…in virtù del principio di ultrattività.
Il Tribunale di Vasto respingeva l'impugnazione di un medico relativa al provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro emesso dall'ASL. Proposto appello, la Corte territoriale lo dichiarava inammissibile per tardività.
In sede di legittimità, il ricorrente lamante la...
Svolgimento del processo
V.G., dirigente medico di cardiologia, con ricorso del 12 ottobre 2015, ha impugnato davanti al Tribunale di Vasto il provvedimento della ASL n. 2 Lanciano, Vasto, Chieti di licenziamento per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro emesso con lettera del 20 febbraio 2015 e confermato con deliberazione n. 234 del 25 febbraio 2015.
Il Tribunale di Vasto, nel contraddittorio delle parti, con ordinanza del 4 marzo 2016 resa in sede di cognizione sommaria, ha respinto la domanda.
In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuto che:
- il provvedimento di licenziamento fosse stato regolarmente comunicato;
- non risultasse la presentazione di istanze di ferie prima della
comunicazione della risoluzione del rapporto di lavoro;
- non vi fosse stata alcuna violazione del diritto di difesa;
- il periodo di comporto fosse stato superato;
- non fosse stato dimostrato un peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente dovuto alle mansioni svolte.
In seguito all'instaurazione del giudizio di opposizione a cognizione piena, il Tribunale di Vasto, con sentenza n. 121 del 6 ottobre 2017, ha confermato il rigetto della domanda del ricorrente.
V.G. ha proposto appello che la Corte d'appello di L'Aquila, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 33 del 2019, ha dichiarato inammissibile per tardività.
V.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L'ASL n. 2, Lanciano, Vasto, Chieti ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c. ed 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012 poiché la corte territoriale avrebbe errato nell'affermare che, seppure il c.d. rito Fornero fosse stato illegittimamente applicato, venendo in rilievo un licenziamento riguardante un dipendente pubblico, l'appello avrebbe dovuto comunque essere proposto entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione impugnata, in applicazione del principio di ultrattività del rito.
La doglianza è infondata.
Innanzitutto, si rileva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il rito previsto dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. rito Fornero) trova applicazione, sia in primo grado che in sede di impugnazione, nelle controversie aventi per oggetto l'impugnativa dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, attesa l'ampiezza della previsione contenuta nell'art. 1, comma 47, della stessa legge n. 92 del 2012 (Cass., Sez. 6-L, n. 5701 del 2 marzo 2021; Cass., Sez. L, n. 11868 del 9 giugno 2016, non massimata sul punto).
Inoltre, deve sottolinearsi che, ove pure la presente fattispecie non fosse stata regolata da detto rito, l'appello sarebbe stato, comunque, inammissibile per tardività.
Infatti, in base al principio di ultrattività del rito, l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile deve avvenire in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso compiuta dal giudice, a prescindere dalla sua esattezza ( cfr. Cass., Sez. L, n. 25553 del 13 dicembre 2016, decisione che esprime tale principio nel diverso caso nel quale sia stato applicato l'ordinario rito lavoro in luogo di quello speciale c.d. Fornero; si ritiene, però, che questo precedente assuma rilievo anche nella presente fattispecie, attesa la somiglianza delle situazioni).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio così massimato: "In tema di impugnazione del licenziamento, nell'ipotesi di azione del lavoratore che invochi la tutela ex art. 18 st. lav., secondo i principi di ultrattività del rito e dell'apparenza, va applicato il rito cd. Fornero a tutte le fasi e gradi del giudizio, compreso quello di rinvio, che rappresenta una fase (seppur autonoma) dell'originario processo; pertanto, anche al ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso nel giudizio rescissorio di rinvio si applica il termine breve di sessanta giorni, che decorre dalla comunicazione di cancelleria ai sensi dell'art. 1, comma 62, della I. n. 92 del 2012, quale previsione speciale e derogatoria rispetto a quella generale di cui al novellato art. 133, comma 2, c.p.c." (Cass., Sez. L, n. 32263 del 10 dicembre 2019).
Nella specie, il Tribunale di Vasto aveva seguito il c.d. rito Fornero e, pertanto, la sua decisione doveva essere impugnata entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione, avvenuta il 9 ottobre 2017 con l'invio del testo integrale della pronuncia al difensore della parte.
Siccome, però, l'appello era stato proposto con ricorso depositato il 6 aprile 2018, il termine di legge per la proposizione del gravame non era stato rispettato e, quindi, esattamente la corte territoriale ha dichiarato inammissibile l'appello.
2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c. e dell'art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, del d.P.C.M. n. 11 del 2014, della legge n. 48 del 2008 e del d.lgs. n. 179 del 2016 poiché la comunicazione della decisione di primo grado era stata effettuata in maniera non valida al procuratore domiciliatario del ricorrente, come accertato da relazione tecnica di parte che si allegava all'atto d'impugnazione.
Infatti, non sarebbero state osservate le regole tecniche e gli standard di cui al d.P.C.M. n. 11 del 2014, alla legge n. 48 del 2008 ed al d.lgs. n. 179 del 2016.
In particolare, il file pervenuto era privo di firma, sia olografa che digitale, e di data, nonché di marca temporale od indicazione del nominativo titolare dell'atto; inoltre, la PEC non proveniva dall'indirizzo PEC ufficiale dell'ufficio giudiziario e riportava la scritta "Il certificato non può essere verificato".
La doglianza è inammissibile.
Il ricorrente non deduce la mancata comunicazione della decisione integrale di primo grado (che, al contrario, ammette), né di non avere potuto prenderne visione, ma contesta delle violazioni di carattere formale (il file pervenuto sarebbe stato privo di firma, sia olografa sia digitale, di data o di marca temporale od indicazione del nominativo titolare dell'atto; la PEC non proveniva dall'indirizzo PEC ufficiale dell'ufficio giudiziario e riportava la scritta "Il certificato non può essere verificato") le quali non sono idonee a rendere priva di rilievo, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione previsto dal c.d. rito Fornero, la comunicazione de qua (cfr., con specifico riguardo alla marca temporale, Cass., Sez. L, n. 14811 del 10 luglio 2020).
Peraltro, detto violazioni non sono state prospettate al giudice di appello per chiedere un'eventuale rimessione in termini e la loro dimostrazione non può neppure essere fornita depositando in sede di legittimità una relazione tecnica di parte, trattandosi di attività non consentita.
3) Il ricorso è respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo per il ricorrente di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
- rigetta il ricorso;
- condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla controricorrente, che liquida in € 3.000,00 per compenso ed €
200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella / - misura del 15%; (
- sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo per il ricorrente di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.