Con l'avvento della L. n. 220/2012 è stato stabilito che l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e un terzo dei partecipanti al condominio è condizione per la regolare costituzione dell'assemblea, ma non basta per raggiungere il quorum deliberativo.
La Corte d'Appello di L'Aquila rigettava l'appello proposto dalla condomina con riferimento alla sentenza del Tribunale di Pescara che aveva dichiarato cessata la materia del contendere con riguardo all'impugnazione della delibera assembleare per il mancato raggiungimento del voto favorevole della maggioranza numerica dei condomini presenti all'assemblea, considerando che essa era stata...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
A.M.M. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1258/2021, pubblicata in data 11 agosto 2021, della Corte d'appello di L'Aquila.
Resiste con controricorso il Condominio di Viale d. R. n. XX di Pescara.
Il ricorso contraddistinto con numero R.G. 28509-2021 è stato notificato il 2 novembre 2021 e depositato telematicamente il 23 novembre 2021. Lo stesso ricorso risulta tuttavia ulteriormente depositato in formato analogico ed è contraddistinto da numero R.G. 28624-2021. Deve quindi disporsi la riunione dei due ricorsi.
La Corte d'appello di L'Aquila ha rigettato l'appello proposto da A.M.M. nei confronti del Condominio di Viale d. R. n. XX di Pescara, con riferimento alla sentenza del Tribunale di Pescara n. 1314/2017.
Il Tribunale di Pescara aveva dichiarato cessata la materia del contendere in ordine all'impugnazione proposta da A.M.M. relativamente alla delibera assembleare del 14 ottobre 2016, punto n. 5 dell'ordine del giorno, avendo il Condominio convenuto, con successiva deliberazione del 6 aprile 2017, "ratificato la decisione di cui al punto n. 5 dell'ordine del giorno della precedente assemblea del 14 ottobre 2016". La sentenza di primo grado aveva poi condannato l'attrice al pagamento delle spese processuali secondo il criterio della c.d. soccombenza virtuale.
La Corte di L'Aquila, decidendo poi sul primo motivo dell'appello spiegato da A.M.M., circa la violazione dell'art. 1136 c.c., per il mancato raggiungimento del voto favorevole della maggioranza numerica dei condomini presenti in assemblea, essendo stata la delibera approvata soltanto da due condomini anziché dai tre necessari, ha così affermato:
"1.1. Il motivo è palesemente infondato poiché la delibera di cui al punto n. 5 dell'ordine del giorno, oggetto dell'impugnazione, è stata approvata con il voto di 766,424 millesimi, dovendosi considerare, secondo il condivisibile principio espresso dalla Corte di Cassazione, che nel condominio di edifici, la regola posta dall'art. 1136, 3° comma, c.c. - secondo la quale la deliberazione dell'assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio - si deve intendere nel senso che coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore. Infatti, la disciplina dell'art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali (...)".
Il primo motivo del ricorso di A.M.M. deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 1136 comma 3 c.c., circa il quorum deliberativo numerico necessario per una valida deliberazione.
Il secondo motivo allega la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117, 1102 e 1051 c.c.
Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c.
Il quarto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1102, 1117 ter e 1138 c.c.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato nel suo primo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il Presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
Il controricorrente ha presentato memoria.
Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 - 2, 08/06/2020, n. 10847; Cass. Sez. 6 - 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese ad una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell'impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell'interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l'azione, ma anche al momento della decisione.
Perché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell'art. 2377, comma 8, c.c., è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti della prima deliberazione, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740; Cass. Sez. 2, 19/04/1988, n. 3069). Se, invece, l'assemblea decida di revocare la precedente deliberazione e di adottarne altra avente una portata organizzativa del tutto nuova, gli effetti di quest'ultima decorrono soltanto da quando sia stata assunta.
Ove, dunque, il giudice rilevi la cessazione della materia del contendere in tema di impugnazione di delibera condominiale, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. (il quale espressamente dispone, peraltro, nel testo successivo al d.lgs. n. 6 del 2003, che"... il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società..."), la pronuncia finale sulle spese viene regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, sicché il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l'originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull'onere delle spese.
Tale valutazione di fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, posta a fondamento della condanna di A.M. M. al rimborso delle spese processuali, è stata erroneamente compiuta dalla Corte d'appello di L'Aquila, delibando l'inconsistenza dei vizi denunciati dall'attrice nella impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera del 14 ottobre 2016 richiamando un principio di diritto ratione temporis non corretto. La sentenza impugnata ha, invero, giudicato della validità della deliberazione assembleare del 14 ottobre 2016 sulla base del testo dell'art. 1136, comma 3, c.c. vigente fino al 17 giugno 2013, allorché è entrata in vigore la modifica introdotta dalla legge n. 220 del 2012.
È vero infatti che, ai sensi del vigente comma 3 dell'art. 1136 c.c., la delibera dell'assemblea di seconda convocazione, ove non si versi nelle ipotesi di cui ai commi 4 e 5, è valida se riporta un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio, dovendo, quindi, il numero di coloro che hanno votato a favore, sotto il profilo dell'elemento personale, superare pur sempre il numero dei condomini dissenzienti (cfr. Cass. Sez. VI-2, 30/7/2020, n. 16338; Cass. Sez. VI-2, 30/7/2020, n. 16337).
Non può evidentemente condividersi quanto sostenuto dal controricorrente nella memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., ovvero che si deve tener conto "della peculiare costituzione del Condominio, costituto da un numero pari di condomini (quattro)", sicché "la formulazione del comma 3 dell'art. 1136 c.c. impedisce stabilmente la deliberazione dell'assemblea poiché richiede la maggioranza degli intervenuti che però è chiaramente impossibile da formare in termini matematici"; sicché quando "l'unanimità dei proprietari è in numero pari perché l'assemblea viene definitivamente impossibilitata a deliberare". Si solleva altrimenti dal controricorrente la questione di legittimità costituzionale del comma 3 dell'art. 1136 c.c., per contrasto con contrasto l'art. 42, comma 2, Cost., oppure si propone una interpretazione conservativa. La memoria sostiene che "la norma rende ingiustamente diversi i proprietari di un condominio costituito da un numero pari di condomini rispetto ai più fortunati che hanno un condominio formato da un numero dispari di partecipanti: per primi c'è uno stallo permanente dell'assemblea mentre per i secondi è sempre possibile deliberare".
Le considerazioni svolte dal controricorrente sono palesemente sprovviste di fondamento. Allorché, come nel caso in esame, i partecipanti al condominio siano quattro, operano senza alcuna criticità le norme in tema di organizzazione (ad es., artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 c.c.), e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell'assemblea, restando agevolmente consentito il ricorso al principio di maggioranza assoluta sotto il profilo dell'elemento personale.
In particolare, per il riscontro della "maggioranza degli intervenuti", agli effetti dell'art. 1136 c.c., occorre che la deliberazione sia approvata almeno dalla metà più uno dei membri del collegio. Se gli intervenuti sono quattro, la delibera deve essere quindi approvata da tre degli aventi diritto, e così sempre se gli intervenuti sono in numero pari. Se il numero degli intervenuti è, invece, dispari, la maggioranza è data dal numero che, raddoppiato, superi di almeno una unità il totale dei presenti in assemblea.
E noto come l'art. 1136, comma 3, c.c. sia stato novellato dalla legge n. 220 del 2012, in quanto la previgente formulazione imponeva per la validità della delibera approvata dall'assemblea di seconda convocazione un numero di voti che rappresentasse sempre il terzo dei partecipanti e almeno un terzo del valore dell'edificio. La Riforma ha stabilito che l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e un terzo dei partecipanti al condominio è condizione per la regolare costituzione dell'assemblea, mentre, proprio per facilitare la formazione della volontà collegiale, il quorum deliberativo deve far riferimento alla maggioranza degli "intervenuti".
La scelta del legislatore di rimettere a tale maggioranza l'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale non è affatto irragionevole, né è lesiva della proprietà privata, in quanto la soluzione sempre seguita dall'art. 1136 c.c. (come già dall'art. 24 del R.D. 15 gennaio 1934, così differenziandosi dal Codice civile del 1865) è stata volta a contemperare le ragioni dominicali con la tutela delle volontà individuali dei condomini, che sarebbero altrimenti soverchiate nelle situazioni in cui vi è una evidente sproporzione dei valori millesimali spettanti ai singoli partecipanti.
L'accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe l'esame degli ulteriori motivi.
Il ricorso va perciò accolto nel primo motivo, con assorbimento dei restanti motivi, e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai richiamati principio, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione.