Eventuali omissioni informative correlate alla contrazione di una patologia suscettibile di evolversi in AIDS possono essere fonte di responsabilità da danno non patrimoniale sotto il profilo della lesione dei diritti alla salute e all'autodeterminazione del detenuto.
Svolgimento del processo
1. - C. R. propone due motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria, nei confronti del Ministero della Giustizia, per la cassazione della sentenza n. 1491\2018 della Corte d'Appello di Bari, pubblicata il 4.9.2018.
2. - Il Ministero non ha svolto attività difensive in questa sede. Ha depositato esclusivamente un "atto di costituzione per la partecipazione alla discussione orale", che non ha avuto luogo.
3. - La causa dapprima è stata avviata alla trattazione nell'adunanza camerale della Sesta Sezione civile, quindi da questa è stata rimessa, con ordinanza interlocutoria n. 11609 del 2020, alla Terza Sezione per la rilevanza delle questioni agitate, tra cui quella degli obblighi di informazione nei confronti del cittadino e del detenuto da parte dell'Amministrazione che ne accerti per fini istituzionali le condizioni di salute.
4. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede l'accoglimento del ricorso.
5. - Questi i fatti:
- il C. agiva in giudizio, nel 2001, nei confronti del Ministero della Giustizia, assumendo di aver trascorso svariati periodi di detenzione presso le carceri italiane e di non essere stato adeguatamente informato, nel corso di essi, dall'amministrazione penitenziaria, della sua accertata sieropositività all'HIV, informazione acquisita dall'Amministrazione a seguito dei controlli medici ai quali era stato sottoposto l'attore durante la detenzione già nel 1986 e non trasferita al detenuto, precludendogli la possibilità di sottoporsi alle adeguate terapie farmacologiche per evitare l'evoluzione della malattia dalla sieropositività alla contrazione dell'AIDS. Riferiva che soltanto nel 2000, a seguito di controlli medici eseguiti durante un ricovero in ospedale, dai quali emergeva che aveva contratto l'AIDS, aveva appreso che risultava iscritto negli elenchi dei sieropositivi fin dal 1986, anno in cui era detenuto presso la casa circondariale di Foggia, e che l'ospedale aveva a suo tempo avvisato la casa circondariale dell'esito in tal senso degli esami senza che questa a sua volta glielo comunicasse. Agiva per ottenere il risarcimento del danno procuratogli dalla omessa informazione da parte dell'amministrazione penitenziaria;
- Il tribunale, espletata una c.t.u. medica sulla persona del ricorrente e sulla documentazione medica in atti, rigettava la domanda, ritenendo che l'attore non avesse fornito la prova dell'omessa informazione da parte della casa circondariale e neppure del nesso causale tra tale omessa informazione e l'evoluzione della malattia da virus HIV in AIDS;
- la corte d'appello confermava la decisione di primo grado, escludendo che l'attore avesse fornito la prova del nesso causale tra la pretesa omessa informazione, risalente al 1986, e l'evoluzione della sieropositività in AIDS conclamato, ritenendo:
- che dovesse ritenersi irrilevante la violazione degli art. 11 della legge n. 345 del 1975 nonché delle circolari del Ministero perché inidonea di per sé a costituire prova del nesso causale tra la condotta omissiva dell'amministrazione e la successiva contrazione dell'AIDS da parte dell'attuale ricorrente;
- che successivamente, nel 1989, detenuto presso altro carcere, il C. aveva rifiutato di sottoporsi al test HIV;
- che prima di scoprire la malattia era stato in condizione di libertà per dieci anni, dal 1990 al 2000, senza effettuare alcun tipo di test o di verifica in ordine alla possibile esistenza della malattia, pur sapendo di rientrare tra le categorie di soggetti maggiormente esposti al rischio del contagio, sia per i periodi di detenzione trascorsi sia per la sua condizione personale di tossicodipendente.
Motivi della decisione
6. - Il ricorrente denuncia col primo motivo l'omesso esame di un fatto decisivo, indicando come tale un documento in atti, cioè il certificato medico, riportante gli esiti dell'analisi eseguita nel 1986 dall'Ospedale di Foggia, inviata dalla USL al carcere di Foggia ove il C. era all'epoca detenuto, dal,té quale risultava la presenza di anticorpi anti-HTLV III, del quale assume di esser venuto a conoscenza solo nel 2000, documentazione attestante che quando era detenuto nel carcere di Foggia, nel 1986, il ricorrente era risultato positivo all'HIV, e che di tanto l'amministrazione carceraria era stata resa edotta, ma non aveva provveduto ad informarlo.
Assum-Mtomessa trasmissione di quella informazione da parte dell'amministrazione penitenziaria abbia indebitamente confiscato il suo diritto di essere informato sul suo stato patologico, e compromesso anche il suo diritto a curarsi, al fine di evitare l'evoluzione del virus da semplice sieropositività in AIDS.
Sottolinea che neppure in occasione degli ulteriori periodi di restrizione il detenuto veniva reso edotto dall'Amministrazione penitenziaria degli esiti del test del 1986, né veniva sottoposto ai dovuti accertamenti al fine di comprendere la potenziale degenerazione dell'infezione in AIDS.
7. - Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, ed in particolare del decreto del Ministro della Sanità n. 288 del 1986, della circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 27.6.1985, della legge n. 345 del 1975 art. 11 e dell'art. 32 Cost.
Segnala che il decreto ministeriale, entrato in vigore il 12.12.1986, quando lui, ancora per pochi giorni, era ristretto presso la casa circondariale di Foggia, inseriva l'AIDS nell'elenco di malattie soggette a notifica obbligatoria.
8. - Il ricorso deve essere accolto, in riferimento ad entrambi i motivi. Sussistono sia la denunciata violazione di legge, quanto agli obblighi informativi sulle condizioni di salute dei detenuti gravanti sulla struttura carceraria, sia la violazione di legge quanto alla ricostruzione dell'esistenza del nesso causale tra l'omessa trasmissione dell'informazione relativa alla sieropositività, disponibile già nel 1986, e la successiva evoluzione della malattia, da semplice positività in Aids conclamato.
La mancata consapevolezza del giudice di merito degli obblighi normativi gravanti sull'amministrazione carceraria rende anche la motivazione complessivamente illogica.
9.- Preliminarmente, occorre chiarire che, per quanto attiene alla condizione del detenuto ed alla tutela della sua salute in ambiente carcerario, l'art. 11 della legge 354 del 1975, rubricato "Servizio Sanitario" ha espressamente statuito che: "( ...omissis...) Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati nelle infermerie e nei reparti specialistici degli Istituti, i detenuti e gli internati sono trasferiti negli ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati. Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti (...omissis...)".
Ne deriva un obbligo, in capo all'amministrazione carceraria, di vegliare sulla salute del singolo detenuto (e attraverso i controlli sui singoli, sulla salute della popolazione carceraria in generale) anche a prescindere delle richieste provenienti da questi o dall'eventuale mancanza di interesse del detenuto in ordine alle sue condizioni di salute, e ciò a tutela non soltanto della salute del singolo ma della sicurezza della comunità carceraria, al fine di contenere e evitare al massimo ogni ipotesi di contagio, la cui diffusione è inevitabilmente favorita dagli spazi ristretti di forzata convivenza.
A ciò si aggiunga che il citato decreto ministeriale n. 288 del 1986 inserisce l'AIDS nell'elenco di malattie soggette a notifica obbligatoria. Questa Corte ha già avuto modo di esaminare il contenuto degli obblighi di assistenza e cura fissati dall'art. 11 della I. 26 luglio 1975 n. 354 a carico dell'amministrazione sanitaria, affermando che essi sussistono anche a prescindere dalla stessa volontà del detenuto di sottoporsi alle cure (in particolare, Cass. pen., Sez. IV, 22/11/1994, n. 13077 ha affermato che, qualora muoia per AIDS un detenuto che, all'atto dell'ingresso in carcere, risultava sieropositivo da HIV, e che si era rifiutato di sottoporsi a visite, chiudendosi in volontario isolamento, è responsabile del reato di omicidio colposo il sanitario che, per oltre due mesi, non ha visitato il detenuto, qualora, risultando documentalmente le condizioni per l'evoluzione del male a breve scadenza, sia stato in possesso di elementi per rendersi conto che il detenuto non poteva più essere considerato solo un sieropositivo).
10. Dall'obbligo di eseguire periodici accertamenti sulle condizioni di salute dei detenuti discende il dovere della struttura, e il diritto del detenuto, all'informazione: ogni detenuto ha il diritto di essere informato dell'esito degli accertamenti medici cui viene sottoposto all'interno della struttura carceraria.
Le esigenze di tutela del diritto di informazione, al fine di favorire la consapevolezza del detenuto sulle sue condizioni di salute e sulle eventuali cure di cui può godere I hanno trovato concreta attuazione proprio nell'art. 11 innanzi menzionato, che ha previsto una serie di obblighi informativi a carico dell'amministrazione penitenziaria.
Il mancato rispetto degli obblighi informativi a carico dell'amministrazione carceraria può determinare una lesione del diritto di informazione e del diritto di autodeterminazione del detenuto, che1 soltanto se in possesso di una corretta informazione, potrà determinarsi sia sulla condotta da adottare, sia sulla opportunità di sottoporsi a monitoraggi per evitare aggravamenti delle eventuali patologie in atto, sia sulla possibilità di sottoporsi a cura.
La mancanza di informazione incide anche sulle determinazioni del detenuto e dell'amministrazione in merito allo stesso tipo di regime carcerario cui sottoporre il soggetto, perché conculca la facoltà di chiedere con maggiore probabilità di successo un regime che non lo esponga al contatto con altre persone e alla possibile diffusione del contagio.
L'eventuale deficit di informazione correlato alla contrazione di una patologia suscettibile di evolversi in AIDS può dunque essere fonte di responsabilità da danno non patrimoniale sia sotto il profilo della lesione del diritto alla salute del detenuto o ex detenuto, sia sotto il profilo della lesione del diritto all'autodeterminazione, la cui autonoma identità e risarcibilità in caso di lesione è stata già affermata da questa Corte in riferimento a diverse tipologie di fattispecie (quali l'omessa conoscenza da parte della donna in gravidanza di una grave patologia a carico proprio o del nascituro, in relazione alla quale Cass. n. 9706 del 2020 ha affermato che "Il pregiudizio non patrimoniale per lesione del diritto all'autodeterminazione (nella specie, derivante dalla ritardata acquisizione della conoscenza della malformazione della nascitura) consiste nel radicale cambiamento di vita e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto e rinviene il suo fattore causale primo nel precedente fatto-inadempimento che ha determinato la mancata anticipata consapevolezza dell'infermità: [n applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all'omessa informazione della gestante, perché le allegate alterazioni della vita dei genitori trovavano causa nella nascita della bambina, affetta dalla c.d. sindrome di "Down", e non nella ritardata conoscenza di tale circostanza").
Come già precisato da questa Corte (Cass. n. 34813 del 2021; Cass. n. 9706 del 2020; Cass. n. 28985 del 2019), il diritto all'autodeterminazione del malato non si identifica con la lesione del bene salute o con la perdita di chance, ma integra la lesione di un bene autonomo di per sé risarcibile in quanto tutelato dalla Costituzione. Nel caso del test per l'HIV l'informazione in ordine agli esiti è dovuta quindi non solo con riferimento al diritto alla salute, tutelato dall'art. 32 della Cost., ma anche al fine di consentire il pieno esercizio del diritto all'autodeterminazione del malato.
Entrambi questi diritti, in mancanza di una corretta e tempestiva informazione, possono essere lesi, cagionando un pregiudizio non patrimoniale, in quanto sotto il profilo della lesione della salute, l'evoluzione dell'HIV in AIDS potrebbe essere controllata o rallentata attraverso una adeguata terapia mentre sotto il profilo del deficit informativo una corretta e tempestiva informazione consente al malato di affrontare non solo l'eventuale scelta di una strategia terapeutica, ma anche la consapevole predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo (ex multis Cass. civ. III sez. civile n. 34813 17.11.2021 e n. 28985 11.11.2019).
Pertanto, occorre affermare che esiste il diritto del detenuto ad essere tempestivamente informato delle proprie condizioni di salute, come risultano periodicamente accertate dall'amministrazione penitenziaria nell'ambito dei controlli sanitari eseguiti sulla sua persona, anche al fine di poter liberamente scegliere i propri percorsi esistenziali.
Per tutto il periodo della detenzione in carcere, o della sottoposizione a misure alternative ad esso, finchè il detenuto si trovi presso strutture pubbliche o abbia comunque una reperibilità obbligata, sussiste l'obbligo dell'amministrazione di informarlo degli esiti degli accertamenti sanitari compiuti in carcere.
Quando il detenuto sia stato rimesso in totale libertà, sussiste l'obbligo dell'amministrazione di effettuare la comunicazione di queste informazioni all'ultimo domicilio indicato dall'ex detenuto.
Quindi, in relazione al primo motivo, la corte di merito ha errato nell'applicare i principi di diritto indicati, laddove non ha tenuto nel debito conto la violazione di legge derivante dall'omessa comunicazione degli esiti degli esami e ha ritenuto che l'omessa informazione sull'esito degli esami eseguiti nel 1986 fosse giustificata dalla considerazione, sostenuta dall'amministrazione carceraria, che essa non potè comunicare l'esito degli esami perché il soggetto non era più ristretto presso la casa circondariale.
E' illogica, oltre che in violazione di legge, la motivazione sul punto, atteso che, in principalità, il C. quando pervennero i risultati degli esami ai quali si era sottoposto, non venne scarcerato per fine pena ma posto agli arresti domiciliari, periodo durante il quale il soggetto si trova ancora in condizione di limitazione dell'autonomia personale e posto sotto il diretto controllo dell'amministrazione penitenziaria, la cui possibilità pratica, oltre all'obbligo, di trasmettere le informazioni sulle condizioni di salute del detenuto, permangono.
11. - Ugualmente fondato è il secondo motivo di ricorso, che contesta sotto il profilo della violazione di legge la sentenza impugnata laddove ha negato l'esistenza del nesso di causalità tra le condotte omissive delle strutture penitenziarie nel comunicare la positività all'HIV e l'aggravamento della salute del detenuto con la contrazione dell'AIDS. Secondo consolidata affermazione di questa Corte di legittimità, l'accertamento del nesso di causalità materiale nel processo civile si fonda, sul piano strutturale, sul criterio della cd. causalità adeguata mentre, sul piano probatorio, si fonda sul criterio del "più probabile che non" - per cui, sulla base di un giudizio probabilistico relativo e non assoluto, deve essere 'più probabile che non' che la condotta abbia cagionato l'evento dannoso. Secondo le Sezioni Unite n. 578 del 2008 "ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l'identità di tali standards delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso, ancor prima della pronuncia delle sezioni unite, Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238; Cass. 5.9.2006, n. 19047; Cass. 4.3.2004, n. 4400; Cass. 21.1.2000 n. 632).
Anche la Corte di Giustizia CE è orientata nel senso che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se "appaia sufficientemente probabile" che l'intesa tra compagnie assicurative possa avere un'influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che "occorre postulare le varie concatenazioni causa - effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili"). Detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).
La Corte d'appello ha escluso il nesso di causalità, nel caso di specie, condividendo appieno le valutazioni di primo grado, che a loro volta recepivano gli esiti della c.t.u., senza dare adeguato rilievo, nell'ambito del ragionamento probabilistico, alla violazione dell'obbligo di informazione gravante sull'amministrazione e relativa alla mancata comunicazione dell'esito positivo del test per infezione HIV del 13.3.1986, e senza considerare, se, qualora avesse ricevuto per tempo la corretta e completa informazione dovutagli, fosse da ritenere o meno più probabile che non che anche il comportamento successivo, di trascuratezza sulle proprie condizioni di salute e di rifiuto di ulteriori accertamenti, tenuto dal C., sarebbe stato diverso.
Nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del nesso causale tra l'omissione informativa e la successiva contrazione dell'AIDS, tenuto conto che la maggior parte del periodo compreso tra l'inizio del 1986 e la fine del 2000 - complessivamente quasi 15 anni - era trascorsa al di fuori delle strutture carcerarie e che il C. si era dapprima rifiutato, nel 1989, di sottoporsi ad altro test e successivamente non si era sottoposto autonomamente ad un controllo finalizzato a verificare la pregressa esposizione all'infezione da HIV. Per valutare la rilevanza del comportamento del detenuto successivo all'accertamento medico effettuato durante il periodo di detenzione e verificare se esso sia stato di rilevanza tale da recidere il nesso causale, ovvero se abbia avuto una rilevanza concausale, sulla base di un ragionamento probabilistico ancorato agli elementi di fatto e correttamente strutturato, va preliminarmente considerato il peso della violazione dell'obbligo informativo gravante sulla struttura sul diritto di autodeterminazione e sul diritto alla salute del detenuto.
Il comportamento successivo del C. avrebbe potuto essere preso in considerazione - e dovrà essere tenuto in conto - nella sua rilevanza sotto il profilo del concorso del fatto colposo del danneggiato, o perfino della interruzione del nesso causale, all'interno però di una catena causale correttamente costruita, in cui la prima violazione, l'omessa comunicazione dei risultati del 1986, esiste ed era a carico della amministrazione: alla luce di tale deficit informativo va riletto tutto il comportamento successivo, per valutare se esso avrebbe potuto, sotto il profilo probabilistico, essere probabilmente diverso, e più attento, se il C. avesse avuto a disposizione da subito, quando era ancora in grado di contrastare l'evoluzione degli eventi, l'informazione sul deteriorarsi delle sue condizioni di salute.
Nel valutarne l'eventuale rilevanza quanto alla interruzione del nesso causale, la corte d'appello dovrà peraltro attenersi al principio già consolidatamente espresso da questa Corte, secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto quando la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione ( orientamento consolidato, sul quale, da ultimo, Cass. n. 21563 del 2022).
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Bari, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e giudicherà in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.