Il frazionamento di un'unità abitativa non comprende l'utilizzo dei servizi comuni, come il campo da tennis o il giardino, perché tali beni non rientrano nella presunzione di condominialità in quanto non indispensabili all'uso comune.
A seguito di separazione consensuale dalla moglie, l'attuale ricorrente aveva ricevuto, per atto pubblico di divisione, il box auto dell'appartamento che lo aveva successivamente trasformato in un miniappartamento, aprendo una finestra e sostituendo la serranda basculante con una porta.
Il Condominio adiva il Tribunale di Roma affinchè chiedendo la...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato il 31 gennaio 2006, il Condominio (omissis) (omissis), conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, Il sig. (omissis), esponendo: - che lo stabile condominiale era costituito da sole otto unità abitative - ciascuna delle quali con annesso box e posto auto - ed era dotato di un campo da tennis e di un giardino realizzati per soddisfare le esigenze dei soli condomini residenti nelle predette otto unità immobiliari; - che i coniugi (omissis) (omissis) e (omissis), comproprietari di una delle dette unità immobiliari (distinta come appartamento int. 4, con annessi box al piano interrato identificato con la lettera "b" e posto auto distinto con il n. III), a seguito della separazione consensuale tra loro intervenuta, avevano sottoscritto un atto pubblico di divisione in data 23 ottobre 2000, con il quale era stata concordata l'assegnazione dell'appartamento e del posto auto scoperto alla (omissis) e del box al (omissis) ; - che quest'ultimo aveva successivamente trasformato il box in un monolocale ad uso abitativo realizzando anche una finestra sul muro perimetrale, sostituendo l'originaria serranda basculante con una porta ed allacciando i servizi igienici alla rete fognaria condominiale; - che la trasformazione di destinazione e le opere anzidette si sarebbero dovute ritenere illegittime, avendo comportato la modifica della struttura e dell'estetica del condominio, la costituzione di indebite servitù, la violazione dell'art. 1102 c.c. in quanto il passaggio delle unità abitative da otto a nove aveva compromesso il diritto di godimento degli altri condomini sulle parti comuni, dovendo gli stessi condividerlo con un condomino in più e con il suo nucleo familiare; - che, in ogni caso, il (omissis) non aveva alcun diritto all'utilizzo del giardino e del campo da tennis condominiali.
Sulla base di questa rappresentazione dei fatti, il Condominio attore chiedeva che il (omissis) venisse condannato alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con la conseguente demolizione della finestra realizzata sulla parete del box, la sostituzione della porta con la serranda basculante preesistente e con l'eliminazione dell'allaccio dei servizi igienici alla rete fognaria; inoltre, l'attore instava per la declaratoria dell'accertamento che né il convenuto né i suo aventi causa avevano diritto ad utilizzare il giardino comune e il campo da tennis condominiale.
Nella costituzione del convenuto, che instava per il rigetto della pretesa attorea, l'adito Tribunale, con sentenza n. 2137/2009, rigettava la domanda del suddetto Condominio.
2. Decidendo sull'appello da quest'ultimo proposto, cui resisteva l'appellato, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2801/2017 (pubblicata il 28 aprile 2017), lo accoglieva parzialmente e, in riforma per quanto di ragione dell'impugnata sentenza (confermata nel resto), dichiarava che il (omissis), quale proprietario del miniappartamento contraddistinto dalla lett. "B" al piano seminterrato del fabbricato di (omissis), non aveva diritto di utilizzare il campo da tennis ed il giardino del Condominio dello stabile in questione. Compensava integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Respinti gli altri motivi di doglianza e per quanto ancora qui rileva, la Corte laziale riteneva che al (omissis) non potesse essere riconosciuto il diritto all'utilizzo delle strutture appena indicate, poiché trattavasi di beni che, non costituendo parti comuni indispensabili all'uso condominiale (non essendo legate da una relazione di necessaria accessorietà funzionale ai piani o alle porzioni di piano di proprietà esclusiva in modo tale che il loro godimento fosse strumentale al godimento del bene individuale ed insuscettibile di utilità, come avviene invece nella comunione), non potevano considerarsi rientranti nella presunzione di comproprietà necessaria in capo a tutti i condomini ai sensi dell'art. 1117 c.c..
In ogni caso, il giudice di secondo grado aggiungeva che, ove anche si fosse potuta presumere tale comproprietà in capo al(omissis) , allo stesso non si sarebbe potuto riconoscere il diritto di fruire delle anzidette strutture, poiché risultante proprietario di un miniappartamento ottenuto dalla trasformazione di un originario box.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi formulati in via principale e ad altri due motivi prospettati in via subordinata, il (omissis)
Ha resistito con controricorso l'intimato Condominio, illustrato da memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, formulato in via principale, il ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la violazione dell'art. 112 c.p.c. per effetto della prospettata mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ovvero tra i motivi di appello formulati dal Condominio e la decisione assunta dalla Corte di secondo grado.
In particolare, con tale censura, il (omissis) ha inteso dedurre che il Condominio appellante aveva lamentato il mancato accoglimento della domanda di accertamento negativo del suo diritto all'utilizzo del giardino condominiale e del campo da tennis, unicamente sotto il profilo della violazione dell'art. 1122 c.c., così postulando la natura condominiale di dette strutture, nel mentre il giudice di appello aveva ricondotto tale motivo nell'alveo di applicabilità o meno della presunzione di condominialità prevista dall'art. 1117 c.c.
2. Con la seconda doglianza, da considerarsi avanzata sempre in via principale, il ricorrente ha lamentato la violazione del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c., proprio sul presupposto che - alla stregua della linea difensiva adottata dall'appellante Condominio - non avrebbe potuto ritenersi configurata alcuna controvertibilità sulla natura condominiale di tali strutture, né lo stesso Condominio aveva allegato circostanze dalle quali poter desumere, in qualche modo, l'insussistenza della relazione "funzionale" tra i vari beni in discorso.
3. Con il primo motivo da intendersi dedotto in via subordinata, il ricorrente ha denunciato- con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione dell'art. 1117 n. 1 c.c. e la falsa applicazione degli artt. 1100 e segg. c.c., avuto riguardo alla mancata inclusione del giardino e del campo da tennis ivi insistente, o in ulteriore subordine del solo giardino, tra i beni presuntivamente condominiali, con conseguente illegittima sussunzione dei suddetti beni nell'ambito della comunione ordinaria.
4. Con la seconda censura proposta in via subordinata, il ricorrente ha lamentato - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione dell'art. 1117 n. 1 c.c. e la falsa applicazione degli artt. 1110 e segg. c.c., in uno alla violazione dell'art. 2697 c.c., avuto riguardo all'onere della prova circa l'anteriorità dell'esistenza del campo da tennis rispetto all'epoca della trasformazione, dallo stesso eseguita, del box in appartamento.
5. Rileva il collegio che i primi due motivi - da considerarsi formulati in via principale - sono infondati e vanno, perciò, respinti per le ragioni che seguono.
Secondo la prospettazione del ricorrente contenuta in questi due motivi, la Corte di appello, con l'impugnata sentenza, sarebbe incorsa nella violazione dell'art. 112 c.p.c. (e correlativamente dell'art. 115 c.p.c.), poiché - avendo il Condominio (con la domanda originaria, reiterata con l'atto di appello) inteso chiedere l'accertamento della violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c. avuto riguardo alle illegittime opere realizzate dallo stesso (omissis) (con la creazione del miniappartamento sostitutivo del box preesistente, così aggiungendo una nuova unità immobiliare nello stabile condominiale), con la conseguente indebita fruizione dei servizi condominiali - non avrebbe potuto fondare la sua decisione sulla violazione dell'art. 1117 c.c., ritenendo che il giardino e il campo da tennis non rientravano nella presunzione di comproprietà necessaria in capo a tutti condomini ai sensi della norma appena citata, ma formavano oggetto di comunione ordinaria.
Osserva il collegio che, malgrado questa apparente distonia tra il "decisum" del giudice di secondo grado e l'impostazione della citazione iniziale e dell'atto di appello, la Corte laziale non è incorsa nel denunciato vizio di extrapetizione.
Ed invero, nonostante il riferimento specifico alle suddette norme di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c., non può dubitarsi che, avendo il Condominio chiesto (per quanto emerge dal contenuto dei due citati atti, esaminabili anche in questa sede, vertendosi in una ipotesi di denuncia di un vizio processuale) la dichiarazione che il (omissis) non aveva diritto all'utilizzo del giardino comune e del campo da tennis condominiale, avesse inteso - sul piano dell'implicazione logico-giuridica - invocare l'accertamento presupposto dell'applicabilità o meno della presunzione di condominialità ai suddetti beni, in tal senso, quindi, venendo complessivamente interpretata la domanda giudiziale da parte della Corte di appello.
Del resto, il fatto rilevante ai fini della decisione del giudizio non era tanto la verifica della legittimità o meno del mutamento di destinazione e/o trasformazione eseguito dal (omissis), quanto la divisione dell'originaria unica unità immobiliare (appartenente a lui e alla consorte) in due distinte e separate unità, con l'accertamento conseguente, sull'uso legittimo o meno delle cose comuni, sul presupposto della loro condominialità. Ed è proprio di questa connotazione che la Corte di appello ha escluso l'esistenza, avendo statuito che il giardino e la piscina non potevano considerarsi parti comuni indispensabili all'uso comune, non essendo legati da una relazione di necessaria accessorietà strumentale e funzionale ai piani o alle porzioni di piano di proprietà esclusiva, in modo tale che il loro godimento fosse da ritenersi strumentale a quello del bene individuale ed insuscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione, così ritenendo l'inapplicabilità a detti beni della presunzione prevista dall'art. 1117 c.c. (qualificazione giuridica, quindi, e non fatto, a cui invece avrebbe potuto applicarsi l'invocato principio di non contestazione).
Oltretutto, la giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che l'interpretazione della domanda, delle eccezioni e delle deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non senza trascurare la rilevanza della condivisione dell'altro generale principio, in base al quale il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione o di extrapetizione, implica il divieto per il giudice di emettere una statuizione che alteri gli elementi di identificazione dell'azione (ovvero il petitum e la causa petendi), con la conseguenza che tale vizio va escluso quando il giudice, entro i limiti delle pretese avanzate o delle eccezioni proposte dalle parti, fondi la decisione anche su argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti.
In altri termini, in tema di impugnazioni, il giudice di appello incorre nel vizio di extrapetizione allorché pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d'ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Non è precluso, invece, allo stesso giudice l'esercizio del potere-dovere di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica diversa da quella data in prime cure con riferimento alla individuazione della causa petendi, dovendosi riconoscere a detto giudice il potere-dovere di definire l'esatta natura del rapporto dedotto in giudizio onde precisarne il contenuto e gli effetti, in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell'atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al suo esame ( cfr., tra le tante, Cass. n. 4744/2005 e Cass. n. 12943/2012).
Peraltro - osserva il collegio - la denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c. si profila insussistente anche sotto un ulteriore, assorbente, aspetto.
Infatti, il giudice di appello (v. pag. 5 dell'impugnata sentenza) ha specificamente motivato sulla illegittimità dell'uso, da parte del (omissis), del giardino comune e della piscina condominiale, anche con riferimento all'eventualità in cui ad essi si fosse voluta ritenere applicabile la presunzione di condominialità di cui al citato art. 1117 c.c., così procedendo alla valutazione della prospettazione del ricorrente, impostata sull'esclusione dell'operatività di tale presunzione, giungendo, tuttavia, all'accertamento della illegittimità dell'uso di detti beni ad opera dello stesso(omissis) sulla base di altra autonoma "ratio decidendi", la cui critica costituisce oggetto degli altri due motivi di ricorso dal medesimo proposti in via subordinata.
6. Anche questi due ultimi motivi sono infondati e devono essere rigettati, risultando conforme a diritto il percorso logico-giuridico adottato al riguardo nell'impugnata sentenza e la conseguente soluzione raggiunta.
Invero, da un punto di vista generale, è indiscutibile che, affinché un singolo condomino possa presumersi comproprietario di una determinata parte comune di un edificio condominiale, è necessario che, all'atto della costituzione del condominio, sussistesse un rapporto di accessorietà, di tipo strutturale e funzionale, tra tale parte comune (come sono il giardino e la piscina condominiali) e la singola, distinta, unità immobiliare, nella sua originaria conformazione (poi pervenuta al detto condomino), di modo che possa venirsi a configurare l'idoneità, anche se non esteriorizzatasi, della prima ad essere utilizzata in funzione del godimento della seconda.
Se questa è la premessa generale, diviene consequenziale ritenere che la suddetta presunzione (di condominialità) non opera nel momento in cui l'indicata relazione attitudinale non esisteva al momento del frazionamento dell'edificio in proprietà diverse e si sia venuta a realizzare solo successivamente per effetto della trasformazione apportata alla porzione immobiliare di proprietà singola.
Ed è proprio questa la situazione che si è venuta a configurare nel caso di specie, poiché - a seguito della sopravvenuta divisione dell'intera unità immobiliare già appartenente in comune al (omissis) e alla moglie, con l'attribuzione al primo del solo originario box - avendo il ricorrente successivamente trasformato quest'ultimo in un monolocale adibito ad uso abitativo (creando, perciò, un'unità immobiliare aggiuntiva, quindi non esistente all'atto della costituzione del condominio), la nuova conformazione e destinazione del vano non avrebbero potuto comportare il diritto all'utilizzo del giardino comune e della piscina condominiale, siccome il box oggetto di trasformazione non era legato da un relazione funzionale di strumentalità con il godimento collettivo di detti beni (dovendosi prescindere dall'utilizzazione di fatto e, comunque, dalla soggettività del servizio).
Pertanto, correttamente, la Corte di appello ha concluso - con riferimento alla specifica fattispecie - che, sul presupposto dell'impossibilità di configurare l'utilizzo del campo da tennis e del giardino condominiali in funzione dell'uso dell'originario box, andava esclusa la presunzione di condominialità di detti preesistenti (non essendo stata la circostanza della loro preesistenza oggetto di contestazione nei gradi di merito) beni comuni in favore del (omissis)i, divenuto proprietario del miniappartamento frutto della trasformazione del box stesso, con conseguente inapplicabilità - in relazione alla nuova struttura e destinazione da esso assunte - delle norme concernenti la disciplina dei beni comuni del condominio, trovando, invece, applicazione quelle della comunione ordinaria.
7. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto.
La peculiarità della fattispecie e la problematicità giuridica della questione sostanziale trattata giustifica l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.