Irrilevante che l'Ente locale si fosse costituito parte civile nel processo penale a carico di una dipendente pubblica accusata di peculato. Inoltre, al caso di specie non si applica l'art. 55-ter TUPI in quanto il procedimento disciplinare aveva avuto inizio prima dell'entrata in vigore di tale disposizione.
In sede di reclamo, la Corte d'Appello di Napoli confermava la decisione di primo grado con la quale era stato dichiarato legittimo il licenziamento intimato senza preavviso all'attuale ricorrente dal Comune per fatti di peculato. Nelle sue argomentazioni, la Corte territoriale aveva osservato che il procedimento disciplinare era da ritenersi...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 5012/2019, depositata 1'8 ottobre 2019, la Corte d'appello di Napoli, pronunciando in sede di reclamo, confermava la decisione con la quale il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato legittimo il licenziamento senza preavviso intimato a GS in data X 2016 a seguito di riapertura del procedimento disciplinare già avviato nel 2002 e successivamente sospeso in attesa della conclusione del procedimento penale per fatti di peculato e altri illeciti commessi al fine di conseguire l'attribuzione di voci stipendiali non dovute.
2. La Corte territoriale osservava, a sostegno della propria decisione: - che il procedimento disciplinare era da ritenersi tempestivamente riavviato dal Comune, con la nota X 2016, dovendosi a tal fine avere riguardo alla comunicazione (avvenuta il X
2016) della sentenza della Corte di cassazione n. 16399/2016 che aveva definito il giudizio penale, e non alla notizia che della stessa sentenza aveva avuto in precedenza l'Avvocatura comunale, e comunque che non trovava applicazione nel caso di specie l'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, poiché il procedimento disciplinare era stato aperto e sospeso prima della sua entrata in vigore e la regolamentazione dei termini relativi alla ripresa del procedimento era rimessa, nella disciplina precedente, alla contrattazione collettiva; - che era da escludere che il Comune X avesse riattivato il procedimento disciplinare avviato nel 2004, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio della S e di altri dipendenti, e non quello avviato nel 2002 a seguito di accertamenti ispettivi interni, trattandosi del medesimo e unico procedimento disciplinare iniziato nel 2002 e successivamente integrato in relazione all'evolversi della vicenda penale, come risultava dall'esame della nota in data 8/7/2016; - che era altresì e conseguentemente da escludere che la contestazione del 2004 fosse affetta da tardività, non costituendo un nuovo e diverso addebito disciplinare ma, per quanto rilevato, la prosecuzione di quello originario; - che era infondata l'eccezione di genericità della contestazione posta a base della ripresa nel 2016 del procedimento disciplinare, contestazione che, attraverso il richiamo ai capi di imputazione dai quali il reclamante era stato prosciolto per intervenuta prescrizione e alle sentenze penali intervenute, aveva chiaramente individuato i fatti idonei ad incidere sul permanere del vincolo fiduciario.
Quanto al merito dei fatti contestati, la Corte territoriale riteneva che le motivazioni delle sentenze penali di primo e secondo grado, nonché di cassazione, fornissero, con i richiami in esse contenuti alle risultanze istruttorie, elementi liberamente apprezzabili dal giudice del lavoro, tali da indurre a ritenere dimostrata la sussistenza delle gravi condotte di illecito disciplinare contestate, senza necessità per l'Amministrazione di procedere ad una ulteriore ed autonoma istruttoria.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione GS motivi cui il Comune X ha resistito con controricorso.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con i primi tre motivi la ricorrente denuncia errores in procedendo e in iudicando, omessa pronuncia per violazione dell'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 161, comma 1, cod. proc. civ.
Sostiene che la Corte territoriale abbia del tutto omesso di considerare che, come eccepito dalla ricorrente, il Comune era costituito parte civile nel processo penale ed aveva avuto legale conoscenza della sentenza il giorno della lettura del dispositivo in udienza; che, in ogni caso, la data di conoscenza era da collocarsi il 10 maggio 2016 (data in cui la sentenza - estratta dal sito web della Cassazione - era stata resa pubblica ed inviata dall'Avvocatura comunale all U 1) ovvero il 23 maggio 2016 (allorquando I' U l'aveva ritirata presso la Cassazione) e, dunque, omesso di considerare, rispetto alle suddette date ed alla avvenuta conoscenza della sentenza penale (come, peraltro imposto dal c.c.n.l. del 6 luglio 1995), tardiva la riattivazione del procedimento disciplinare e l'adozione della sanzione espulsiva.
2. I motivi sono infondati.
Innanzitutto, non vi è stata alcuna omessa pronuncia là dove la Corte territoriale ha ritenuto necessaria, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la decorrenza dei termini per la riattivazione del procedimento disciplinare e dell'adozione della sanzione, la comunicazione formale della sentenza da parte della cancelleria dell'organo giudiziario che aveva annullato senza rinvio, per sopravvenuta prescrizione, la decisione di appello.
È in ogni caso dirimente quanto affermato dal giudice di seconde cure circa la non applicabilità al caso in esame dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165/2001.
Nella specie il procedimento disciplinare ha indubbiamente avuto inizio prima dell'entrata in vigore dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165/2001, introdotto con il d.lgs. n. 150 del 2009.
Come da questa Corte già affermato, nel pubblico impiego contrattualizzato, in tema di rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, il d.lgs. n. 165/2001, art. 55-ter, introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009, art. 69, comma 1, non trova applicazione nei procedimenti disciplinari aperti e sospesi prima della sua entrata in vigore, anche ove il procedimento disciplinare venga ripreso o riaperto successivamente alla sua entrata in vigore. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, nel regime precedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, e successivo all'entrata in vigore della I. n. 97 del 2001, la regolamentazione di fonte legale dei termini relativi alla ripresa del procedimento disciplinare, sospeso in pendenza di procedimento penale, è rimessa alla contrattazione collettiva, ai sensi del d.l.gs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, art. 40, comma 1, art. 55, art. 72, comma 1, lett. f), commi 3 e 5 (si veda Cass. 17 maggio 2017, n. 12358; Cass. 'ri 22 novembre 2021, n. 35997; si veda anche Cass. 24 marzo 2022, n. 9637 resa in vicenda del tutto analoga a quella oggetto del presente giudizio).
Del resto, ove il legislatore avesse inteso estendere l'art. 55-ter ai procedimenti disciplinari sospesi anteriormente all'entrata in vigore della riforma (16 novembre 2009), lo avrebbe detto espressamente, dettando specifica disciplina transitoria relativamente ai procedimenti disciplinari pendenti, che la nuova disposizione non prende in considerazione, né espressamente né implicitamente.
Nella sentenza impugnata è, poi, evidenziato che, ove pure si fosse considerato che il predetto dies a quo andava calcolato a far data dalla comunicazione della sentenza da parte dell'Avvocatura comunale (10 maggio 2016), non vi sarebbe stata comunque nessuna decadenza considerato che il procedimento disciplinare era stato riattivato in data 10 luglio 2016 e cioè entro i 180 giorni previsti dall'art. 25, comma 9, del c.c.n.l. del 6 luglio 1995.
Né la ricorrente invoca in modo appropriato l'art. 24 del c.c.n.l. del 6 luglio 1995 in quanto tale norma, fissando il termine di 20 giorni per procedere alla contestazione nei confronti dell'incolpato riguarda, appunto, la contestazione disciplinare e non è certo estensibile all'ipotesi di riattivazione del procedimento disciplinare sospeso per pendenza del procedimento penale, ipotesi per quale, vi è la sopra ricordata disposizione di cui all'art. 25, comma 9, del medesimo c.c.n.l. (mentre il comma 8 richiama lo stesso termine di cui all'art. 24 solo per l'ipotesi in cui il procedimento disciplinare, non sospeso, sia avviato ex novo a seguito dell'avvenuta conoscenza della sentenza penale concernente fatti che possono dar luogo ad una sanzione disciplinare).
Non diversa è la scansione dei termini come prevista dall'art. 26, comma 4, del
c.c.n.l. del 22 gennaio 2004 (disciplina poi superata dall'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009, art. 69, comma 1).
3. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 2, art. 55, comma 1, e art. 55-ter nonché degli artt. 1339 e 1419 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto assorbente, ai fini del rigetto dell'eccezione di decadenza, il rilievo per il quale, in tema di rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, non trova applicazione nei procedimenti disciplinari aperti e sospesi - come nel caso oggetto di giudizio - prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, anche ove il procedimento disciplinare venga ripreso o riaperto successivamente a tale data, per essere la regolamentazione dei termini relativi alla ripresa del procedimento disciplinare sospeso in pendenza di procedimento penale rimessa alla contrattazione collettiva, con cio disattendendo la diversa interpretazione fornita dalla Circolare in data 23 dicembre 2010, n. 14, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica sulla base di principi generali del diritto del lavoro (subordinazione del contratto collettivo alla legge; possibilità di deroga solo per le clausole più favorevoli al lavoratore).
4. Il motivo, con il quale, nella sostanza, si invoca implicitamente, una applicazione retroattiva dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, è infondato per le stesse ragioni evidenziate con riguardo ai primi tre motivi di ricorso, ragioni rispetto alle quali la ricorrente non offre convincenti elementi di segno contrario all'orientamento sopra ricordato, e qui condiviso, e che consentono di ritenere assorbite le ulteriori censure.
5. Con il quinto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall'art. 70 del d.lgs. n. 150 del 2009, dell'art 55-ter del d.lgs. n. 17 del 2017, ed ancora dell'art. 55- ter, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 55, comma 1 anche in relazione all'art. 55-ter, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché degli artt. 1339 e 1419 cod. civ., della Circolare del 27 novembre 2009 del Dipartimento della Funzione Pubblica, ed ancora violazione sempre degli artt. 55-bis e 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 e ss.mm.ii., dell'art. 25, comma 9, del c.c.n.l. Comparto Regioni e Autonomie Locali 1995 e delle norme in materia di interpretazione delle norme e dei contratti contenute nell'art. 12, commi 1 e 3, disp. gen. e degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.
Sostiene che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto che il termine per la riattivazione del procedimento disciplinare, a pena di decadenza, decorresse dalla comunicazione della sentenza penale, avvenuta il 23 maggio 2016, anziché dalla data (10 maggio 2016) in cui l'Avvocatura del Comune aveva trasmesso all U . il testo integrale della stessa (ovvero dalla data del 23 maggio 2016 in cui I' U aveva ritirato le copie della sentenza presso la cancelleria della Cassazione), poiché già a partire da questa data l'Amministrazione, che era stata anche parte del processo e aveva successivamente riassunto la causa per le statuizioni civili, si trovava a conoscenza effettiva della decisione della Corte di cassazione e, quindi, nella condizione di poter dare avvio immediato alla riapertura del procedimento, disponendo di tutti gli elementi a tal fine necessari.
6. Il motivo che, sotto altra forma, ripropone le stesse censure formulate con riguardo ai primi quattro motivi di ricorso è parimenti infondato.
Anche in questo caso la ricorrente non tiene conto della ratio decidendi della Corte territoriale che ha - correttamente - ritenuto inapplicabile al caso di specie la disciplina prevista dall'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001.
7. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 154 ter disp. att. cod. proc. pen. introdotto dall'art. 70 del d.lgs. n. 150 del 2009.
Sostiene che la ratio della prevista comunicazione è quella sgravare la Pubblica Amministrazione dall'onere di controllare (ove non sia parte civile) ogni provvedimento giurisdizionale a carico dei propri dipendenti ma ciò non esclude rilevanza alla conoscenza acquisita aliunde (come nella specie già attraverso la lettura del dispositivo in udienza).
8. Il motivo è infondato stante la già evidenziata inapplicabilità al caso in esame della disciplina dettata dalla riforma di cui al d.lgs. n. 150 del 2009.
9. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 149, comma 3, cod. proc. civ. aggiunto dalla I. n. 263 del 2005.
Deduce l'intempestività della riapertura del procedimento disciplinare dovendo considerarsi quale atto che impedisce la decadenza non quello di riattivazione del procedimento disciplinare ma quello della comunicazione di tale riattivazione.
10. Il motivo è infondato.
Oltre a richiamarsi quanto già sopra evidenziato circa l'inapplicabilità della disciplina dei termini di cui all'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, va ricordato che, come da questa Corte già affermato (v. Cass. 3 giugno 2021, n. 15464), in materia di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini del rispetto del termine previsto per la riattivazione del procedimento disciplinare, a seguito della comunicazione della sentenza che definisce il procedimento penale, occorre avere riguardo alla data di adozione dell'atto da parte della P.A., in applicazione della regola più generale secondo cui la decadenza è impedita dal compimento dell'atto tipico entro il termine indicato, mentre - se l'atto ha carattere recettizio - la sua conoscenza ( o conoscibilità) da parte del destinatario rileva esclusivamente ai fini della produzione degli effetti dell'atto, a meno che essa non sia prevista come elemento costitutivo della fattispecie impeditiva nella fonte che contempla la decadenza.
Una previsione di tal genere, che neppure si rinviene negli artt. 55 bis e 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001, non vi è nella contrattazione collettiva applicabile al caso in esame.
11. Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 7 della I. n. 300 del 1970, dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 159 cod. civ., degli artt. 24 e 25 del c.c.n.l.
Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che il Comune con la comunicazione dell'8 luglio del 2016 aveva riattivato il procedimento disciplinare avviato nel 2004 con la nota di contestazione n. 2498 e non quello aperto nell'ottobre del 2002 con il quale erano stati contestati ad essa ricorrente i fatti per i quali è stata poi licenziata.
12. Il motivo è inammissibile.
La Corte d'appello di Napoli osserva, a proposito della nota dell'8 luglio 2016, come la circostanza che in essa "non sia stata richiamata la contestazione pregressa del 2002 non ha alcuna rilevanza concreta, dal momento che il procedimento disciplinare riattivato risulta individuato sia dal punto di vista formale che sostanziale" (v. pag. 9 della sentenza impugnata); si tratta "all'evidenza" - prosegue la Corte di appello - "sempre dello stesso procedimento disciplinare iniziato nel 2002, come integrato con le due note di contestazione del 2004, man mano che si evolveva la vicenda penale che riguardava la ricorrente; ne consegue che il mancato esplicito richiamo alle note di addebito precedenti non rileva perché, attraverso il richiamo all'ultima contestazione del 2004, il Comune ha inteso riattivare l'unitario processo disciplinare a carico del dipendente iniziato nel 2002 e conclusosi nel 2016". Infondata è, di conseguenza, la censura di tardività della contestazione del 2004 atteso che quella del 2004 non è una nuova e diversa contestazione disciplinare, ma il prosieguo di quella precedente avendo puntualizzato il quadro a carico della S (cfr. sempre pag. 9 della sentenza impugnata).
L'accertamento così compiuto dalla Corte territoriale non risulta oggetto di pertinente censura, poiché - come più volte precisato (Cass. n. 27168/2006, fra le molte conformi) - l'interpretazione dell'atto unilaterale, la quale consiste, allo stesso modo dell'ermeneusi del contratto, nell'accertamento della volontà del dichiarante, si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, nella specie non dedotta.
Resta, pertanto, accertato che, con la nota dell'8 luglio 2016, il Comune X ha inteso riattivare l'unitario procedimento disciplinare a carico della ricorrente, avviato con contestazione (n. 2373) in data 16 ottobre 2002 a seguito di indagini ispettive interne conclusesi nel settembre precedente e nel quale, come è pacifico, vi è stata audizione del dipendente a propria difesa.
13. Con il nono motivo la ricorrente denuncia la violazione motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 7 della I. n. 300 del 1970, dell'art. 55- ter del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 159 cod. civ., degli artt. 24 e 25 del c.c.n.l.
Ribadisce la tardività della contestazione del 2004 rispetto ai fatti del 2002 erroneamente non rilevata dai giudici di appello.
14. Il motivo è infondato per le stesse ragioni evidenziate con riguardo all'ottavo motivo di ricorso.
15. Con il decimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 18, comma 4, della I. n. 300 del 1970, dell'art. 136 cod. proc. pen., dell'art. 115 disp. att. cod. proc. pen., dell'art. 2700 cod. civ.
Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che la contestazione disciplinare soddisfacesse il requisito di specificità.
16. Il motivo è infondato.
Oltre a rilevarsi che la ricorrente non ha riprodotto il contenuto della contestazione rispetto alla quale incentra le censure, va ricordato che l'apprezzamento del requisito della specificità - da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (v. Cass. 30 maggio 2018, n. 13667).
Ne consegue che la parte ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (v. Cass. 15 novembre 2017, n. 27136).
Tanto, nella specie, non è avvenuto.
Si aggiunga, in ogni caso, che la Corte territoriale ha evidenziato (v. pag. 8 della sentenza) che il Comune, nella lettera di contestazione non si era limitato ad un mero richiamo ai capi di imputazione ma li aveva riprodotti nel loro contenuto (e così sia quelli per i quali era stata pronunciata l'estinzione per prescrizione sia quelli per i quali la S era stato dichiarato colpevole nei due gradi di merito).
Questa Corte ha già affermato che in tema di procedimento disciplinare, il riferimento a fatti oggetto di un procedimento penale è sufficiente ad integrare una valida contestazione dell'addebito disciplinare, dovendosi ritenere che, con tale richiamo, sia rispettato il diritto di difesa dell'incolpato, il quale è posto in grado di svolgere, anche in sede disciplinare, le più opportune difese (v. Cass. 17 novembre 2010, n. 23223; Cass. 15 maggio 2014, n. 10662)
17. Con l'undicesimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., dell'art. 654 cod. proc. pen., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ..
Lamenta che la Corte territoriale abbia assunto a fondamento della decisione prove non acquisite nel contraddittorio delle parti ed abbia utilizzato esclusivamente le conclusioni delle sentenze penali.
18. Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, manca ogni riferimento testuale al contenuto degli atti che sarebbero stati utilizzati dalla Corte territoriale, alle modalità di acquisizione degli stessi nel processo civile.
Il motivo, poi, nonostante la veste formale della denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, nella sostanza censura quelli che sono stati accertamenti in fatto della Corte territoriale concernenti sia la prova dei fatti addebitati alla S che però incontrano i ristretti limiti imposti dal novellato n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., cosi come rigorosamente interpretato da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054.
19. Con il dodicesimo motivo la ricorrente denuncia errores in procedendo e in iudicando ed in particolare la violazione degli artt. 112cod. proc. civ., 11, 24, 3, comma 2, Cast., 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. ed ancora nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione agli artt. 111, 112 e 161, comma 1, cod. proc. civ.
Ricollegandosi al motivo che precede la ricorrente lamenta che, nonostante egli abbia cercato di indicare le prove a suo favore, la Corte territoriale le abbia disattese ed abbia ritenuto fondati gli addebiti in assenza di ogni prova fornita dal soggetto a tento tenuto e cioè dal datore di lavoro.
Deduce anche un travisamento delle prove ed una lettura degli atti penali non corrispondente alla realtà dei fatti che invece deponevano nel senso dell'estraneità della ricorrente ai fatti associativi oggetto del giudizio penale e, dunque, escludevano il suo apporto nella causazione dell'illecito disciplinare.
20. Anche questo motivo è inammissibile.
È pur vero che questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un'informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, a condizione che la ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l'assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (Cass. 26 aprile 2022, n. 12971; Cass. 4 marzo 2022, n. 7187; Cass. 24 ottobre 2018, n. 27033).
Tuttavia, l'ipotesi suddetta è diversa dall'errore nella valutazione dei mezzi di prova - non censurabile in sede di legittimità - che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto. Nella specie la Corte territoriale ha dato conto delle fonti di prova utilizzate, specificamente esaminate, con apprezzamento che non è affetto da alcun vizio logico.
Ed allora si verte in una ipotesi che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dai mezzi assunti senza che sussista una assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice.
Così il motivo in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando o in procedendo, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede.
22. Alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
23. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.