Nel caso concreto la lavoratrice aveva criticato aspramente la società e incitato i colleghi di lavoro a non sottostare a comportamenti inquisitori della stessa.
La vicenda trae origine dal licenziamento intimato alla lavoratrice per avere esternato durante un corso di formazione e in presenza dei colleghi di lavoro la sua contrarietà allo svolgimento dell'attività formativa e alle sue finalità in modo tale da arrecare, oltretutto, grave disturbo all'espletamento dello stesso. Ella, inoltre, aveva incitato i colleghi presenti al corso a non subire...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 10.6.2008, P. G. conveniva innanzi al Tribunale di Nola la s.p.a. F. G. A., impugnando il licenziamento disciplinare per giusta causa comminatole con nota del 7.2.2008, e chiedendo la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.
2. Si costituiva la società convenuta, deducendo l'infondatezza della domanda, di cui chiedeva il rigetto, vinte le spese di lite.
3. Escussi i testi di lista, con sentenza del 6.12.2011, il giudice di prime cure dichiarava illegittimo il licenziamento per tardività in violazione dell'art. 23 CCNL Aziende Metalmeccaniche.
4. Contro tale decisione proponeva appello la società datrice di lavoro, censurando la sentenza laddove aveva ritenuto tardivo il licenziamento, mentre la P. si costituiva tardivamente, contestando la fondatezza dell'appello, di cui chiedeva il rigetto. Peraltro, con atto del 6.12.2012 proponeva appello anche la lavoratrice, deducendo l'erroneità della sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la sola illegittimità del licenziamento, nulla statuendo sul risarcimento dei danni e sulla reintegra, nonché dolendosi della compensazione delle spese di lite. Si costituiva in tale giudizio la società suddetta, con memoria del 14.6.2013, ribadendo sul punto la correttezza dell'impugnata decisione.
5. Con sentenza n. 3026/2014, la Corte d'appello di Napoli rigettava l'appello della F. G. A. s.p.a. e, accogliendo quello della P., ferma restando l'illegittimità del licenziamento intimatole, ordinava la reintegra di quest'ultima nel proprio posto di lavoro e condannava la società appellata al risarcimento del danno, quantificato nel pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del recesso e fino all'effettiva reintegra, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sulla base degli indici ISTAT, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, con compensazione delle spese di lite.
6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, cui la ricorrente originaria resisteva con controricorso.
7. Con sentenza n. 22295/2017, questa Corte cassava la sentenza allora impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, incaricata di decidere attenendosi al formulato principio di diritto.
8. A seguito di detta sentenza di legittimità, la P., con ricorso depositato il 31.10.2017, provvedeva alla riassunzione della causa, a norma dell'art. 392 c.p.c., affermando che, alla stregua dei principi sanciti da questa Corte, doveva essere respinto l'appello proposto da F. G. s.p.a. avverso la sentenza del giudice di primo grado, e che doveva essere accolto l'appello da lei proposto contro la medesima sentenza, e chiedendo, per l'effetto, di confermare la statuizione della sentenza della Corte d'appello di Napoli n. 3026/2014, con modifica della motivazione; di conseguenza, confermando l'annullamento del licenziamento intimatole, con ordine di reintegra nel posto precedentemente occupato e con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra, oltre accessori, vinte le spese di lite di tutti i gradi.
9. Si costituiva la s.p.a. F. l. (già denominata F. G. A. s.p.a.), concludendo per il rigetto delle domande avverse, con dichiarazione di legittimità del licenziamento irrogato alla Pagano, con vittoria di spese.
10. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Napoli, così provvedeva in sede di rinvio: "... in parziale riforma della pronuncia impugnata conferma la inefficacia del licenziamento e condanna la F. I. s.p.a. (già F. G. A. s.p.a.) alla immediata reintegra della P. G. nel posto di lavoro. Condanna la appellata al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla attualità oltre accessori dalla maturazione al saldo. Condanna la società alla integrale regolarizzazione e versamento della contribuzione previdenziale a decorrere dalla data del recesso. Compensa per metà le spese di Cassazione e quelle dell'attuale giudizio di rinvio e condanna la società appellata al pagamento dell'ulteriore metà liquidata per la cassazione in euro 1.500,00 con attribuzione".
11. Avverso tale decisione F. I. s.p.a ha proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Ha resistito l'intimata P. con controricorso.
12. Solo la ricorrente ha prodotto memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia "Nullità della sentenza per motivazione apparente e/o carente in violazione degli artt. 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 111, c. 6, Cost. (art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.". A detta della ricorrente, "Dalla lettura del provvedimento impugnato risulterà evidente che la Corte territoriale ha omesso di illustrare le ragioni del proprio convincimento, soprattutto ha omesso di calare i principi giuridici enunciati in tema di diritto di critica e di giusta causa di licenziamento sul caso concreto che non viene esaminato nella sua integrità e completezza come invece richiede l'ordinamento". Dopo diffusa illustrazione di quanto previsto nell'ordinamento, e secondo i precedenti di legittimità, in punto di motivazione della sentenza, assume che la sentenza gravata, "in un'ampia premessa, inquadra il fatto storico nel contesto della riorganizzazione messa in atto da F. (già F.) nel 2007, poi trascrive la lettera di contestazione e alcuni passi delle deposizioni rese dai testi nell'istruttoria tenuta in primo grado, infine, dapprima, si dilunga in una prolusione sul diritto di critica, ampiamente tratta dalla giurisprudenza civile in materia di diritto di cronaca giornalistica, poi accenna alla rilevanza degli artt. 2104 e 2105 c.c. nel caso in esame per arrivare a un accenno all'art. 2119 c.c. in materia di giusta causa di licenziamento. Ciò fatto, esclude che il comportamento tenuto dalla Sig.ra P. e contestato dalla Società possa configurare giusta causa di licenziamento, ma, tutto ciò, senza minimamente motivare in ordine alla non riconducibilità dei singoli comportamenti contestati a un non corretto esercizio del diritto di critica, né in merito alla non configurabilità dei comportamenti come fatti tanto gravi da ledere la fiducia del datore nel futuro rispetto degli obblighi contrattuali del lavoratore, ma semplicemente adducendo "circostanze attenuanti", come la mancanza di precedenti disciplinari (circostanza tra l'altro non vera in quanto la Società ha dimostrato che la P. aveva all'attivo ben quattro provvedimenti disciplinari), il fatto di non aver provocato danno all'azienda o il periodo di servizio prestato dalla dipendente".
2. Con un secondo motivo, si denuncia "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato esame e valutazione di un preciso comportamento contestato alla Sig.ra P. e costituente base del licenziamento (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c."; comportamento "rappresentato dalla esternazione, da parte della Sig.ra P., durante il corso di formazione e alla presenza dei colleghi di lavoro, della sua contrarietà all'espletamento dell'attività di formazione e alle finalità della stessa in maniera tale da arrecare, oltretutto, grave disturbo all'espletamento del corso stesso, nonché dall'invito rivolto ai colleghi di lavoro presenti al corso a non subire gli atteggiamenti, a suo dire, inquisitori della Società".
3. Con un terzo motivo, viene di nuovo denunciato "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato esame e valutazione" - questa volta - "di prove testimoniali decisive (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)", vale a dire, le testimonianze di D.P. M. e di C. G..
4. Con un quarto motivo, viene dedotta "violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della Costituzione in relazione agli artt. 2104, 2105 e 1175 e 1375 c.c. per non avere la Corte ritenuto rilevante, ai fini della configurazione di limiti al diritto di critica del lavoratore, il rispetto degli artt. 2104, 2105, 1175 e 1375 c.c. (art. 360, c. 1, n. 3).
5. Con un quinto motivo (erroneamente di nuovo indicato come quarto), la ricorrente denuncia la "violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della Costituzione in relazione agli artt. 2104, 2105 e 1175 e 1375 c.c., per non avere la Corte ritenuto rilevante, ai fini della configurazione di limiti al diritto di critica del lavoratore, il rispetto degli artt. 2104, 2105, 1175 e 1375 c.c. (art. 360, c. 1, n. 3, 1 c.p.c..)"
6. Con un sesto ed ultimo motivo (per il già accennato errore in ricorso indicato come quinto), la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105 e 1175 e 1375 c.c., per avere la Corte negato la ricorrenza della giusta causa di licenziamento (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.)".
7. Il primo motivo di ricorso, che la stessa impugnante rappresenta come quello principale, avendo formulato i seguenti "in via subordinata", è privo di qualsiasi fondamento, muovendo in sintesi da una non completa ed attenta lettura della motivazione senz'altro resa dalla Corte distrettuale in parte qua.
8. Per comodità espositiva, giova premettere che il giudice del rinvio, come riconosciuto dall'attuale ricorrente, non aveva mancato di riferire il contenuto letterale della nota recante le contestazioni disciplinari rivolte alla P. ed all'origine del licenziamento disciplinare per giusta causa poi a lei comminato. In particolare, la Corte di merito aveva scritto: <Con lettera dell'8.01.2008 le veniva contestato che: "... in data 7 gennaio alle ore 21.40 circa nei pressi del box UTE B 13 Ella, con modi arroganti e minacciosi, si avvicinava al signor C. R., addetto allo staff di vigilanza e strattonandogli il braccio sinistro, tentava con violenza di sottrargli un bloc notes che lo stesso deteneva, gridando di volere vedere cosa fosse scritto all'interno. Contestualmente ella incitava gli astanti a contrastare la presenza del C.. Inoltre arrecava disturbo durante lo svolgimento della attività di formazione manifestando la sua contrarietà all'espletamento di tale attività ed alle finalità della stessa"> (così alla settima facciata dell'impugnata sentenza).
9. Ora, sempre allo scopo di rendere evidente come sia da escludere senz'altro il vizio di "motivazione apparente", fatto valere dalla ricorrente col primo motivo, occorre considerare che in tale lettera erano contestate più e distinte condotte, sebbene asseritamente tenute in un continuativo e ristretto contesto di tempo, di luogo e di persone. In particolare: 1) anzitutto vi era un addebitato un preciso comportamento fisico e verbale, tenuto nei confronti di C. R., comportamento che nei termini descritti nella nota prima facie ben poco o nulla aveva a che fare con il diritto di critica; 2) veniva, inoltre, contestato alla P. di aver incitato gli astanti, non meglio specificati nel numero, nelle qualifiche e, men che meno, nelle identità, "a contrastare la presenza del C."; ma anche questa ulteriore condotta, sebbene data per contestuale all'altra, non evidenzia punti di contatto con una critica rivolta a chicchessia, tanto più che non vi era specificato in che cosa si sarebbe tradotto l'incitamento attribuito alla P.; 3) ancora, veniva ascritto a quest'ultima di aver arrecato "disturbo durante lo svolgimento della attività di formazione", ed anche questo comportamento in sé esula dal terreno della "critica"; 4) infine, secondo la contestazione, ella aveva manifestato, nello stesso contesto, "la sua contrarietà all'espletamento di tale attività", ossia, quella di formazione, "ed alle finalità della stessa"; ed è questo l'unico addebito in ordine al quale può venire in considerazione il diritto di critica del lavoratore.
10. Lungi da questa Corte voler fornire una rilettura valutativa dei comportamenti addebitati alla lavoratrice, nel senso che quanto testé esposto e si andrà ad esporre vale semplicemente a delucidare e mettere in chiaro ciò che era stato già considerato e apprezzato dal giudice di secondo grado. Quest'ultimo, infatti, aveva ulteriormente riportato la ben differente versione dell'episodio riferita dalla lavoratrice (cfr. facciate 7 e 8 della sua decisione). Indi, aveva ritenuto che "i testi escussi hanno concordemente confermato l'assunto della P.", ed in tal senso ha fatto precipuo riferimento alle deposizioni dei testi A. L., P. T., D.P. M. e C. G. (cfr. facciate 8 e 9 dell'impugnata sentenza).
Ebbene, da una piana lettura di queste parti della motivazione si desume chiaramente che la Corte di merito aveva anzitutto escluso che la ricorrente avesse tenuto il comportamento aggressivo nei confronti del C., così come contestatole. Più in dettaglio, la Corte dava conto sul punto che, secondo la P., ella esprimeva il suo parere sul corso di formazione, "il sorvegliante C. annotava lungamente sul suo bloc notes quanto riferito dalla ricorrente e si avvicinava al responsabile di UTE. A quel punto la P. si avvicinava al C. senza averlo strattonato, ma solo toccandogli un braccio, chiedendogli cosa avesse scritto. Il C. replicava che le avrebbe fatto leggere quanto aveva scritto, ma allorché la P. allungava la mano per prendere il bloc notes, lo tratteneva con veemenza. La P. desisteva immediatamente " Quindi, aveva considerato le deposizioni dei testi escussi, dei quali l'A., il D. P. e il C. non avevano assistito all'episodio (l'ultimo di questi tre, cioè il C., aveva "confermato quanto accaduto perché riferitogli dal C."); mentre solo il teste P. ricordava <che la ricorrente disse al vigilante " ... tu stai scrivendo cose che mi riguardano e non sei autorizzato a scrivere su di me". Lei aveva un tono di voce arrabbiato ma non lo ha strattonato">.
Sempre dalle deposizioni assunte, poi, per come riferite dalla Corte, non era risultato che la P. avesse incitato "gli astanti a contrastare la presenza del C.", avendo la P. piuttosto sostenuto che ella "rivolgendosi agli altri operai diceva loro che non avrebbero dovuto subire supini gli atteggiamenti in qualche modo inquisitori della società nei corsi", pertanto non riferendosi al C. in particolare, ed avendo la Corte specificato che sempre il P. "non aveva visto la ricorrente incitare i colleghi contro il vigilante". Parimenti, dalle testimonianze considerate dalla Corte distrettuale non era risultata alcuna condotta di disturbo delle attività del corso, ascrivibile alla P..
11. Come si anticipava, restava da considerare solo l'ultima parte della contestazione, quella per la quale la lavoratrice aveva manifestato nel descritto contesto "la sua contrarietà all'espletamento" dell'attività di formazione allora in corso "ed alle finalità della stessa". Secondo la Corte d'appello, la P. aveva ammesso soltanto di essersi rivolta agli altri operai, evidentemente presenti, dicendo "loro che non avrebbero dovuto subire supini gli atteggiamenti in qualche modo inquisitori della società nei corsi" (cfr. facciata 8 della sua decisione). In proposito, unicamente il teste D. P., per quanto esposto dalla Corte d'appello, aveva dichiarato "che la P. diceva cose contro la politica aziendale e diceva dinanzi a tutti la sua opinione contraria durante la lezione".
12. Alla luce di tanto, condivisibilmente il giudice a quo ha concentrato la propria attenzione su quel poco che in punto di fatto restava da valutare anche rispetto ai limiti del diritto di critica valevoli pure per un lavoratore subordinato (cfr. in extenso le facciate 9-11 del suo provvedimento). Invero, la Corte territoriale ha espresso il suo definitivo convincimento sul caso dopo aver accertato "i fatti nella loro storicità", nei termini dianzi riassunti, ed è giunta argomentatamente alla conclusione "che l'episodio contestato e cioè quello che ha determinato il recesso non appare grave sia nella sua portata soggettiva che sotto il profilo oggettivo" (cfr. in particolare facciata 10). E in tale ambito valutativo la stessa Corte, in punto di proporzionalità, ha incensurabilmente concluso, "tenuto conto del periodo di servizio prestato dal dipendente, dell'assenza di precedenti disciplinari, della posizione del dipendente stesso all'interno dell'organizzazione aziendale, delle modalità di commissione delle violazioni e della inesistenza di un danno provocato all'azienda, per un giudizio di eccessività della sanzione espulsiva irrogatale, che intanto può essere considerata legittima solo in quanto la gravità, globalmente apprezzata, degli addebiti sia tale da minare irrimediabilmente l'elemento fiduciario" (così alla facciata 11). Nota del resto, questo Collegio che, una volta sfrondato l'episodio degli aspetti suddetti che la Corte d'appello ha reputato non provati, a quest'ultima - pur avendo tenuto in debito conto del particolare contesto all'epoca dell'organizzazione imprenditoriale nel sito di P. d'A. -, non restava molto altro da considerare, in quanto la "critica", attribuita dalla datrice di lavoro alla dipendente e dalla stessa in parte ammessa come sopra, neppure nella contestazione datoriale era rappresentata come sganciata da fatti reali, oppure priva di continenza o pertinenza. Esclusivamente per completezza di disamina, mette conto aggiungere che le sanzioni disciplinari di cui sarebbe stata destinataria la P., secondo l'attuale ricorrente (cfr. pag. 13 del ricorso, e cui accenna ancora alle pagg. 18-19 nello svolgimento del primo motivo) non risulta se, quando e come fossero state introdotte quali elementi di prova valutabili nei gradi di merito.
Alla luce di tali piani rilievi dev'essere senz'altro escluso che si sia in presenza della dedotta "motivazione apparente".
13. Passando al secondo motivo, in base a quello che è stato già osservato nell'esaminare il primo motivo, la condotta di disturbo allo svolgimento dell'attività di formazione è stata, non già non esaminata, ma è stata reputata non provata dalla Corte territoriale. Quanto, poi, alla contrarietà- esternata dalla P. all'espletamento dell'attività di formazione ed alle sue finalità, pure s'è già visto che la stessa Corte ha senz'altro valutato tale specifico addebito, nei ridimensionati termini tuttavia ritenuti emersi dall'istruttoria.
14. Parimenti è infondato il terzo motivo, perché, come s'è visto, le due testimonianze di D. P. M. e C. G. che non sarebbero state considerate sono state invece senz'altro valutate dalla Corte di merito, e la ricorrente non può certo far valere in questa sede di legittimità un differente apprezzamento delle relative deposizioni.
15. Possono essere congiuntamente esaminati, in quanto strettamente connessi, il quarto motivo ed il quinto motivo (quest'ultimo in ricorso nuovamente indicato come quarto motivo, come già notato).
Entrambi prospettano la violazione e/o falsa applicazione delle medesime norme di diritto sostanziale, che il giudice di secondo grado, però, ha ben tenuto in considerazione in rapporto al caso concreto (cfr. di nuovo facciate 9-11 della sua sentenza).
Nello sviluppo di tali censure, inoltre, la ricorrente pare dare per già provati, o dimostrati a mezzo delle testimonianze asseritamente decisive e non esaminate (ed invece considerate dai giudici di rinvio), comportamenti della P. (quali il violento strattonamento del C.), che la Corte d'appello ha reputato non provati o non provati nei termini addebitati. Il quinto motivo, poi, dopo lunga prolusione giurisprudenziale, si chiude con l'assunto che il "dovere di collaborazione e di correttezza" "può ritenersi violato anche quando il dipendente assuma una posizione di aperto contrasto (a) il piano organizzativo e di riqualificazione dell'azienda e/o con un corso di formazione per i dipendenti incitando anche gli altri lavoratori a non collaborare". S'è già visto, però, che la Corte distrettuale non ha considerato provata una condotta di incitamento, che peraltro, proprio a termini di contestazione datoriale, sarebbe stata volta "a contrastare la presenza del C." (e non a non collaborare da parte di altri dipendenti), ma ha tenuto conto soltanto di quello che la stessa P. aveva riconosciuto, e cioè - occorre ripetersi -, di essersi rivolta agli altri operai per dire loro "che non avrebbero dovuto subire supini gli atteggiamenti in qualche modo inquisitori della società nei corsi".
16. Rilievi analoghi valgono per il sesto ed ultimo motivo. Com'è agevole riscontrare, nello svolgimento di tale censura la ricorrente di nuovo rappresenta i fatti contestati alla lavoratrice in termini difformi da quelli accertati, molto più riduttivamente, dai giudici di merito.
In proposito, comunque, occorre richiamare il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo il quale la "giusta causa" di licenziamento è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (così, ad es., di recente, Cass., sez. lav., 13.1.2020, n. 398).
Orbene, il mezzo in esame, incentrandosi sull'aver la Corte di merito negato la ricorrenza appunto della giusta causa di licenziamento, da un lato, critica l'apprezzamento delle circostanze del caso concreto compiuto in secondo grado e, dall'altro, come anticipato, non tiene conto di quanto effettivamente la Corte di merito ha reputato provato e, tuttavia, ritenuto insufficiente a fondare una giusta causa di licenziamento.
17. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev'essere condannata al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, e da distrarre in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi anticipatario, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge, e che distrae in favore del difensore della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.