Con la sentenza in commento, la Corte chiarisce quando il licenziamento può definirsi ritorsivo e quali sono gli oneri probatori a carico delle parti.
I Giudici di merito accoglievano la domanda dell'attore finalizzata ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli per riduzione del personale. Tuttavia, la Corte d'Appello escludeva il carattere ritorsivo del licenziamento in quanto giustificato dal motivo oggettivo di riduzione del personale, in...
Svolgimento del processo
1. V.A. ha agito in giudizio nei confronti della sua datrice di lavoro Associazione P. (d’ora in avanti, P.) e del legale rappresentante della stessa, C.S., per far dichiarare la nullità o l’illegittimità del licenziamento, intimato il 27.6.2016, per riduzione di personale a seguito di Delibera dell’ASL di Brindisi n. 1111 del 27.6.2016.
2. Il Tribunale di Brindisi ha dichiarato la nullità del licenziamento perché ritorsivo ed ha condannato la P. e il legale rappresentante a reintegrare il lavoratore e a risarcirgli il danno, ai sensi dell’art. 18, comma 2, legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, escludendo l’applicabilità del d.lgs. n. 23 del 2015 in ragione del patto in tal senso concluso tra le parti.
3. La Corte d’appello di Lecce, adita dalla parte datoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha giudicato illegittimo il licenziamento, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro ed ha condannato la P. e C.S. al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva in misura pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
4. La Corte territoriale ha escluso il carattere ritorsivo del licenziamento sulla base delle seguenti considerazioni: le pretese del dipendente di ottenere l’applicazione del c.c.n.l. A.O., in luogo del c.c.n.l. A., erano state accolte dalla datrice di lavoro, sia pure dietro sollecitazione sindacale, e i lavoratori avevano ottenuto l’inquadramento contrattuale e le differenze retributive rivendicate; la richiesta del lavoratore di ricevere i dispositivi di protezione individuale, avanzata con lettera del 18.2.16, non poteva ritenersi correlata al licenziamento in quanto era stata sottoscritta non solo dall’A. e dagli altri lavoratori part time (poi licenziati), ma anche da lavoratori full time non destinatari di alcun licenziamento; la richiesta del lavoratore di trasformazione del contratto da part time in full time, rimasta inascoltata, aveva alla base la problematica dell’esubero dei dipendenti rispetto al limite massimo previsto dalle norme regionali, che era stata affrontata con l’accordo sindacale del 29.5.2015 e che è alla base del licenziamento intimato dalla P..
5. Ha, comunque, ritenuto che una eventuale finalità ritorsiva non potesse costituire motivo illecito determinate data l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso accertato in base ai seguenti dati:
- a seguito del bando dell’Asl di Brindisi del 9.5.2013, il servizio sanitario di trasporto di emergenza-urgenza 118 nel territorio di Brindisi è stato affidato alla ASP di Ostuni che ha destinato al servizio 118 di Brindisi-Centro, in virtù di clausola sociale, quattro dipendenti a tempo pieno;
- nello schema di convenzione allegato al bando era stabilito (art. 5) che l’Associazione aggiudicataria, secondo quanto previsto dalle deliberazioni di Giunta Regionale n. 1479 del 30.6.2011 e n. 1788 del 2.8.2011, avrebbe potuto avvalersi di lavoratori subordinati nel numero massimo di 4 unità full time (o di 8 unità part time), per ogni postazione 118 affidata in convenzione;
- la ASP di Ostuni, per esigenze organizzative non meglio precisate, ha assunto ulteriori sei dipendenti a tempo pieno, tra cui V.A.; tale assunzione ha provocato un “grave aggravio di uscite rispetto alle entrate” e indotto la ASP di Ostuni a rinunciare alla gestione del servizio per eccessiva onerosità sopravvenuta;
- per far fronte all’emergenza causata da tale rinuncia, la ASL di Brindisi, con deliberazione n. 860 del 22.5.2015 e a seguito di pubblico sorteggio, ha affidato temporaneamente la gestione del 118 di Brindisi-Centro all’Associazione P. che, per effetto della clausola sociale, avrebbe dovuto assumere con contratti a tempo pieno i dieci dipendenti precedentemente adibiti a quella postazione;
- la convenzione stipulata tra la ASL di Brindisi e la P. il 28.5.2015, nella parte normativa, ricalcava la convenzione già stipulata con la ASP di Ostuni, il cui art. 5 fissava il numero di lavoratori subordinati per ogni postazione 118 nel numero massimo di 4 unità full time (o di 8 unità part time);
- per risolvere la contraddittorietà creatasi tra la delibera n. 860 del 22.5.2015 (contenente la clausola sociale che imponeva alla P. l’assunzione a tempo pieno dei dieci dipendenti) e la convenzione del 28.5.2015 (che limitava il numero massimo di dipendenti a quattro full time oppure 8 part time), il 29 maggio 2015 si era svolto un incontro tra le due associazioni (P. e ASP di Ostuni), i lavoratori e il sindacato, nel corso del quale si era stabilito che la P. avrebbe assunto immediatamente con contratto a tempo indeterminato full time solo i quattro lavoratori in forza presso l'ASP di Ostuni sin dal momento dell’aggiudicazione del servizio mentre gli altri sei lavoratori, assunti dalla citata ASP in epoca posteriore (tra cui V.A.) sarebbero stati assunti con contratto part-time a tempo determinato fino a dicembre 2015 e con contratto part-time a tempo indeterminato per il periodo successivo;
- A. V., unitamente ad altri due lavoratori (S. e S.), con lettera del 26.5.2016 diretta all’ASL di Brindisi e alla P., ha denunciato il mancato rispetto della delibera n. 860 del 22.5.2015 e, specificamente, la mancata assunzione con contratto full time;
- a seguito di tale lettera, l’ASL di Brindisi, con delibera n. 1111 del 27.6.2016, ha provveduto alla “parziale rettifica in autotutela della deliberazione n. 860 del 22.5.2015” in maniera da renderla conforme all’art. 5 della convenzione del 28.5.2015 (e alle deliberazioni di Giunta Regionale n. 1479 del 30.6.2011 e n. 1788 del 2.8.2011) sul numero di lavoratori addetti ad ogni singola postazione di 118;
- secondo la Corte d’appello, l'assunzione da parte di P. dei sei lavoratori (tra cui A.) in esubero dalla ASL di Ostuni era stata effettuata solo in ragione della delibera n. 860/2015 e non per autonome esigenze di personale; la successiva delibera di rettifica n. 1111/2016 aveva imposto a P. di ricondurre il numero dei dipendenti entro i limiti consentiti e ciò integrava un’esigenza di riduzione del personale;
- il licenziamento di A. era pertanto giustificato dal motivo oggettivo di riduzione del personale, in termini di soppressione dei posti creati in eccesso;
- la P., tuttavia, non aveva adempiuto all'onere di provare l'impossibilità di ricollocare il lavoratore in altri settori aziendali o in altre mansioni, sebbene risultasse che nel mese di giugno 2016 A. fosse stato inserito nei turni di lavoro presso la postazione 118 di Brindisi-Porto e sebbene risultasse che il 6 luglio 2016, pochi giorni dopo il licenziamento di A. e degli altri lavoratori assunti part-time, la P. avesse riassunto due di essi, con le medesime mansioni; questi dati dimostravano l'esistenza della possibilità di repechage;
- che l’allegazione di P., di aver riassunto due lavoratori part time in seguito al licenziamento di un dipendente full time per motivi disciplinari, non smentiva la possibilità di repechage per la sostanziale contestualità dei licenziamenti, non avendo inoltre l’Associazione allegato e provato i criteri adoperati per la scelta dei lavoratori riassunti, con conseguente l’illegittimità del recesso intimato all’attuale ricorrente.
6. Avverso tale sentenza V.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. C.S., in proprio e quale legale rappresentante della P, ha resistito con controricorso.
7. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte. È stata depositata memoria nell’interesse di V.A., ma senza il rispetto del termine fissato dall’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
8. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché errata interpretazione dell’istruttoria.
9. Si censura come illogica la motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento senza considerare tutte le richieste avanzate dal lavoratore nei confronti della società e nonostante la mancanza di prova, di cui era onerata la parte datoriale, sulla necessità di riduzione del personale e sui criteri adoperati per la selezione dei lavoratori riassunti ed anzi nonostante l’accertata violazione dell’obbligo di repechage; si rileva che la Corte di merito ha ritenuto dimostrata l’esigenza di riduzione del personale senza considerare il dato, logicamente contraddittorio con tale assunto, che dopo la delibera del 22.5.2015 e il successivo incontro sindacale la P. abbia atteso un anno prima di licenziare l’A. e gli altri due dipendenti; si assume che alla data del recesso le esigenze produttive e organizzative della P. non fossero cambiate sì da richiedere una riduzione di personale ma, al contrario, aumentate poiché con delibera n. 713 del 26.4.2016 era stata temporaneamente affidata alla predetta Associazione la gestione del 118 Brindisi-Porto e lo stesso A. era stato inserito nei turni di giugno 2016 tra i dipendenti che avrebbero dovuto prestare attività presso quest’ultima postazione.
10. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della deliberazione n. 1111/2016 nonché della legge n. 223 del 1991.
11. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la delibera n. 860/2015, contenente un bando di gara, potesse essere parzialmente revocata o annullata successivamente alla aggiudicazione, eliminando una condizione economica essenziale (clausola sociale), il tutto a favore della aggiudicataria così esentata da un onere che la stessa aveva volontariamente e consapevolmente assunto; si sostiene che, per la stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comportasse la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto; che nel caso di specie la pubblica amministrazione ha proceduto all'annullamento della delibera senza trarre le doverose conseguenze in termini di revoca della aggiudicazione e automatica caducazione del contratto; che l’illegittimità della delibera 1111/2016, di revoca o annullamento parziale della delibera 860/2015, avrebbe dovuto determinare l’illegittimità del licenziamento, atteso che quest’ultimo aveva come unica motivazione la citata delibera 1111.
12. Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
13. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 23583 del 2019; Cass. 9468 del 2019; Cass. 28453 del 2018; Cass. 26035 del 2018; Cass. 27325 del 2017), la tutela che l’ordinamento riconosce in caso di licenziamento ritorsivo, cioè la nullità del provvedimento espulsivo in quanto fondato su un motivo illecito, ai sensi dell’art. 18, comma 1, legge 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012 applicabile ratione temporis, presuppone che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011).
14. Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se tale motivo non ci fosse stato, e quindi deve costituire l'unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dalle ragioni formalmente addotte.
15. L'onere della prova del carattere ritorsivo del provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro (v. Cass. n. 10047 del 2004; n. 18283 del 2010).
16. Si è ulteriormente precisato (Cass. 23583 Data pubblicazione 29/09/2022
2019 cit.) che ove il lavoratore deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti dal medesimo allegati a fondamento della domanda richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, poiché la nullità per motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 cod. civ. richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente (Cass. n. 9468 del 2019).
17. Infatti, l'allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare, ai sensi dell’art. 5, legge n. 604 del 1966, l'esistenza di giusta causa o giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante (l'intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso (in tal senso Cass. 26035 del 2018; 23149 del 2016; Cass. 6501 del 2013).
18. Al fine di delimitare il contenuto dell’onere di prova di cui al citato art. 5, occorre considerare che, secondo l’indirizzo di questa Corte, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, costituiscono presupposti di legittimità del recesso sia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (Cass. 10435 del 2018; n. 29102 del 2019).
20. La Corte d’appello non si è attenuta ai principi finora enunciati sia perché, nel procedimento logico da essa seguito, ha posposto la valutazione sulla prova del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro a base del licenziamento rispetto all’esame degli indici di ritorsività allegati dal lavoratore, così omettendo di valutare l’illegittimità del recesso unitamente agli indici di ritorsività; inoltre, perché ha scisso la valutazione del motivo oggettivo di licenziamento tenendo distinte le due componenti, cioè l’esigenza economica di riduzione del personale e l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore ed ha ritenuto che la sussistenza delle ragioni economiche fosse idonea e sufficiente ad escludere l’intento ritorsivo, là dove, invece, l’esclusione del motivo illecito può derivare unicamente dalla ricorrenza di entrambi i requisiti costituitivi della legittimità del recesso (questioni analoghe sono affrontate in Cass. n. 23149 del 2016, relativa ad una ipotesi di licenziamento collettivo, in cui si è definita erronea la “scissione del profilo attinente le motivazioni del licenziamento collettivo da quello relativo ai criteri che hanno governato la scelta dei lavoratori da licenziare”, ribadendosi che “dal punto di vista del singolo lavoratore, infatti, i presupposti del legittimo esercizio del potere di recesso attengono ad entrambi tali requisiti, ovvero la sussistenza delle ragioni oggettive della procedura e l'incidenza delle stesse sulla specifica posizione del lavoratore: solo nella sussistenza di entrambi può dirsi legittimo il recesso ed esclusa la rilevanza del motivo illecito”).
21. Il modo di procedere adottato dalla Corte territoriale, contrario ai principi sopra richiamati e alla sequenza logica che deve guidare il giudice nella valutazione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e della nullità del recesso perché sorretto dal motivo ritorsivo unico e determinante, si è tradotto in una motivazione che reca affermazioni logicamente e giuridicamente inconciliabili, ciò in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. Il primo motivo di ricorso deve quindi trovare accoglimento.
22. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, anzitutto, pone questioni che non risultano affrontate nella sentenza d’appello, senza che sia indicato in che termini e in quali atti processuali dei gradi di merito tali questioni siano state poste.
23. Questa Corte ha chiarito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n.11166 del 2018).
24. Inoltre, la violazione di un atto amministrativo non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo esso norme di diritto, ma essendo piuttosto qualificabile tra gli atti unilaterali, in riferimento ai quali può essere denunciata per cassazione soltanto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, nella misura in cui essi sono applicabili anche agli atti unilaterali, ovvero il vizio di motivazione (v. Cass. n. 5966 del 2022; S.U. n. 16612 del 2008; Cass. n. 14732 del 1999), nei limiti ora segnati dalle S.U. di questa (v. Cass., S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).
25. Per le ragioni esposte, accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame della fattispecie uniformandosi ai principi richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.