Negativo: la Suprema Corte precisa che non tutte le sostanze, se rese incandescenti, possono qualificarsi come corrosive, ma solo quelle che presentano determinate caratteristiche connesse alla loro ordinaria natura.
Il Giudice di secondo grado riformava parzialmente la sentenza del Tribunale, confermando la responsabilità penale a carico dell'imputato per il reato di lesioni personali aggravate in danno del fratello.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione contestando, tra i diversi motivi, il riconoscimento dell'aggravante della commissione del fatto...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 1 marzo 2021 (dep. il 31 maggio 2021) la Corte di appello di Ancona - in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno il 12 giugno 2018, appellata da B.P. - ha assolto quest'ultimo perché il fatto non sussiste dall'imputazione di minaccia aggravata (capo B. della rubrica), ha rideterminato la pena a lui inflitta in quattro mesi di reclusione, ha concesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ha rideterminato in euro 1.500 l'importo da corrispondere a titolo di risarcimento del danno alla parte civile M.P. ed ha confermato nel resto la decisione di primo grado, che aveva affermato la responsabilità di B.P. per il delitto di lesioni personali aggravate (capo A.) in danno del fratello M.P. (fratello dell'imputato), oltre al pagamento delle spese processuali, al rimborso delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile e con la sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento dei danni.
2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi (di seguito esposti, nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo è stato denunciato il vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni del teste F.P..
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, con riguardo all'utilizzo nella sentenza impugnata di una dichiarazione testimoniale che stigmatizzerebbe la moralità e la personalità dell'imputato.
2.3. Con il terzo motivo sono stati prospettati il vizio di motivazione e l'erronea applicazione della legge penale, censurando la valutazione delle prove effettuata dal Giudice del gravame (e in particolare l'attribuzione di credibilità alla parte civile M.P.), che avrebbe erroneamente condotto pure all'esclusione dei presupposti per concedere le circostanze attenuanti generiche.
2.4. Con il quarto motivo sono stati denunciati la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell'aggravante della commissione del fatto con sostanze corrosive, contemplata dall'art. 585 cod. pen.
Motivi della decisione
I primi tre motivi di ricorso sono inammissibili; è fondato, nei termini che si esporranno, il quarto motivo.
1. Con il primo motivo - sub specie del vizio di motivazione - si è assunto che la Corte di merito avrebbe erroneamente attribuito valenza confirmatoria di quanto rappresentato della persona offesa alle dichiarazioni del teste F.P., il quale invece non avrebbe affermato «pressocché nulla» di quanto esposto nella sentenza impugnata, ma si sarebbe limitato ad affermare di essere stato informato dell'accaduto dal fratello M.. Inoltre, sotto il profilo processuale F.P., non potrebbe essere considerato neppure un teste de relato perché si sarebbe limitato a far riferimento alla narrazione della persona offesa, ricevuta telefonicamente la sera in cui è accaduto l'episodio in imputazione, senza che ciò consenta dunque ai Giudici di ritenere la sua deposizione conforme alla narrazione della persona offesa e tale da suffragarne la testimonianza.
1.1. Il motivo in esame è inammissibile poiché:
- è del tutto generico, nella parte in cui ha inteso prospettare il travisamento della prova («consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica»: Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01), adducendo che il teste in discorso non avrebbe confermato «pressoché nulla» del narrato dell'offeso, senza le necessarie specificazioni sul punto (non essendo sufficiente il mero rimando a taluni passi della sua deposizione, compiuto dalla difesa) e negando in maniera apodittica che la sua testimonianza potesse essere apprezzata come elemento a sostegno del narrato di M.P.;
- è, con evidenza, erroneo in diritto nella parte in cui nega che un soggetto che riporta un fatto a lui riferito da altri sia un teste de relato.
2. Con il secondo motivo è stata denunciata l'inutilizzabilità della seguente espressione:
«perché c'è mio fratello B. che è stato sempre così, fin da quando eravamo ragazzini. Ci sono passato prima io, poi dopo fortunatamente io me ne sono andato, mi sono sposato», (come si trae dalla sentenza impugnata) pronunciata dal teste F.P., che - secondo la difesa - stigmatizzerebbe la moralità e la personalità dell'imputato, laddove ai sensi dell'art. 194 cod. proc. pen. la testimonianza dovrebbe avere ad oggetto fatti specifici (che, ad avviso del ricorrente, nel caso di specie sarebbero presunti e non determinati). Tale frase, inoltre, sotto il profilo della la valutazione delle prove e della credibilità dei testi, si affiancherebbe alle affermazioni del teste A.P., che avrebbe riferito di diverse colluttazioni tra l'imputato B.P. e la parte civile M.P. e di «assalti di B. a M.», ragion per cui la detta «affermazione denigratoria seppur generica» risulterebbe poco credibile.
2.1. Il motivo in esame è inammissibile.
È dirimente osservare che «in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali [...], pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo» chiarire l'incidenza di essi «sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato» (cfr. Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019 - dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123 - 01) e rilevare che sotto tale profilo il ricorso è del tutto carente poiché assertivo e generico. Diviene superflua ogni ulteriore considerazione.
3. Con il terzo motivo è stata censurata la sentenza impugnata:
- deducendo che la parte civile M.P. è stata ritenuta attendibile in relazione al reato di lesioni personali ma non con riferimento al reato di minaccia con armi (per cui vi è stata assoluzione in secondo grado), laddove la persona offesa avrebbe dovuto essere ritenuta credibile o meno in toto;
- evidenziando che le dichiarazioni testimoniali dello stesso M.P., il quale ha negato di aver mai colpito il fratello B., sarebbero in contrasto con quanto riferito dall'altro fratello A.P., che avrebbe smentito la persona offesa;
- assumendo che le dichiarazioni dei testi diversi alla parte civile e il certificato del pronto soccorso rilasciato a B.P. (in data il 29 marzo 2015) convergerebbero nel senso della inflizione di percosse da parte di M. a B. e della conseguente produzione di lesioni che il primo avrebbe negato recisamente, il che ne inficerebbe la credibilità su cui si regge l'impianto accusatorio;
- rappresentando che la motivazione, in presenza di valutazioni discordanti sulla attendibilità dei testi, avrebbe dovuto argomentare più diffusamente, il che sarebbe a dirsi a fortiori se si considera che l'assoluzione per il reato di minaccia sarebbe proprio basata sulla mancanza di riscontri esterni al narrato dell'offeso nella deposizione di A.P.; che, dunque, la pronuncia impugnata sarebbe contraddittoria e non avrebbe riconosciuto rilevanza alle prove a discarico; e, infine, che l'ipotesi della colluttazione tra l'imputato e la persona offesa, prospettata dalla difesa come ricostruzione alternativa, avrebbe consentito di ritenere fondata anche la concessione delle attenuanti generiche perché avrebbe dato una «luce diversa» ai fatti.
3.1. Il motivo in esame è inammissibile poiché esso non si è confrontato effettivamente con la decisione impugnata, il cui tenore peraltro ha travisato, e nel resto ha finito col prospettare irritualmente una ricostruzione alternativa dell'accaduto deducendo taluni elementi di fatto a sostegno di essa.
Anzitutto, nel caso di specie la persona offesa M.P. non è stata affatto ritenuta non credibile in relazione all'imputazione di minaccia commessa con un coltello per cui l'imputato è stato assolto: la Corte di merito - che invece ha riconosciuto nel corpo della motivazione credibilità della persona offesa - limitatamente a tale episodio, verificatosi nell'estate del 2014 e, dunque, ben prima delle lesioni personali in data 29 marzo 2015 per cui è stata resa condanna, si è limitata a ritenere che sul punto difettassero riscontri al narrato della persona. Pertanto, con evidenza nella specie non occorreva alcuna motivazione in ordine all'eventuale attendibilità frazionata di M.P. (cfr. Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, Cataldo, Rv. 272752 - 01; cfr. pure Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 - 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S. Rv. 275312 - 01). In secondo luogo, la decisione impugnata ha fondato l'affermazione della responsabilità dell'imputato per il delitto di lesioni personali su un più ampio compendio, della cui convergenza ha dato conto in maniera logica, costituito non solo dalla narrazione della persona offesa, ma anche dalla testimonianza di F.P. e dei referti medici rilasciati a M.P. il giorno del fatto (da essi traendo non solo la costanza del narrato della persona offesa ma anche la sussistenza delle lesioni riportate dalla stessa). Con tale iter il ricorso non si è confrontato compiutamente, prospettando elementi di fatto volti a ipotizzare non che l'imputato non abbia aggredito il fratello nella fattispecie in discorso, bensì che anche B.P. sia stato aggredito: tuttavia, sotto tale profilo il ricorso difetta di specificità non solo allorché ha inteso censurare il riconoscimento dell'attendibilità di M.P. riportando parte della deposizione di A.P. (peraltro, non direttamente riferibile all'episodio in discorso), ossia perorando la sussistenza del travisamento della prova per il tramite di una prospettazione parcellizzata di uno degli elementi in atti (cfr. Sez. 2, n. 46288/2016, cit.), ma anche allorché ha richiamato il referto rilasciato all'imputato il 29 marzo 2015, di cui non ha neppure indicato il contenuto (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.).
4. Con il quarto motivo - sub specie della violazione dell'art. 585 cod. pen. e del vizio di motivazione - si è rassegnato che il Tribunale avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi sulla sussistenza dell'aggravante di aver posto in essere il fatto mediante una sostanza corrosiva; e che la Corte di appello avrebbe specificato che il liquido (caffè) appena uscito da una caffettiera - mediante il quale sarebbero state cagionate le lesioni - aveva certamente idoneità corrosiva, in virtù della sua elevata capacità ustionante (come provato dal certificato medico in atti, da cui emergerebbe ustioni di secondo grado con flittene aperte devi tema diffuso). Tuttavia, quanto esposto nella sentenza impugnata non consentirebbe di qualificare come sostanza corrosiva il caffè, cui non potrebbero attribuirsi gli effetti propri di dette sostanze, tanto che il certificato medico in atti ha formulato una prognosi di dieci giorni, non rilevando alcune lesione di carattere permanente o irreversibile che dovrebbe conseguire dall'utilizzo del mezzo corrosivo; e nessun'altra valutazione medica sarebbe stata svolta sulla lesione in discorso (dovendosi, dunque, desumere la completa guarigione della persona offesa decorsa la prognosi formulata dal punto soccorso). Inoltre, dalle sentenze di merito non si comprenderebbe in che misura la circostanza in discorso avrebbe inciso sulla determinazione della pena.
4.1. Il motivo in esame è fondato, nei limiti di seguito chiariti.
La Corte territoriale ha ritenuto aggravato il delitto di lesioni personali, posto in essere da B.P., poiché quest'ultimo ha «gettato il caffè bollente, appena uscito dalla caffettiera, sul viso della persona offesa», attribuendo al liquido «sia in astratto che in concreto, idoneità corrosiva stante la sua elevatissima capacità ustionante derivante dalla temperatura di bollore di circa 100 gradi», come provato delle ustioni riscontrate sullo stesso offeso.
L'art. 585, comma 1, cod. pen. - per quel che qui rileva - prevede un aggravamento della pena per il delitto di lesioni personali quando «il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive». La norma correla il più grave trattamento sanzionatorio al mezzo impiegato per l'azione, per l'appunto, le armi (la cui nozione penalmente rilevante è chiarita dell'art. 585, comma 2, cit.) e le sostanze corrosive, sia pure in ragione della più marcata capacità offensiva di esse, ma non all'effetto che lo stesso mezzo ha prodotto, ossia all'evento lesivo, cui la legge penale attribuisce rilevanza, al fine dell'aggravamento della pena, all'art. 583 cod. pen. (e all'art. 583-quinquies cod. pen., a seguito della novella ex lege 19 luglio 2019, n. 69, che ha elevato le ipotesi contemplate dall'art. 583, comma 2, n. 4, cod. pen., ad autonoma fattispecie incriminatrice). Dunque, non è alle conseguenze lesive in concreto determinate che deve aversi riguardo per qualificare una sostanza come corrosiva bensì alla possibilità di annoverarla tra quelle che - come osservato in dottrina e come, per vero, si trae pure dalla giurisprudenza (Sez. 5 n. 8206 del 18/01/2018, Pennestrì, n.m.) - si caratterizzano ex se per la capacità di intaccare l'epidermide, le mucose o altre parti del corpo, distruggendo i tessuti colpiti, mediante ustione o altro effetto analogo (ad es. vetriolo, acido solforico, soda caustica, calce viva, gas corrosivi), non valendo invece la similitudine degli effetti prodotti in relazione alle peculiarità del caso di specie, come nel caso che qui interessa, di sostanze incandescenti (fermo restando l'aggravamento della pena qualora producano le gravi o gravissime conseguenze contemplate dagli artt. 583 e 583-quinquies, citt.). D'altra parte, a ritenere diversamente, ogni sostanza normalmente innocua, allorché resa incandescente e, perciò, atta a ledere, dovrebbe annoverarsi nel novero delle sostanze corrosive se in concreto ha avuto effetti analoghi a quelli sopra indicati, quantunque non correlati alla sua ordinaria natura (correlata alla sua composizione chimica) ma solo allo stato (fisico) in cui versa. Tanto che la giurisprudenza di questa Corte ha già escluso la benzina, «sostanza solo infiammabile», dal novero di quelle corrosive, proprio a cagione del difetto di idoneità ad intaccare l'epidermide o altre parti del corpo, distruggendo i tessuti (Sez. 5 n. 8206/2018, cit.).
Ricorre, pertanto, nella specie una violazione della legge penale, dovendosi annullare in parte qua senza rinvio la sentenza impugnata. Tuttavia, poiché per il delitto erroneamente ritenuto aggravato, è stata irrogata la pena di quattro mesi di reclusione senza specificare in alcun modo in che misura la circostanza qui esclusa abbia determinato l'aumento della pena (rispetto al minimo ratione temporis di tre mesi), si impone altresì il rinvio alla Corte d'appello di Perugia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, non potendo provvedere questa Corte ex art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente all'aggravante di cui all'art. 585 c.p. e con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.