La Cassazione risponde al quesito con la pronuncia in commento.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. R. A. adì il Tribunale di Urbino per ottenere la condanna della A.S.U.R. Marche, Azienda Sanitaria Unica Regionale, al risarcimento dei danni derivati dagli errori diagnostici e terapeutici commessi dai sanitari in servizio presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Urbino nel trattamento della frattura biossea alla gamba sinistra riportata a seguito di incidente occorso durante una partita amatoriale di calcetto: trattamenti tali da determinare un aggravamento delle menomazioni direttamente provocate dall'incidente verificatosi sul campo da gioco.
In parziale accoglimento della domanda il Tribunale, con ordinanza in data 23 febbraio 2017, riconosciuta la responsabilità della convenuta, liquidò - per quanto in questa sede interessa - a titolo di risarcimento del danno biologico da invalidità permanente la somma di € 56.598,00 commisurata (secondo le Tabelle di Milano del 2014) ad una percentuale di invalidità del 17%, pari alla differenza tra la percentuale di invalidità complessiva accertata dal c.t.u., pari al 25%, e quella dell'8% ascrivibile ai postumi permanenti che comunque sarebbero derivati dall'incidente sportivo.
2. La Corte d'appello di Ancona ha confermato tale decisione, rigettando il primo motivo del gravame interposto dall'A. che si doleva dell'errata quantificazione del danno.
3. Per la cassazione di tale sentenza R. A. propone ricorso affidato ad unico mezzo.
L'Azienda Sanitaria intimata non svolge difese nella presente sede.
4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo di ricorso, R. A. denuncia, con riferimento all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 e.e., per avere la Corte di appello disatteso il principio di diritto per cui, in materia di danno differenziale da invalidità permanente, il risarcimento per equivalente è pari alla differenza fra la somma tabellarmente corrispondente alla percentuale complessiva di danno biologico e quella tabellarmente corrispondente alla percentuale di danno biologico riconducibile alla lesione che il paziente si era autonomamente procurato.
2. Il motivo è manifestamente fondato.
In materia di danno differenziale deve darsi continuità ai principi affermati da Cass. 11/11/2019, n. 28986 (e da ultimo ribaditi da Cass. 21/08/2020, n. 17555; 06/05/2021, n. 12052; 27/09/2021, n. 26117), secondo cui in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall'art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi "coesistente" vuoi "concorrente" rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell'art. 1223 cod. civ..
In particolare, quella "coesistente" è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato) sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella "concorrente" assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni».
In tema di liquidazione del danno alla salute, l'apprezzamento delle menomazioni policrone "concorrenti" in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali, l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito e poi quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di «validità» anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto.
Nello specifico, pur dando atto che il c.t.u. aveva correttamente sottolineato che le lesioni conseguenti al sinistro avevano inciso in termini peggiorativi su una patologia preesistente (frattura biossea), la Corte di merito ha confermato la decisione di primo grado, specificamente impugnata sul punto, che aveva quantificato il danno, come detto, ponendo a base del calcolo tabellare una percentuale invalidante del 17% pari alla differenza tra quella del 25% effettivamente riscontrata dal c.t.u. e quella ascrivibile alle menomazioni preesistenti concorrenti.
Così facendo, la Corte ha però disatteso il criterio sopra individuato, che avrebbe comportato la necessità di calcolare il «valore monetario dall'invalidità complessivamente accertata» e di sottrarre da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità derivante dalle menomazioni preesistenti concorrenti, fatta salva la possibilità di esercizio del potere discrezionale di applicare «la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto» (Cass. n. 28896 del 2019, cit.).
In altri termini, non si evince dalla sentenza impugnata che la Corte abbia effettuato una quantificazione rapportata alla invalidità complessiva successiva al sinistro (comprensiva delle menomazioni preesistenti e di quelle causate dal sinistro che, in rapporto policrono concorrente, hanno aggravato la precedente condizione dell'appellante) per poi pervenire, tramite sottrazione del valore monetario corrispondente alla patologia originaria, a determinare il «differenziale» risarcitorio spettante al danneggiato.
Le ragioni che rendono necessaria l'adozione di tale corretto metodo di calcolo, in funzione del diritto all'integrale risarcimento del danno ascrivibile a responsabilità dei sanitari, sono le seguenti.
Sono le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale; tali privazioni (e le connesse sofferenze) progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità; la misura convenzionale cresce invece secondo progressione aritmetica.
Ciò si riflette nel metodo di liquidazione che, dovendo obbedire al principio di integralità del risarcimento (art. 1223 cod. civ.), opera necessariamente, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi.
Tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo all'incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile.
Un punto di invalidità è uguale a quello cui si somma solo nella sua espressione numerica (che progredisce aritmeticamente), non nel sostrato reale (l'entità delle rinunce corrispondenti) che concorre a rappresentare, né, parallelamente, nella sua traduzione monetaria.
La sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale, che dovrà attenersi, nella liquidazione, ai criteri suindicati.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione; rinvia la causa alla Corte d'appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.