La Cassazione dice sì: non è infatti prevista alcuna esplicita inammissibilità al riguardo, ricadendo comunque sulla parte il rischio della mancata trasmissione tempestiva dell'istanza al giudice.
La Corte d'Appello di Ancona rigettava il ricorso proposto dall'interessato contro il decreto con cui il Tribunale aveva aggravato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l'obbligo di soggiorno per altri 2 anni.
In particolare, l'interessato deduceva che il Questore avesse trasmesso l'istanza di aggravamento ad un indirizzo PEC...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Ancona, con decreto depositato in data 8 marzo 2022, rigettava il ricorso avverso il decreto del Tribunale di Ancona del 11 ottobre 2021, depositato il 24 novembre 2021, che aveva aggravato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nei confronti di M.M.M. per ulteriori due anni.
In particolare il proposto deduceva, già dinanzi al Tribunale, che l'istanza di aggravamento da parte della Questura di Ancona fosse stata trasmessa all'indirizzo pec dibattimento.tribunale.ancona@giustiziacert.it, indirizzo non inserito nell'elenco dei quelli abilitati a ricevere il deposito degli atti nel provvedimento del Direttore della DGSIA, ove invece risultava altro indirizzo, depositoattipenali.tribunale.ancona@giustiziacert.it.
A fronte del rigetto della eccezione da parte del Tribunale di Ancona, che riteneva non sussistere alcuna inammissibilità, M.M.M. riproponeva analoghe censure, oltre a quelle di merito, avverso il decreto del Tribunale che aggravava la misura di prevenzione deducendo, per quanto emerge dal decreto della Corte territoriale, l'inammissibilità della proposizione dell'istanza di aggravamento da parte della Questura perché non poteva essere inviata a mezzo pec, in violazione degli artt. 4 e 11 del d.lgs. 159/2011, che ne prescrivono il deposito nelle relative forme; comunque, deduceva inoltre l'inammissibile invio, in quanto trasmesso dalla Questura e non dalla Procura della Repubblica, al quale sarebbe riservato il deposito ex art. 24, comma 4, oltre che perché effettuato presso un indirizzo diverso da quello previsto dal provvedimento della DGSIA.
A seguito del decreto di rigetto dell'eccezione, anche da parte della Corte di appello M.M.M. ricorre in cassazione.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di M.M.M. consta di unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Con l'unico motivo il ricorrente deduce inosservanza e erronea applicazione dell'art. 24, comma 4, d.l. 137/2020 nonchè artt. 4 e 11 d.lgs. 159/2011 e conseguente vizio di motivazione, censurando il decreto della Corte di appello di Ancona quanto a tre profili.
In primo luogo perché non avrebbe valutato che la modalità di deposito dell'art. 24, comma 4, sarebbe riservata ai soli atti indirizzati alla Procura della Repubblica, oltre che limitata ai soli atti delle indagini preliminari, cosicchè la normativa emergenziale non derogherebbe alla disciplina generale dell'art. 11 d.lgs. 159/2011.
In secondo luogo, per non aver tratto la conseguenza della inammissibilità per l'invio a indirizzo non previsto nell'elenco del Direttore della DGSIA.
Infine l'art. 24 risulterebbe solo consentire il deposito a mezzo pec ai difensori, come risulta dall'art. 24, comma 6-ter e seguenti, che riguardano le sole prerogative difensive.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte in data 3 giugno 2022, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perché manifestamente infondato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L'interpretazione proposta dal ricorrente in ordine alla circostanza che il deposito ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in l. 18 dicembre 2020, n. 176, come si legge nel ricorso, sia soggettivamente limitato ora ai soli atti indirizzati alla Procura della Repubblica, ora ai soli atti provenienti dai difensori, è manifestamente infondata.
2.1. E' oggi possibile, in base alla normativa emergenziale, depositare telematicamente ogni tipologia di atto, comprese anche le impugnazioni, ma non solo. Durante le indagini è la tipologia di atti che determina la modalità di deposito.
Vanno depositati nel Portale del processo penale telematico, che è in gestione alla Procura della Repubblica, gli atti tipici come selezionati dall'art. 24, commi 1 e 2. Il comma 1 fa esplicito riferimento, con selezione diretta del legislatore, alle memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall'art.415-bis c.p.p. Il comma 2 rimette la scelta degli atti da depositare presso il Portale al decreto ministeriale, che in effetti ebbe a intervenire il 13 gennaio 2021 ad opera del Direttore della Direzione generale per i servizi informativi automatizzati (DGSIA).
In particolare il decreto ministeriale indica in modo tassativo gli atti da depositare nel Portale, quali la denuncia di cui all'art. 333 c.p.p., la querela di cui all'art. 336 c.p.p. e la relativa procura speciale, la nomina del difensore e della rinuncia o revoca del mandato ex art. 107 c.p.p, l'istanza di opposizione all'archiviazione ex art. 410 c.p.p.
L'art. 24, comma 4, in vigore dal 25 dicembre 2020, prevede invece il regime di deposito per tutti gli atti diversi da quelli finora indicati.
La lettera della norma è chiara - «per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati e diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2 [...] è consentito il deposito con valore legale mediante invio all'indirizzo di posta elettronica certificata [...]» - e consente il deposito a mezzo pec fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla l. 25 febbraio 2022, n. 15.
Il deposito presso gli uffici giudiziari può avvenire con tale modalità purché non sia obbligatorio il deposito nel Portale predetto, nel qual caso non produce alcune effetto di legge, come prevede l'art. 24, comma 6.
2.2 La ratio della norma, tesa a evitare l'accesso fisico agli uffici giudiziari in periodo emergenziale per ragioni di sanità pubblica, al fine di garantire il più possibile il distanziamento sociale, esclude che vi sia una limitazione soggettiva o oggettiva, della quale non vi è traccia nella lettera della legge, se non nei termini fin qui indicati.
Soggettivamente non si evince dalla norma e anche dal complessivo esame della disciplina emergenziale che l'art. 24, comma 4, sia funzionale al solo deposito a mezzo pec degli atti indirizzati alla sola Procura della Repubblica o dai difensori e non anche dalla Questura e in genere dalla pubblica amministrazione o da terzi non qualificati.
A ben vedere l'espressione «per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» esprime la finalità sussidiaria e di chiusura della disposizione, che consente il deposito di ogni atto destinato agli uffici giudiziari, fatte salve le predette eccezioni a deposito tipizzato, e dunque anche della richiesta di aggravamento di cui all'art. 11 d.lgs. 159/2011. Pertanto, sotto tale profilo, il motivo è del tutto infondato.
2.3 Il ricorrente erra, inoltre, nel ritenere che debba applicarsi la disciplina delle impugnazioni al caso di specie, che è invece stata dettagliata in quanto prima della conversione la Corte di cassazione aveva escluso l'applicazione del deposito telematico per le impugnazioni, rilevando come in tema di impiego della posta elettronica certificata nel procedimento penale, l'art. 24, comma 4, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, potesse trovare applicazione esclusivamente in relazione agli atti di parte per i quali il codice di rito non disponesse specifiche forme e modalità di presentazione, stante la natura non derogatoria del suddetto comma rispetto alle previsioni sia del codice di procedura penale, sia del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla I. 22 febbraio 2010, n. 24, e sia anche del regolamento delegato adottato con decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, concernente le regole tecniche per il processo civile e pena le telematici.
In applicazione di tale principio erano stati ritenuti inammissibili i motivi nuovi trasmessi mediante posta elettronica certificata dal procuratore generale nell'ambito di giudizio ex art. 311 cod. proc. pen. (cfr. Cass. Sez. 1, n. 32566 del 03/11/2020, Caprioli, Rv. 279737 - 01).
Proprio per dissipare i dubbi interpretativi, il legislatore della conversione aggiungeva all'art. 24 i commi da 6-bis a 6-undecies che regolano specificamente il regime delle impugnazioni, la cui operatività il legislatore ha limitato con il comma 6-decies «agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali».
Tra tali atti non può annoverarsi la richiesta di aggravamento ex art. 11 dlgs. 159/11, che non costituisce una impugnazione e per la quale deve pertanto applicarsi il generale dettato dell'art. 24, comma 4.
2.4 Per altro è evidente che l'estensione della disciplina del deposito telematico anche alle impugnazioni - non applicabile al caso in esame perché, ribadisce questa Corte, l'istanza di aggravamento non configura impugnazione, per quanto si leggerà a seguire - esprima ulteriormente la volontà, ribadita dal legislatore della conversione, di rendere concreto e possibile il deposito telematico a mezzo pec per ogni atto diretto all'autorità giudiziaria. Ogni limitazione oggettiva o soggettiva non prevista dalla legge frustrerebbe la ratio sanitaria di evitare l'accesso agli uffici giudiziari.
Pertanto, quanto ai profili fin qui esaminati il motivo è del tutto infondato.
3. Ulteriore e altrettanto infondata è la censura attinente la validità del deposito avvenuto presso indirizzo pec diverso da quello indicato nel provvedimento DGSIA.
L'art. 24, comma 4, richiede che il deposito con pec, per avere valore legale, sia effettuato «mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44» - inseriti, cioè nel cd. REGINDE - e che «il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi pec degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio».
Nel caso di specie è certo e non contestato che la richiesta sia stata depositata a mezzo pec su un indirizzo comunque in uso al Tribunale di Ancona, ma non inserito nell'elenco in allegato al Provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia, che reca gli indirizzi pec degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137.
Per le ragioni in precedenza esposte deve convenirsi almeno in parte con il decreto della Corte territoriale, che esclude che possa trovare applicazione la disciplina delle impugnazioni al caso di specie e quindi anche la causa di inammissibilità della impugnazione per quanto previsto dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e): «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati di cui al comma 4».
Va esclusa l'applicazione della cd. inammissibilità telematica, tassativamente prevista per le sole impugnazioni, in quanto disciplina specifica non applicabile al caso in esame, ove non si censura un precedente provvedimento, bensì il Questore, ai sensi dell'art. 11, comma 1, chiede di integrarlo con l'aggravamento per un elemento di novità (gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o per ripetute violazioni degli obblighi inerenti la misura già applicata).
Per tale richiesta il Questore, proprio quale autorità proponente ex art. 5 e 11 d.lgs. 159/2011, a differenza di quanto ritiene la Corte territoriale, deve ritenersi parte del procedimento e dunque pienamente legittimato al deposito a mezzo pec, fermo restando che la disciplina dell'art. 24, comma 4, serve a dare valore legale anche al deposito di atti da parte di soggetti estranei al processo, cioè non parti in senso tecnico. Cosicché la distinzione operata dalla Corte territoriale non ha rilievo. L'indirizzo pec indicato dalla DGSIA ha una duplice finalità: garantire per un verso la conoscenza pubblica dell'indirizzo autorizzato, grazie all'elenco contenuto nel richiamato allegato, per consentire l'invio corretto da parte di chi deve depositare l'atto; per altro verso assicurare il continuo controllo di lettura da parte della cancelleria dell'ufficio giudiziario ricevente, per evitare tardive conoscenze del deposito.
Non di meno, però, il Questore ha inviato irregolarmente l'atto quanto alla casella di destinazione, che però comunque ha raggiunto il suo scopo, poiché il Tribunale ha ricevuto la richiesta e ha deciso a riguardo.
In tal senso, pur se vi è stata una irregolare trasmissione, non vertendosi in tema di istanze da presentarsi entro un termine e con peculiari modalità, a pena di inammissibilità, deve ritenersi che l'atto abbia raggiunto il destinatario, cioè il Tribunale, che ha valutato l'istanza nelle forme proprie del procedimento ex art. 11 cit., senza alcuna lesione del diritto di difesa.
Certamente, come rilevava un orientamento della Corte di legittimità prima della disciplina emergenziale, allorchè non era previsto il deposito a mezzo pec, in caso di tale deposito il rischio della omessa o tardiva lettura è a carico del depositante. Altrettanto è a dirsi per il caso dell'invio presso una casella postale diversa da quella destinata alla ricezione da parte della DGSIA.
Tale impostazione comparava l'impiego della posta elettronica certificata con l'istanza inviata a mezzo telefax. Nell'uno come nell'altro caso la trasmissione avveniva in violazione dell'art. 121 cod. proc. pen., che richiede la presentazione di memorie e richieste mediante deposito in cancelleria. Da ciò, però, la Corte di cassazione non riteneva derivasse l'inammissibilità o l'irricevibilità, bensì la sola irregolarità del deposito e l'onere di verifica della effettiva ricezione e conoscenza da parte del giudicante (Sez. 1, n. 17879 del 22/03/2019, Faqdaoui, Rv. 276308 - 01; Sez. 6, n. 35217 del 19/04/2017, C., Rv. 270912 - 01; Sez. 3, n. 923 del 10/10/2017, dep. 2018, Salvo; Sez. 2, n. 56392 del 23/11/2017, Ishlyamski; Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963).
Analogamente deve ritenersi che il deposito a mezzo pec, che ritualmente dovrebbe avvenire presso la casella pec indicata dalla DGSIA, possa avvenire irregolarmente presso altra casella di posta, non essendo prevista una esplicita inammissibilità e comunque ricadendo sulla parte il rischio della mancata tempestiva trasmissione anche materiale dell'istanza al giudice, avendo optato per un mezzo di deposito irrituale, cosicchè la parte interessata ha l'onere di verificare che sia effettivamente pervenuta nella cancelleria - che potrebbe riceverla tardivamente per omesso controllo della casella di posta non designata - e sia stata portata all'attenzione del giudice per tempo (in ambito di comunicazioni a mezzo fax, Sez. 2, n. 1904 del 16/11/2017, dep. 2018, Deriù, Rv. 272049; Sez. 2, n. 24515 del 22/05/2015, Mennella, Rv. 264361; Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014, dep. 2015, Rv. 262835; Sez. 2, n. 9030 del 5/11/2013, dep. 2014, Stucchi, Rv.258526.).
Nel caso di specie il Tribunale ha comunque ricevuto la richiesta del Questore, l'ha delibata, cosicché il Questore non ha dovuto sopportare il 'rischio' della mancata valutazione. L'atto ha raggiunto il suo scopo e l'esercizio del diritto di difesa non ha subito alcuna lesione.
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso.
8. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.