresse verso la figlia.
2.2. Con il secondo, si deduce l'intervenuta prescrizione del delitto di maltrattamenti, sul presupposto della configurabilità del medesimo, semmai esistente, fino al momento della cessazione della convivenza della coppia, avvenuta nel luglio dell'anno 2011.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso.
4. Hanno depositato argomentate conclusioni scritte e note spese i difensori delle parti civili, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
5. Ha depositato memoria e conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l'accoglimento dell'impugnazione.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso non può essere ammesso, risolvendosi nella contestazione della valenza dimostrativa degli elementi di prova valorizzati in sentenza, di cui si assume la soccombenza rispetto a quelli addotti a discarico: di questi ultimi, tuttavia, il ricorso si limita a riproporre, in sintesi e per stralcio, i contenuti, senza però misurarsi con le argomentazioni logiche poste dalla Corte distrettuale a sostegno del proprio giudizio (pag. 7 s., sent.).
La doglianza, dunque, si presenta generica nonché funzionale ad ottenere dalla Corte di cassazione un giudizio di merito, che però non le compete, potendosi in questa sede censurare soltanto l'omessa valutazione od il fraintendimento palese del complessivo alato probatorio, che sia tale da disarticolare, sul piano logico, la ricostruzione dei fatti compiuta in sentenza.
Dunque, non rilevandosi un siffatto vizio nel provvedimento sottoposto a scrutinio, lo stesso, sotto il profilo in esame, si sottrae a censura.
2. Non così, invece, con riferimento al secondo motivo di ricorso, in punto di momento consumativo del delitto di maltrattamenti, con i correlati riflessi sull'eventuale decorso del relativo termine di prescrizione.
Entrambi i giudici di merito hanno escluso la prescrizione del reato, ritenendo che lo stesso sia configurabile anche in assenza di convivenza tra l'autore e la vittima delle relative condotte e richiamando, a loro sostegno, alcuni precedenti di un robusto indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo il Collegio, però, si tratta di una lettura normativa che merita una riflessione ulteriore.
2.1. Frutto dello sforzo dell'interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell'àmbito di rapporti affettivi, dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi, essa deve ora misurarsi con i numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal d.l. n. 11 del 2009, conv. dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, cod. pen.), e dalla stessa legge n. 172 del 2012, che esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona «comunque convivente» senza altro aggiungere.
In tal senso, non può obliterarsi l'espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem che caratterizza le norme incriminatrici.
Chiamato a pronunciarsi ex professo su una questione di rito, sorta all'interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire - non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di "famiglia" o di "convivenza", alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni. Ma, immediatamente dopo, ha ammonito che, «in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572, cod. pen., in casi siffatti - in luogo dell'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (...), ma comunque preclusa dall'art. 25, secondo comma, Cost.» (Corte cost., sentenza n. 98 del 2021).
2.2. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito.
In ipotesi soltanto apparentemente differenti da quella in esame - poiché caratterizzate dal comune denominatore dell'assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti - questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; ed ancora: Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120; Sez. 6, n. 10626 del 16/02/2022, L., Rv. 283003).
In conclusione, il divieto di interp1·etazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25, Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'art. 572, cod. pen., di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" nell'accezione più ristretta: quella, cioè, dii una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti).
3. In applicazione di tale principio, è compito del giudice di merito verificare fino a quando il rapporto di "convivenza", così definito, si sia protratto tra l'imputato e la B., rilevando, all'esito di tale indagine di fatto, a quale fattispecie incriminatrice debbano ricondursi le condotte accertate e, di conseguenza, se il reato così individuato si sia o meno estinto per prescrizione, anche in considerazione di eventuali sospensioni del decorso del relativo termine, non evincibili dalla sentenza impugnata.
Quest'ultima dev'essere perciò annullata con rinvio, onde consentire al giudice di merito di compiere i necessari accertamenti in fatto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.