La preesistenza dei beni non può essere desunta dal disavanzo e dal passivo o anche dal silenzio del fallito. Su quest'ultimo, infatti, non grava l'onere della prova.
La Corte d'Appello di Catania accertava la responsabilità penale dell'attuale ricorrente per aver distratto o comunque occultato tutti i beni della società a fronte di un passivo di quasi quindici milioni di euro, integrando in tal modo il delitto di bancarotta fraudolenta.
L'imputato ricorre in Cassazione censurando la sentenza impugnata in...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Catania, con la sentenza emessa il 30 aprile 2021 in riforma della sentenza del Tribunale di Catania del 11 novembre 2014, che accertava la responsabilità penale di A.P., rideterminava la durata delle pene accessorie fallimentari nella misura di anni quattro, confermando la sentenza nel resto.
Il P. era stato condannato in primo grado per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta documentale, nonché per fatti di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 223 comma 2 n. 2 I fall, per aver cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose H fallimento della società.
In particolare venivano addebitate al P., in qualità di amministratore della A. s.r.l., la distrazione o comunque l'occultamento di tutti i beni della società a fronte di un passivo di quasi quindici milioni di euro, costituito quasi integralmente da debiti verso il concessionario per la riscossione S. s.p.a., e un attivo inesistente. Ritenevano i Giudici di merito che P., prima della dichiarazione di fallimento, avesse omesso di versare imposte, quali Irpeg e Iva, relativamente agli anni di imposta 2002, 2003 e 2004 e avesse poi proseguito l'attività di impresa nonostante un deficit del patrimonio netto di gran lunga superiore all'entità del capitale sociale, pari a diecimila euro, così cagionando con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
Sarebbero difettate del tutto, secondo la sentenza impugnata, a fronte della cessazione di fatto dell'attività di impresa nel 2005, iniziative del P. tese al risanamento della società, comportando ciò un rilevante aggravamento delle perdite con la maturazione di interessi passivi connessi ai debiti tributari.
Quanto alla bancarotta documentale, P. ne sarebbe responsabile per l'occultamento o la sottrazione dei libri e delle scritture contabili, in tal modo non rendendo possibile la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari e con il dolo di procurare a sé e ai prossimi congiunti un ingiusto profitto o comunque di recare pregiudizio ai creditori
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di A.P. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod.proc.pen.
3. Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall. e vizio di motivazione in ordine alla prova della attività distrattiva.
In particolare il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha ritenuto comprovata la bancarotta senza individuare i beni che sono stati oggetto di distrazione, quanto al profilo oggettivo, desumendo ciò dalla circostanza che alcun bene è stato rinvenuto all'atto del fallimento con una sostanziale presunzione di responsabilità; anche in ordine alla violazione dell'art. 223, non vi sarebbe la prova del nesso eziologico fra le condotte di evasione fiscale e di mancata ricapitalizzazione contestate e il fallimento. Difetterebbe la prova del dolo di tutte le fattispecie in contestazione.
4. Il secondo motivo deduce violazione di legge in ordine agli artt. 217 e 224 legge fall. e vizio di motivazione per l'omessa riqualificazione nel reato in bancarotta semplice. In particolare il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver accolto il motivo di appello relativo alla natura imprudente e dunque colposa e non dolosa della condotta del P., che avrebbe condotto ad aggravare il dissesto senza richiedere il fallimento, compiendo operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, in violazione degli obblighi di cui all'art. 224. L'attività di impresa era cessata sette anni prima rispetto alla dichiarazione di fallimento.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - in data 21 aprile 2022, con le quali ha chiesto accogliersi il ricorso in relazione alla bancarotta per distrazione, non essendo stata fornita la prova della preesistenza dei beni; dichiararsi manifestamente infondate le censure in ordine alla violazione dell'art. 223 comma 2 n. 2 I fall, come pure inammissibile quella afferente la bancarotta documentale perché generica.
6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione logica.
2.1 A ben vedere il primo motivo è fondato in quanto la sentenza impugnata si limita a desumere la responsabilità da bancarotta per distrazione, quanto alla condotta materiale, esclusivamente dalla circostanza che l'attuale ricorrente non avrebbe provato la destinazione 'aziendale' dei beni.
La Corte di appello, però, non rende conto della preesistenza dei beni che ritiene distratti, pur richiamando in astratto la necessità di tale preliminare valutazione (fol. 6 della sentenza).
Per altro la preesistenza dei beni distratti neanche può essere desunta, come ritiene invece la Corte territoriale, dal disavanzo e dal passivo o anche dal silenzio del fallito, in quanto l'onere della prova in ordine alla esistenza pregressa dei beni non spetta a quest'ultimo.
E' infatti principio consolidato che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richieda l'accertamento della previa disponibilità dei beni (sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta, Rv. 249715), nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, De Angelis, Rv. 248425; Sez. 5, n. 22787 del 12/05/2010, Colizza, Rv. 247520), non potendo la distrazione né essere desunta dall'accertamento del pass vo e dal disavanzo, come invece ritenuto dalla Corte di appello di Catania, giacché, in tal caso, il reato di bancarotta fraudolenta sarebbe ravvisabile in ogni ipotesi cli fallimento (Sez. 5, n. 39942 del 01/07/2008, Gualdi, Rv. 241729 - 01; Sez. 5, n. 42382 del 24/09/2004, Blancardi, Rv. 231011), né tanto meno essere tratta dall'inadempimento di un onere di dimostrazione in capo al fallito (Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
La Corte di appello, pur richiamando a più riprese tali orientamenti, non ne ha fatto concreto e buon governo, pertanto la sentenza va annullata con rinvio quanto a tale profilo.
Dal deficit motivazionale descritto, consegue anche la fondatezza del primo e del secondo motivo quanto alla carenza di motivazione in ordine al dolo richiesto per le altre condotte in contestazione. A riguardo rileva il Collegio come la Corte territoriale non abbia adeguatamente motivato, pur reiteràndo a più riprese la medesima motivazione, quanto al dolo, specifico o generico, richiesto per le due ipotesi entrambe contestate di bancarotta documentale, consistente nella volontà di arrecare pregiudizio ai creditori o comunque di rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società.
A ben vedere in tema di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., il dolo generico deve essere desunto, con metodo logico-inferenziale, dalle modalità della condotta contestata, e non dal solo fatto che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, fatto che costituisce l'elemento materiale del reato ed è comune alla diversa e meno grave fattispecie di bancarotta semplice, incriminata dall'art. 217, comma secondo, legge fall.; né può essere dedotto dalla circostanza che l'imprenditore si sia reso irreperibile dopo il fallimento, costituendo detta condotta un "posterius" rispetto al fatto-reato (Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani, Rv. 276910 - 01; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384 - 01; Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, dep. 09/01/2007, Vianello, Rv. 236032 - 01).
E pertanto, nel caso in esame, l'accoglimento del primo motivo di ricorso in ordine al deficit di motivazione quanto alla preesistenza dei beni e, dunque, alla intervenuta distrazione degli stessi, impone una motivazione particolarmente rigorosa sull'elemento soggettivo dell'addebito documentale, la cui prova non può giovarsi della presunzione logica per la quale l'irregolare tenuta delle scritture contabili è di regola funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.
Pertanto la motivazione concernente la sussistenza degli 'indici di fraudolenza' della condotta di tenuta irregolare delle scritture contabili deve essere maggiormente rigorosa, in quanto la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione patrimoniale e finanziaria della società fallita di per sé celerebbe, sul piano pratico, lo scopo di danneggiare i creditori (animus nocendi) o di procurarsi un vantaggio (animus Jucrandi), essendo sovente funzionale alla dissimulazione o all'occultamento di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani, Rv. 276910 - 01), che nel caso in esame la Corte di appello dovrà verificare.
Spetta alla Corte di appello di Catania, quindi, chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l'oggettiva impossibilità di ricostruzione - e a maggior ragione dare conto in ordine alla volontà di pregiudicare i creditori, dolo richiesto dalla bancarotta documentale specifica - e non invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza por mente alle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest'ultimo caso, si integra l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma secondo, legge fall.
2.2 Ad analoghe conclusioni deve giungere questa Corte in ordine alla contestazione della causazione dolosa del fallimento, prevista dall'art. 223, primo capoverso - n. 2, della legge fallimentare. Nel caso in esame è indubbio - e non è contestato - che non vi fu la convocazione dell'assemblea dei soci ai sensi degli artt. 2448 e 2449 cod. civ. e che vi fosse stato l'omesso versamento delle imposte negli anni dal 2002 al 2004 (fol. 7 della sentenza impugnata) e che tali condotte omissive ben possano integrare, quanto al profilo oggettivo, le condotte di reato contestate ai sensi dell'art. 223, comma 2, n. 2 legge fall. (tra le altre, Sez. 5, n. 43562 del 11/06/2019, Vigna, Rv. 277125 -'01; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 17/03/2014, Rv. 259997 - 01).
Quanto al profilo soggettivo, invece, la fattispecie in esame comprende due ipotesi autonome, che vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l'effetto - dal punto di vista della causalità materiale - di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio dello stesso.
La prima fattispecie è, dunque, a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico (cfr. RV n. 167401; 167402; RV184359; RV 214856).
E' stato osservato - Sez. 5, n. 43562 del 11/06/2019, Vigna, Rv. 277125 - come l'inciso "con dolo" indichi tutte quelle ipotesi in cui il fallimento entra nel fuoco della volontà, mentre di operazione dolosa si parla quando il fallimento pur essendo ricollegabile in termini causali ad una condotta volontaria non è voluto né previsto dall'agente. Nel primo caso il dolo investe l'evento mentre nel caso di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose il dolo investe la condotta. In tale seconda ipotesi la volontà deliberata, o quanto meno l'accettazione del rischio, che l'azione posta in essere si ponga come causa - unica o concorrente - del fallimento dell'impresa cui la condotta illecita si riferisce, concretizza immancabilmente l'elemento psicologico dell'agente, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, proprio della bancarotta impropria. Invero, la fattispecie in esame si sostanzia in una ipotesi di reato a sfondo preterintenzionale, in uno alla dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" delle operazioni cui fa seguito il dissesto, in relazione all'astratta prevedibilità dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Carrino G ed altri, Rv. 212613).
Dunque, l'elemento soggettivo richiesto non è la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Rv, 212613), essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento integrante l'operazione, con la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446).
Sul punto la sentenza della Corte di appello è carente, ancor più a seguito del deficit di motivazione in ordine alla distrazione dei beni e alla conseguente volontà, che costituisce supporto logico anche per la prova del dolo richiesto in relazione alle due ipotesi di cui all'art. 223, comma 2, n. 2 legge fall., pure nella distinzione propria delle stesse.
Ne consegue che anche su tale profilo, in sede di rinvio, la Corte territoriale dovrà dare conto dell'elemento soggettivo in modo più puntuale, anche alla luce delle determinazioni relative alla bancarotta per distrazione dei beni.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.