Nel caso di specie, la mancata opposizione all'incasso non è stata considerata come "silenzio significativo" del cliente idoneo a provare l'accordo di compensazione volontaria tra le parti.
- il debito del convenuto maturato nei suoi confronti, maturato in ragione degli incarichi di assistenza giudiziale e stragiudiziale svolti;
- il suo debito nei confronti del convenuto avente ad oggetto la restituzione degli importi incassati...
Svolgimento del processo
1.1. L'avv. L. F. ha convenuto in giudizio M. P. chiedendo che fosse accertato che, per effetto dell'accordo intervenuto con lo stesso, si erano estinti, per compensazione, i debiti del convenuto nei confronti dell'attore in ragione degli incarichi di assistenza giudiziale e stragiudiziale conferiti a quest'ultimo e il debito dell'attore nei confronti del convenuto avente ad oggetto la restituzione degli importi da lui incassati per conto dello stesso in conseguenza della sentenza pronunciata dal tribunale di Venezia contro la A. Assicurazioni.
1.2. M. P., dopo aver contestato l'accordo di compensazione dedotto dall'attore e negato di essersi accollato le spese per le prestazioni da svolgere nell'interesse del padre, ed ha chiesto la condanna di quest'ultimo alla restituzione delle somme liquidate dal tribunale di Venezia illecitamente trattenute dallo stesso.
1.3. Il tribunale, con sentenza dell'S/7/2010, ha rigettato le domande di compensazione proposte dall'attore e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, ha condannato l'avv. L. F. a corrispondere al convenuto l'importo di €. 27.342,45, oltre interessi. Il tribunale, infine, ha condannato M. P. al pagamento, in favore dell'avv. L. F., della somma di €. 23.228,00, oltre interessi, compensando le spese legali nella misura di un terzo, ponendo la quota residua a carico dell'attore.
1.4. L'avv. L. F. ha proposto appello aversa tale sentenza chiedendo l'integrale accoglimento delle domande articolate nell'atto di citazione introduttivo del giudizio.
1.5. M. P., dopo aver resistito all'appello, ha proposto appello incidentale, invocando la riduzione dell'importo di €. 15.852,64 che il tribunale aveva riconosciuto quale compenso per l'attività professionale svolta dall'attore.
1.6. La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato tanto l'appello principale, quanto l'appello incidentale, ed ha, quindi, confermato integralmente la pronuncia impugnata.
1.7. La corte, in particolare, ha esaminato, per quanto ancora rileva, il motivo con il quale l'appellante ha valorizzato quale elemento probante dell'asserito accordo orale di compensazione "tra le somme trattenute in deposito e le parcelle maturate", il "silenzio significativo" del mandante che, ai fini previsti dall'art. 1712 c.c., non si sarebbe opposto all'incasso: e l'ha ritenuto infondato, rilevando come il motivo non avesse toccato i punti di motivazione con i quali il tribunale aveva ritenuto la radicale carenza probatoria della invocata compensazione volontaria.
1.8. La sentenza impugnata, infatti, ha osservato la corte, aveva evidenziato che le prove testimoniali assunte sulla circostanza dedotta avevano solo dimostrato il fatto che il convenuta aveva rassicurato l'avv. F. che l'avrebbe pagato dopo aver incassato il risarcimento.
1.9. Il tribunale, inoltre, ha aggiunto la corte, aveva ritenuto l'inammissibilità della compensazione alla luce dell'art. 1246 n. 1 c.c., che esclude i crediti per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato ("ipotesi che comprende anche il caso di distrazione") nonché i crediti per la restituzione di cose depositate, con la conseguente illegittimità del trattenimento dell'importo di €. 27.342,45 incassato per conto del cliente a titolo di risarcimento per il quale, come da procura a margine della comparsa di costituzione, aveva ricevuto solo un mandato all'incasso.
1.10. Il tribunale, infine, ha proseguito la corte, aveva correttamente escluso la sussistenza di un accordo di compensazione sul rilievo che lo stesso avv. F. con lettera inviata ad A. aveva rassicurato che avrebbe provveduto personalmente a corrispondere il dovuto al P..
1.11. La corte, a fronte di tali concorrenti e gravi elementi, ha ritenuto che in definitiva doveva certamente escludersi l'ipotesi di una compensazione volontaria, non essendovi alcuno, spazio né per interpretare come significativo di un accordo di tal genere l'asserito silenzio significativo invocato dall'appellante, né per richiamare la norma dell'art. 1712 c.c., la quale opera solo come accettazione della prestazione resa dal mandatario ma non ha nulla a che vedere con la compensazione volontaria di cui all'art. 1252 c.c..
1.12. Nel caso in esame, piuttosto, si è verificata la radicale in esecuzione del mandato, che comportava l'obbligo di rimettere al cliente le somme riscosse per suo conto, escludendo la possibilità di configurare una tacita accettazione di una diversa prestazione ai fini di cui all'art. 1712, comma 2°, c.c..
1.13. La corte, poi, ha esaminato il motivo con il quale l'appellante si era doluto del mancato riconoscimento dell'accollo· da parte di M. P. del debito al compenso maturato per le prestazioni professionali rese in favore del padre: e l'ha ritenuto generico evidenziando che la censura, confondendo i piani della compensazione già esclusa e di un accollo tacito, si è concretizzata nella valorizzazione della mancata contestazione delle fatture e dei conteggi trasmessi, che tuttavia non è idonea a fornire la dimostrazione che tra le parti sia intervenuto un contratto di accollo ai fini di cui all'art. 1273 c.c. avente ad oggetto l'impegno del convenuto ad assumere personalmente i debiti del padre derivanti dagli incarichi professionali dallo stesso provenienti.
1.14. Devono, infine, condividersi, ha concluso la corte, i rilievi della sentenza appellata in ordine al fatto che la documentazione prodotta e le dichiarazioni dei testimoni introdotti dall'attore non dimostrano l'assunzione da parte del convenuto dei debiti del genitore, tanto più che il càpitolo a tal fine formulato, lì dove prospetta che il convenuto era stato sollecitato a pagare anche a nome del padre, si risolve nella negazione dell'accollo del debito altrui trattandosi di obbligazioni ancora direttamente riferibili al genitore per conto del quale si pretendeva il pagamento.
2.1. L'avv. F., con ricorso notificato 1'11/12/2017, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, ordinanza, dichiaratamente notificata il 25.26/7/2017.
2.2. M. P. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la falsa applicazione degli artt. 1246, comma 1°, e 1712 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha escluso la sussistenza di un accordo di compensazione sul rilievo che la compensazione non è applicabile al caso in cui il mandatario sia stato ingiustamente spogliato dei propri ben, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, non vi è stata alcuna illecita spogliazione perché mai il
convenuto aveva avuto la materiale disponibilità della somma e l'incasso è avvenuto in forza di procura speciale contestuale al conferimento del mandato. Ed una volta incassata la somma, l'attore ha scritto al cliente evidenziando che, ove non fosse stato raggiunto un accordo, lo scrivente avrebbe agito a tutela dei suoi diritti per l'attività prestata in suo favore. La corte d'appello, quindi, non ha indagato sull'effettiva portata del mandato ed ha escluso l'applicabilità dell'art. 1712 c.c., che invece è chiaramente applicabile al caso in esame, senza spiegare la ragione per cui era errato un motivo nel quale si evidenziava che il confronto fra le lettere scritte e il comportamento della controparte potevano validamente costituire una dichiarazione di conferma del consenso già dato in precedenza.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l'omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha escluso l'accollo da parte da parte di M. P. del debito al compenso maturato in favore dell'avv. F. per le prestazioni professionali da lui rese in favore del padre senza, tuttavia, considerare la prova documentale dell'accollo, e cioè il documento che è stato corroborato proprio dalla deposizione testimoniale trascritta in sentenza, e la conseguente necessità di valutare congiuntamente le predette risultanze istruttorie nonché le presunzioni semplici.
3.3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
3.4. Il ricorrente, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha censurato, in sostanza, la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno ritenuto che tra le parti non era stato stipulato né un accordo di compensazione tra i debiti del convenuto nei confronti dell'attore in ragione degli incarichi di assistenza giudiziale e stragiudiziale conferiti a quest'ultimo e il debito dell'attore nei confronti del convenuto avente ad oggetto la restituzione degli importi da lui incassati per conto dello stesso in conseguenza della sentenza pronunciata dal tribunale di Venezia, né dell'accollo da parte dello stesso convenuto del debito al compenso maturato in favore dell'avv. F. per le prestazioni professionali rese in favore del padre. La valutazione delle prove raccolte, però anche se si tratta di quella (asseritamente) riveniente dalla mancata contestazione
ad opera di una delle parti dei fatti ex adverso dedotti(Cass n. 11377 del 2015, per cui "il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall'altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto"; Cass. SU n. 2951 del 2016), costituisce un'attività riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall'art.
360 n. 5 c.p.c., nell'avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l'esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbiano carattere
decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso (e al ricorrente più favorevole) della controversia. La valutazione delle risultanze delle prove, al pari della scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
3.5. Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria- valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimentoimpugnato,sisiamantenuto,com'èin effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). La corte d'appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, indicando le ragioni di tale convincimento in modo nient'affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che non era emerso, in fatto, che le parti avessero stipulato un accordo di compensazione tra i loro reciproci debiti né che il convenuto si era accollato i debiti del padre nei confronti dell'attore. Ed una volta affermato come la corte d'appello ha ritenuto senza che tale apprezzamento sia stato utilmente censurato (nell'unico modo possibile, e cioè, a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c.) per aver del tutto omesso l'esame di una o più circostanze decisive la cui risultanza dagli atti del processo sia stata specificamente esposta in ricorso (e non già per non aver adeguatamente e correttamente valutato gli elementi istruttori che, in ipotesi, avrebbero deposto, in tutto o in parte, in senso contrario, una volta che, come nella specie, il fatto rilevante ai fini del giudizio, e cioè l'effettiva stipulazione degli accordi di compensazione e di accollo dedotti dall'attore, è stato esaminato dal giudice di merito: cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014), che il convenuto non aveva stipulato l'accordo di compensazione con l'attore né si era accollato i debiti del padre nei confronti dello stesso, non si presta, evidentemente, a censure in diritto la decisione che la corte d'appello ha, di conseguenza, assunto, e cioè il rigetto delle domande proposte dal professionista, in quanto volta, appunto, al riconoscimento dell'effetto estintivo tra il suo debito nei confronti del convenuto avente ad oggetto la restituzione degli importi da lui incassati per conto dello stesso in conseguenza della sentenza pronunciata dal tribunale di Venezia e dei debiti del convenuto nei confronti dell'attore in ragione degli incarichi di assistenza giudiziale e stragiudiziale conferiti a quest'ultimo.
3.6. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza, in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c., hacensurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha omesso di pronunciarsi, in violazione dell'art. 112 c.p.c., sul motivo d'appello con il quale l'appellante aveva censurato "il riparto della soccombenza relativo alle spese di primo grado".
3.7. Il motivo è inammissibile. È, infatti, inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi, com'è accaduto nel caso in esame, non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte(Cass. n. 17049 del 2015).
4. Il ricorso dev'essere, quindi, rigettato.
5. Nulla per le spese di lite in difetto di attività difensiva da parte dell'intimato.
6. La Corte dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.