La Cassazione ribadisce la nozione di “parte” e la necessità di bilanciare il diritto di cronaca con gli altri interessi coinvolti.
Gli attuali ricorrenti, appartenenti all'Ordine dei giornalisti, propongono ricorso straordinario
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa il 10 ottobre 2021, la Corte d'Assise di Como, disponeva la celebrazione a porte chiuse del dibattimento pendente a carico di M.G.R., con conseguente esclusione della presenza dei giornalisti professionisti, rigettando così l'istanza a tale scopo formulata dall'Ordine dei giornalisti della Lombardia e dai giornalisti professionisti F.S., L.A., M.P., P.M. e P.P., presentata in data 10 ottobre 2021 e integrata il successivo 18 ottobre 2021.
2. Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso straordinario ex art. 111 co. 7 della Costituzione gli istanti a mezzo del difensore, avv.to G.C., deducendo:
a) violazione degli artt. 2 e 21 della Costituzione, nonché dell'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Preliminarmente si sottolinea come, alle predette disposizioni, che tutelano la libertà di manifestazione del pensiero, sarebbe riconducibile il diritto dell'opinione pubblica di essere correttamente informata dalla stampa, oltre che i principi della pubblicità del giudizio inteso come cardine dell'ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare su cui si basa l'amministrazione della giustizia, nonché come garanzia del controllo della pubblica opinione sullo svolgimento del procedimento.
Rispetto all'impugnabilità dei predetti provvedimenti, si sottolinea come, non prevedendo gli articoli 472 e 473 cod. proc. pen. alcun mezzo di impugnazione avverso le ordinanze rese in materia di pubblicità del giudizio e di accesso al medesimo, ne risulta che queste, essendo dotate dei caratteri della decisorietà e della definitività e incidendo su diritti soggettivi "pubblici", quali il diritto all'informazione, sarebbero ricorribili con ricorso straordinario secondo la previsione dell'art. 111, CO. 7, Cost.
Inoltre, la deroga alla pubblicità del dibattimento di cui all'articolo 472, comma 3-bis, cod. proc. pen. non deve considerarsi assoluta e non opera nei confronti dei giornalisti professionisti, dato che questi ultimi garantiscono il diritto ad informare l'opinione pubblica e quindi rientrano tra le persone che "hanno il diritto di intervenire" ex art. 473, comma 2, cod. proc. pen. Ciò è confermato dalla circostanza che i giornalisti, in virtù della funzione che ricoprono, beneficiano della causa di esclusione di punibilità in relazione ai reati commessi nella ricerca e nella successiva divulgazione di notizie. Premesso ciò, sarebbe quindi illogico e discriminatorio escludere la rilevanza del diritto di cronaca e la loro partecipazione ai procedimenti celebrati a porte chiuse.
Inoltre, la previsione di cui all'art. 147 disp. att. cod. proc. pen., nel prevedere che non possano essere autorizzate le riprese o trasmissioni nei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse, fa riferimento alle sole ipotesi di cui all'art. 472, commi 1, 2 e 4, cod. proc. pen. con esclusione delle ipotesi di cui al comma 3-bis, che ricorre nel caso in esame. Per queste situazioni rimarrebbe valida la possibilità dell'autorizzazione alla partecipazione dei giornalisti anche senza il consenso delle parti quando sussista un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. Tale interesse sussiste nel caso di specie, che, pur riguardando un episodio attinente alla sfera privata e familiare, si caratterizza per un elevato livello di gravità del fatto, tale da assumere rilevanza di carattere pubblicistico.
Motivi della decisione
Il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione alla sua proposizione in capo ai ricorrenti e perché proposto avverso provvedimento non autonomamente impugnabile.
1. L'art. 568 del codice di procedura penale stabilisce il principio generale di tassatività delle impugnazioni che va declinato in riferimento ai presupposti, ai mezzi ed ai soggetti ammessi alla proposizione. Con riferimento alla legittimazione ad impugnare il comma 3 dello stesso articolo prevede espressamente che «Il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce». A tal proposito non esistano disposizioni che conferiscano legittimazione a contestare le decisioni assunte nel corso del procedimento a soggetti che, a vario titolo, possono assistervi e che siano diversi dalle parti processuali, né che ammettano gli stessi ad impugnare l'ordinanza con la quale il giudice dispone di procedere a porte chiuse ex artt. 472 e 473 cod. proc. pen..
Tale interpretazione è confermata dalla seconda parte dell'art. 568, comma 3, cod. proc. pen. che prevede che «se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse». Il riferimento letterale alle sole "parti" del processo osta a qualsiasi possibile interpretazione estensiva con riferimento a soggetti che non considerabili tali, come i giornalisti.
Si ricorda, a questo proposito, che la giurisprudenza di legittimità interpreta il concetto di "parte" in maniera particolarmente restrittiva. Secondo l'orientamento delle Sezioni Unite, infatti, per "parte processuale" si intende "solo il difensore (o il pubblico ministero), e non l'indagato di persona (né altra parte privata), che è soggetto che non ha, o potrebbe solo accidentalmente avere, conoscenze tecnico processuali idonee ad apprezzare una violazione della legge processuale, come messo bene in luce anche dalla giurisprudenza costituzionale" (Sez. Unite, n.5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024).
Tale nozione può essere tutt'al più estesa alle parti private, come da ultimo affermato dalla Suprema Corte: "nel vigente codice di rito la nozione di "parte" deve intendersi riferita ai soggetti, attivo e passivo (pubblico ministero e imputato), dell'azione penale, nonché ai soggetti dell'eventuale azione civile proposta in sede penale (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria)" (Sez. 4, n. 3797 del 05/12/2014, dep. 2015, Azienda Autonoma Delle Terme Di Sciacca e altri, Rv. 263202 - 01). Dalla giurisprudenza riportata appare, quindi, evidente che debbano escludersi dal novero delle "parti" tutti quei soggetti che prendano parte in maniera episodica al procedimento e che, pur svolgendo funzioni di rilevanza pubblicistica (giornalisti, personale tecnico, periti, etc.) non siano titolari di interessi specifici che siano presi in considerazione dalle disposizioni codicistiche.
Nel vagliare l'ammissibilità di una concezione "dilatativa" della nozione di "parte", la giurisprudenza ha ritenuto non giustificabile l'estensione di tale concetto alle "parti potenziali" ovvero di coloro titolari di interessi soltanto potenziali (in materia di diritto all'ascolto ex art. 269 co 1 del "potenziale imputato", Sez. 5, n. 20639 del 12/03/2021, Cafforio, Rv. 281257). Ciò supporta, ad adiuvandum, l'idea che, affinché un soggetto possa ritenersi "parte", sia necessario il raggiungimento di una soglia particolarmente rigorosa con riferimento alla qualificazione degli interessi in gioco. Se tale soglia non viene raggiunta dall'interesse del "potenziale imputato", a maggior ragione, non si può ampliare ermeneuticamente il concetto di parte fino a ricomprendere al proprio interno anche soggetti, i giornalisti, titolari più che di interessi e diritti, di funzioni di rilevanza pubblicistica.
1. Nel respingere una concezione più estesa della nozione di "parte", l'orientamento richiamato pone l'accento sulla necessità di bilanciare gli "interessi anche costituzionali in gioco" (Sez. 5, n. 20639 del 12/03/2021, Cafforio, Rv. 281257). È bene dunque interrogarsi su quali siano gli interessi siano coinvolti nel caso in esame e sulla loro possibile comparazione con altri valori riconosciuti dall'ordinamento alla luce della giurisprudenza anche sovranazionale.
1.2 A questo proposito, è generalmente riconosciuto che i giornalisti, poiché esercenti attività nell'interesse dell'opinione pubblica, siano titolari di una funzione di importante rilevanza sociale a sostegno del diritto di manifestazione del pensiero tutelato dall'art. 21 della Costituzione e dall'art. 10 della Convenzione EDU, scomponibile nel diritto ad informare e ad essere informati (Vedi Corte cost., sentenze nn. 202 del 1976, 148 del 1981, 826 del 1988 e, per la giurisprudenza della Corte EDU, inter alia, Satakunnan Markkinaporssi Oy and Satamedia Oy v. Finland [GC], § 126; Bédat v. Switzerland [GC], § 51; Axel Springer AG v. Germany [GCJ, § 79; The Sunday Times v. the Uniteci Kingdom (no. 2), § 50; Bladet Troms0 and Stensaas v. Norway [GCJ, §§ 59 and 62; Pedersen and Baadsgaard v. Denmark [GC], § 71; News Verlags GmbH & Co.KG v. Austria, § 56; Dupuis and Others v. France,§ 35; Campos Damaso v. Portugal, § 31).
1.3 È altresì vero che il diritto, o meglio la libertà, di informare richiede sempre il bilanciamento con gli altri diritti tutelati dalla Costituzione e dalla Convenzione EDU (a tal proposito, Perinçek v. Switzerland [GC], § 274; Axel Springer AG v. Germany [GC], §§ 83-84; Von Hannover v. Germany (no. 2) [GC], §§ 104-107)) e, nel caso di specie, vengono in gioco il diritto alla riservatezza dei soggetti implicati nel processo ed il rispetto della vita privata e familiare, pur sempre tutelato dalla Costituzione all'art. 2 e dall'art. 8 Convenzione EDU.
È anche in virtù di tali diritti e di un bilanciamento tra gli stessi che l'articolo all'art. 472, comma 3-bis, cod. proc. pen. appresta forme rafforzate di tutela in ipotesi riguardanti delitti di particolare gravità e soprattutto nel caso di parte offesa minorenne. In quest'ultimo caso, la valutazione dell'interesse pubblico ad accedere al dibattimento, normalmente rimessa al giudice è stata realizzata, a priori, dal legislatore che ha previsto che si proceda "sempre" a porte chiuse. A tutela del diritto di informare e di essere informati, permane, comunque, l'obbligo di motivazione dell'ordinanza in esame, in modo tale da rendere evidente il bilanciamento fra contrapposti interessi operato dal giudice.
Nel bilanciamento tra gli interessi coinvolti, assume, quindi, rilievo preminente il diritto alla riservatezza ed al rispetto della vita privata e familiare.
2. II ricorso si presenta, inoltre, inammissibile in quanto proposto avverso provvedimento non autonomamente impugnabile mediante ricorso per cassazione. In primo luogo, vale quanto detto in precedenza con riferimento al principio di tassatività delle impugnazioni. L'articolo 56 , comma 1, cod. proc. pen. prevede espressamente che «la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati». L'ordinanza con la quale il giudice ordina di procedere a porte chiuse non rientra tra questi casi perché non vi è disposizione dell'ordinamento processuale che ne consenta l'impugnabilità.
2. Bisogna quindi valutare se la proponibilità di ricorso sia consentita quale rimedio straordinario dall'art. 111, comma 7, della Costituzione. L'ammissibilità di tale strumento di tutela è condizionata dai caratteri di decisorietà e decisività del provvedimento impugnato e dalla sua idoneità ad incidere irrevocabilmente su diritti soggettivi, senza che sia riconosciuta la possibilità di contestazione mediante esperimento di un altro tipico mezzo di impugnazione.
Nel caso specifico, a prescindere dalla qualificazione del diritto ad informare quale diritto soggettivo del giornalista, l'ordinanza impugnata non è dotata del carattere della decisività e dell'idoneità ad incidere in via definitiva sui diritti degli interessati, essendo revocabile dal giudice ove siano cessati motivi che hanno suggerito l'adozione del provvedimento ex art. 473 co 1.
Essendo il ricorso inammissibile per le cause indicate, è superfluo esaminare nel merito il motivo di ricorso presentato dai ricorrenti.
Mancando requisiti indispensabili di legittimazione al ricorso e dell'impugnabilità del provvedimento, sussistono i presupposti per la declaratoria di inammissibilità de plano ex art 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.