La questione viene rimessa alle Sezioni Unite Penali.
Il Tribunale di Catanzaro rigettava l'appello proposto dal P.M. contro l'ordinanza con cui il GIP aveva dichiarato la cessazione dell'efficacia della misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per decorso dei termini massimi di durata applicata all'interessato in relazione al delitto di abusiva attività finanziaria.
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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 2 dicembre 2021 - 13 gennaio 2022, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l'appello proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Castrovillari avverso l'ordinanza con la quale il g.i.p. aveva dichiarato la cessazione dell'efficacia, per decorso dei termini massimi di durata di cui agli artt. 303, comma 1, lett. a), n. 1, e 308, comma 1, cod. proc. pen., della misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, applicata ad A.L.R., in relazione al capo 3 del capo di imputazione provvisorio, concernente il delitto di cui agli artt. 110, 112, n. 1 cod. pen. e 132 del d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (t.u.b.).
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari ha proposto ricorso per cassazione, con il quale lamenta violazione di legge, sostenendo che l'individuazione del termine di durata della misura coercitiva della quale si tratta dovrebbe essere correlata alla pena edittale risultante dal raddoppio della sanzione prevista dall'art. 132 t.u.b., quale disposto dall'art. 39 della 28 dicembre 2005, n. 262, da intendersi ancora vigente, nonostante la riformulazione del citato art. 132 ad opera dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141. Ne discenderebbe, per effetto del limite edittale massimo di otto anni, l'applicazione dell'art. 303, comma 1, lett. a), n. 2 (e non n. 1), cod. proc. pen., con la conseguenza che il termine di durata della misura, per effetto del raddoppio previsto dall'art. 308, comma 1, cod. proc. pen., sarebbe di un anno e non di sei mesi.
3. Il procedimento è stato oggetto di trattazione orale all'udienza del 16 settembre 2022
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari è tempestivo, essendo stato depositato in data 7 febbraio 2022, nel rispetto del termine di dieci giorni di cui all'art. 311, comma 1, cod. proc. pen., dalla comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento (2 febbraio 2022). Al fine di valutare la sussistenza dell'interesse a ricorrere del P.M. occorre considerare: a) che l'originaria misura cautelare è stata applicata in data 21 dicembre 2020; b) che l'ordinanza con la quale è stata disposta la cessazione dell'efficacia della misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria è stata eseguita con notifica del 10 luglio 2021; c) che dagli atti non emerge alcun dato dimostrativo di un mutamento della fase processuale; d) che, pertanto, ove la tesi prospettata dal ricorrente meritasse accoglimento, ossia, se il termine di durata massima fosse annuale e non semestrale, l'indagato non sarebbe stato assoggettato alla misura coercitiva della quale si tratta per l'intero periodo previsto dal legislatore (esattamente come nelle vicende esaminate da Sez. 5, n. 28960 del 17/06/2022, Cosentino, n.m.; Sez. 5, n. 28700 del 17/06/2022, Mari, n. m., delle quali si dirà infra).
2. Nella giurisprudenza di questa Corte, si registra, in effetti, un contrasto concernente il significato della modifica normativa correlata alla riformulazione dell'art. 132 t.u.b. da parte dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
2.1. L'art. 132 t.u.b. era in origine così formulato: «1. Chiunque svolge una o più delle attività finanziarie previste dall'art. 106, comma 1, senza essere iscritto nell'elenco previsto dal medesimo articolo ovvero nell'apposita sezione del medesimo elenco indicata nell'art. 113 è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. La pena pecuniaria è aumentata fino al doppio quando il fatto è commesso adottando modalità operative tipiche delle banche o comunque idonee a trarre in inganno il pubblico circa la legittimazione allo svolgimento dell'attività bancaria».
L'art. 5 della l. 7 marzo 1996, n. 108 dispose l'innalzamento a cinque anni della pena edittale massima prevista dall'art. 132 t.u.b.
L'art. 64, comma 23, del d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nel provvedere al recepimento della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari e della direttiva 93/6/CEE del 15 marzo 1993, tornò a modificare il testo dell'art. 132 t.u.b., che venne articolato in due commi formulati nel modo seguente: «1. Chiunque svolge, nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, senza essere iscritto nell'elenco previsto dal medesimo articolo, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. La pena pecuniaria è aumentata fino al doppio quando il fatto è commesso adottando modalità operative tipiche delle banche o comunque idonee a trarre in inganno il pubblico circa la legittimazione allo svolgimento dell'attività bancaria. 2. Chiunque svolge in via prevalente, non nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, senza essere iscritto nell'apposita sezione dell'elenco generale indicata nell'articolo 113 è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni».
L'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 132 t.u.b. sarebbe poi stato soppresso dall'art. 28 del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342.
Alla fine del comma 1 dell'art. 132 t.u.b., l'art. 38 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 ha poi aggiunto un periodo così formulato: «La stessa pena si applica a chiunque svolge l'attività riservata agli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107, in assenza dell'iscrizione nel medesimo elenco».
La stessa legge n. 262 del 2005, all'art. 39, comma 1, ha poi previsto che «Le pene previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dalla legge 12 agosto 1982, n. 576, sono raddoppiate entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale».
In questo quadro, il testo immediatamente previgente alla modifica del 2010 dell'art. 132 t.u.b., al netto del raddoppio previsto dall'appena citato art. 39 della legge n. 262 del 2005, era il seguente: «Chiunque svolge, nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, senza essere iscritto nell'elenco previsto dal medesimo articolo è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. 2. Chiunque svolge in via prevalente, non nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, senza essere iscritto nell'apposita sezione dell'elenco generale indicata nell'articolo 113 è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni».
Dando attuazione alla delega contenuta nella legge 7 luglio 2009, n. 88 (delega avente ad oggetto l'attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE e previsione di modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria), l'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 ha riformulato il testo dell'art. 132 t.u.b. nei seguenti termini: «l. Chiunque svolge, nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, in assenza dell'autorizzazione di cui all'articolo 107 o dell'iscrizione di cui all'articolo 111 ovvero dell'articolo 112, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.329».
2.2. In relazione a siffatto quadro normativo, si è registrato un primo intervento di questa Corte (Sez. 5, n. 18544 del 27/02/2013, Strada, Rv. 255192 - O), secondo il quale, in materia di abusivo esercizio dell'attività di intermediazione finanziaria, la disposizione di cui all'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato l'aumento di sanzione previsto dall'art. 39 della legge 262 del 28 dicembre 2005.
In sintesi, siffatta conclusione è stata argomentata dalla sentenza citata, rilevando: a) che il d.lgs. n. 141 del 2010 ha operato una revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, al fine di dare attuazione alla legge comunitaria 2008, in vista del recepimento della direttiva comunitaria sul credito al consumo; b) che l'art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010 si inserisce nel quadro della revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario (ma devono qui aggiungersi, per completezza, accanto all'art. 8, anche gli artt. 7 e 9: previsione, quest'ultima, di particolare interesse per la materia, per la vicenda normativa che ha ricondotto nell'ambito dell'art. 166 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in termini di ritenuta continuità, alcune condotte giù incluse nel perimetro dell'art. 106 t.u.b.: Sez. 5, n. 15279 del 14/10/2016, dep. 2017, Addis, Rv. 272064 - O); c) che in nessun luogo degli artt. 2 e 33 della legge n. 88 del 2009, che fissano principi e criteri direttivi della delega legislativa, si fa riferimento ad una modifica delle sanzioni penali previste dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; d) che un eventuale dimezzamento dei livelli edittali, si risolverebbe in un eccesso di delega legislativa, mentre è doverosa una interpretazione della norma delegata nel significato compatibile con detti principi e i criteri direttivi; e) che alla luce di siffatta regola interpretativa deve ritenersi che il legislatore delegato non abbia voluto modificare la sanzione penale prevista dall'art. 132, ma sostanzialmente adeguarla alla parziale modifica del regime amministrativo e, per quanto concerne le sanzioni pecuniarie, all'entrata in vigore dell'euro; f) che, peraltro, l'art. 39 della legge n. 262 del 2005, non fa riferimento specifico ad una singola fattispecie penale, ma a tutte quelle previste dal t.u.b., alcune delle quali sono rimaste estranee all'innovazione legislativa del 2010.
In definitiva, secondo la sentenza Strada del 2013, nel 2010 non si è realizzato un fenomeno di successione di leggi penali, con parziale abrogazione del raddoppio sanzionatorio previsto dall'art. 39 della legge n. 262 del 2005, dal momento che quest'ultima perseguirebbe il fine di inasprire il regime sanzionatorio delle fattispecie incriminatrici indicate, talché, difettando un potere normativo specifico attribuito al legislatore delegato, dovrebbe ritenersi che alla riformulazione dell'art. 132 t.u.b. non possa attribuirsi altro significato se non quello di rimodulare la disciplina sanzionatoria in ragione della modifica della normativa di carattere amministrativo concernente lo svolgimento delle attività finanziarie e dell'opportunità di adeguare alla nuova valuta le sanzioni pecuniarie.
Incidentalmente si osserva che, nonostante la contrapposizione che Sez. 5, n. 12777 del 16/11/2018, dep. 2019, Albertazzi, Rv. 275996 - O - esaminata nel punto che segue - sembra istituire tra individuazione del fenomeno della successione delle leggi penali e attività interpretativa [v., in particolare, punto 4.3. della motivazione: « va tuttavia evidenziato che la questione in esame non riguarda l'interpretazione della norma, bensì il diverso fenomeno della successione tra le leggi, ed in particolare l'abrogazione (parziale)»], l'accertamento del fenomeno della successione delle leggi penali - nel caso di specie, in punto di trattamento sanzionatorio (si veda, al riguardo, la tipizzazione di cui al punto 2 della motivazione di Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzali, Rv. 243585 - 01), richiede una attività interpretativa più o meno articolata, come dimostra proprio il caso di specie.
E, infatti, ritenere che l'art. 39 della l. n. 262 del 2005 sia stato oggetto di abrogazione implicita è il risultato di una attività ermeneutica, rispetto alla quale la valorizzazione del canone dell'interpretazione costituzionalmente conforme potrebbe non trovare ostacoli nella lettera della legge, posto che la previsione del raddoppio normativo scaturisce da una norma esistente nell'ordinamento e non direttamente ed esplicitamente incisa da alcuna previsione normativa.
Nel quadro della interpretazione costituzionalmente conforme prospettata dalla sentenza Strada (ma anche nella distinta direzione di rilevanza, qualora si ravvisasse un fenomeno di successione di leggi penali, di verificare, nei termini della non manifesta infondatezza, il possibile contrasto dell'art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010 con l'art. 76 Cost.), va anche considerato che l'art. 2, comma 1, lett. c), della I. n. 88 del 2009, nell'attribuire al legislatore delegato «al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti», il potere di individuare sanzioni penali e amministrative, modulate nelle cornici edittali indicate dalla stessa legge, aggiunge che «entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi».
2.3. Secondo una opposta prospettiva interpretativa, in materia di esercizio abusivo dell'attività di intermediazione finanziaria, la disposizione dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 141 del 2010, avendo integralmente sostituito l'art. 132 t.u.b., riformulandone sia la parte precettiva che quella sanzionatoria, ha comportato l'abrogazione, con riferimento a detta fattispecie, della previsione dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che stabiliva il raddoppio delle pene comminate, tra l'altro, dal predetto t.u.b. (Sez. 5, n. 12777 del 16/11/2018, dep. 2019, Albertazzi, Rv. 275996 - O, che ricorda anche Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, non massimata sul punto)
La sentenza Albertazzi ha ritenuto che, nel quadro di un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, si fosse realizzato, anche alla luce del rigore imposto dal principio di stretta legalità, un'abrogazione parziale - da qualificare, più che tacita, che individua, secondo la dottrina costituzionalistica, il secondo caso menzionato dall'art. 15 disp. prel. cod. civ., ossia l'incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, implicita, che riguarda il terzo caso previsto dal medesimo 15 disp. prel. cod. civ., in quanto derivante dal fatto che la nuova legge regola l'intera materia disciplinata dalla legge anteriore - dell'art. 39 della legge n. 262 del 2005.
Si osserva, al riguardo, che la sentenza Albertazzi presuppone che la riscrittura dell'art. 132 t.u.b. abbia comportato, rispetto ad alcuni segmenti delle fattispecie incriminatrici, un fenomeno di continuità normativa, dal momento che si è occupata di finanziamenti concessi nel 2008 senza cogliere alcuna abolitio criminis.
Nella scia della sentenza Albertazzi, si collocano Sez. 2, n. 43670 del 23/09/2021, Piromalli, Rv. 282311 - O e le recenti Sez. 5, n. 28960 del 17/06/2022, Cosentino, n.m.; Sez. 5, n. 28700 del 17/06/2022, Mari, n. m., che, però, non affrontano in termini espliciti il tema della compatibilità dell'art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010 con i principi e i criteri direttivi della legge delega e, in ultima analisi, con l'art. 76 Cost.
3. Alla luce delle superiori considerazioni e della rilevanza delle questioni sottese, il ricorso deve essere rimesso, ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen., alle Sezioni Unite sulla seguente questione:
«Se, anche alla luce della portata della legge delega 7 luglio 2009, n. 88, la riformulazione dell'art. 132 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (t.u.b.), da parte dell'art. 8, comma 2, d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, realizzi un fenomeno di successione di leggi penali, in relazione al trattamento sanzionatorio determinato per effetto del raddoppio dell'entità delle pene previsto dall'art. 39 della I. 28 dicembre 2005, n. 262 o se l'art. 39 cit., nel prevedere il raddoppio delle pene previste dal testo unico di cui al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, dalla I. 12 agosto 1982, n. 576, detti una regola destinata a rimanere insensibile ai mutamenti normativi concernenti queste ultime pene».
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.