Nel caso di specie, ha destato forti perplessità il fatto che la parte attrice, stante l'attuale tecnologia, non abbia prodotto alcuna foto dell'incidente nonché dei danni subiti dall'auto a sostegno della sua pretesa risarcitoria.
Svolgimento del processo
MRD, ricorre per la cassazione della sentenza n. 1939-2020 del Tribunale di Benevento, pubblicata in data 31 dicembre 2020, articolando due motivi;
resiste con controricorso T;
nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da PD e da AR, rimasti intimati;
la ricorrente espone di avere agito contro PD e AR, nella qualità, rispettivamente, di proprietario e di conducente dell'autovettura Fiat X nonché contro la M div. P, assicuratrice, all'epoca del sinistro per la r.c.a, per ottenerne la condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di euro 5.330,49, o di quella diversa accertata nel corso del giudizio, al netto di rivalutazione ed interessi, per le spese di recupero e per i danni riportati alla carrozzeria della propria auto, rimasta coinvolta nell'incidente stradale ascritto a responsabilità esclusiva di AR, e della somma da quantificare nel corso del giudizio per il danno biologico, temporaneo e permanente, subito nel medesimo sinistro;
Tua assicurazioni, costituitasi in giudizio in sostituzione della M div. P eccepiva, in via preliminare, l'improponibilità della domanda per violazione degli artt. 145 e 148 cod. ass. e contestava, nel merito l’an ed il quantum della pretesa attorea;
il Giudice di pace di Benevento, con sentenza n. 133/2018 riteneva fondata l1eccezione di improcedibilità della richiesta, ai sensi ed agli effetti dell'art. 147 cod. ass., che subordina l'esercizio dell'azione alla preventiva richiesta, conforme alle prescrizioni di cui all'art. 148 cod.ass., del danno all'assicuratore ed al decorso del termine di sessanta giorni, novanta nel caso di lesioni personali, dallo stesso, avendo accertato che la richiesta di risarcimento, inviata con lettera raccomandata alla M- div. P, non rispettava le prescrizioni di cu all'art. 148 cod. ass.: difettava, infatti, delle indicazioni relative all'attività ed al reddito della danneggiata, dell'attestazione medica di avvenuta guarigione, della dichiarazione di cui all'art. 142, comma 2, d.lgs., n. 209/2005; aggiungeva che la documentazione medica versata in atti non proveniva da una struttura pubblica e indicava una data - quella del 21 giugno 2013 - diversa da quella - 18 giugno 2013 - in cui era avvenuto il sinistro; ciò impediva, secondo il Giudice di pace, l'accoglimento della richiesta di risarcimento del danno alla persona, mancando la prova che il pregiudizio lamentato fosse causalmente riconducibile all'incidente stradale oggetto di causa; rigettava anche la richiesta dei danni all'auto, perché non era stata efficacemente provata la dinamica del sinistro né la ricorrenza dei danni alla carrozzeria denunciati;
MRD investiva del gravame il Tribunale di Benevento, denunciando l'erroneità della pronuncia di prime cure per non aver rilevato che la lettera raccomandata inviata alla Maveva raggiunto il suo scopo, perché l'assicuratrice era stata messa nelle condizioni di accertare la responsabilità, di stimare il danno e di formulare l'offerta, per non avere esaminato i motivi posti a fondamento del rigetto della richiesta risarcitoria dalla T che, infatti non aveva mai chiesto alcun supplemento di prova documentale e c e aveva comunicato, con le lettere dell'll e del 15 luglio 2013, di non poter formulare alcuna offerta di risarcimento in quanto i danni riscontrati sui veicoli non risultavano compatibili con la dinamica del sinistro, per aver privato di rilievo la certificazione medica rilasciata dal medico curante, per aver tratto la conclusione che non era stata dimostrata la derivazione dei danni lamentati dal sinistro solo dalla discordanza della data del sinistro denunciata alla impresa di assicurazioni rispetto a quella indicata nella certificazione medica, la quale solo per errore materiale indicava l'incidente come avvenuto in data 21 giugno 2013, per non avere ritenuto provati il danno alla carrozzeria dell'auto e le spese sopportate per la sua rimozione;
il Tribunale di Benevento, con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, ha rigettato l'appello, ritenendo il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice di pace immune da censure;
il relatore designato, avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
Motivi della decisione
1) con il primo motivo la ricorrente deduce «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del codice delle assicurazioni private, artt. 145 e 148, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ.;
oggetto di censura è la statuizione con cui il Tribunale ha confermato l'improcedibilità della domanda, ritenendo generica la lettera di messa in mora quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro e alla domanda risarcitoria, anche dopo che l'assicurazione aveva preso specifica e motivata posizione sull'incompatibilità tra i danni riportati dalle due vetture nel sinistro stradale e l'accadimento siccome descritto;
parte ricorrente insiste circa la completezza e la rispondenza ai requisiti di legge della lettera stragiudiziale contente la richiesta risarcitoria all'impresa di assicurazioni - recante le generalità della danneggiata, il suo codice fiscale, la descrizione delle circostanze di tempo e di luogo del sinistro stradale, le copie dei preventivi dei danni subiti dall'auto, la copia della fattura di euro 100,00 per il suo recupero, la certificazione medica attestante le lesioni subite, la certificazione di avvenuta guarigione, la disponibilità a far visionare l'auto e ad essere sottoposta a visita medica - e circa il rispetto del termine di cui all'art. 145 cod. ss.;
ribadisce che T. con le lettere del luglio 2013, aveva comunicato di non poter formulare un'offerta per l'incompatibilità tra danni riscontrati e quelli denunciati, dimostrando di aver concluso l'istruttoria della pratica, senza ritenere necessario un supplemento documentale quanto alla ricorrenza ed alla consistenza dei danni; ne trae la conclusione che la lettera di messa in mora aveva raggiunto il suo scopo, perché la impossibilità di formulare un'offerta risarcitoria non era stata messa in relazione con i dati asseritamente omessi;
il motivo pecca innanzitutto di difetto di autosufficienza, giacché esso risulta interamente incentrato sul contenuto della lettera di messa in mora che avrebbe dovuto dimostrare per tabulas il rispetto degli artt. 145 e 148 del cod. ass., senza renderla disponibile a questa Corte; il che rende impossibile l'assolvimento del compito istituzionale demandatole e destina il motivo di ricorso all'inammissibilità, per violazione dell'art. 366, primo comma, n. 6) cod.proc.civ., il quale prescrive un requisito di ammissibilità di contenuto-forma, individuato in modo chiaro, in armonia con il principio della idoneità dell'atto processuale al raggiungimento dello scopo, coerente con la natura di impugnazione a critica limitata propria del ricorso per cassazione e con la strutturazione del giudizio di legittimità quale processo sostanzialmente privo di momenti di istruzione;
tale conclusione risulta, peraltro, in linea con la declinazione del principio di autosufficienza del ricorso emersa dalle indicazioni della recente sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia; tale pronuncia, anche richiamando (al p.to 23 in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense (il quale, nel dichiarato obiettivo di "arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione", non ha bandito il principio di autosufficienza, ma ha chiarito che il suo rispetto "non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento", essendo sufficiente all'osservanza del principio di specificità imposto dal codice di rito, modulato nei criteri di sinteticità e chiarezza, la trascrizione essenziale di atti e documenti, per la parte d'interesse) e il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza (il "PNR") adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al p.to 24 in motivazione), ha affermato, in sintesi:
a)il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, in quanto destinato a semplificare l'attività del giudice di legittimità e allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ai p.ti 74 e 75 in motivazione);
b)la necessità tuttavia, nell'applicazione concreta, della rispondenza di tale principio ad un criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo, non potendosi giustificare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi, al punto da trasformarsi in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al p.to 81 in motivazione);
2) con il secondo motivo parte ricorrente addebita alla sentenza impugnata la violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4) cod.proc.civ. e dell'art. 111 Cast., per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del c.d. minimo costituzionale, per avere rigettato nel merito la richiesta risarcitoria, senza far riferimento agli elementi probatori acquisiti, per non aver - nell'ipotesi in cui la deposizione testimoniale fosse risultata generica - posto alcuna domanda ai testi a chiarimento, per non averli riconvocati e per aver attribuito rilievo ad un fatto - il mancato intervento sul luogo teatro dell'incidente della forza pubblica - non imputabile alla danneggiata;
deve rilevarsi che la sentenza d'appello (a p. 2) ha dato atto che il Giudice di pace aveva lamentato la mancata produzione di qualsiasi rilievo fotografico del luogo del sinistro, della posizione delle due autovetture, dei danni riportati dall'auto ed ha osservato:
«ai tempi degli smartphone, ma anche dei più tradizionali telefonini cellulari, desta inquietante perplessità il fatto che non sia stata fatta alcuna foto del sinistro, della posizione statica degli autoveicoli dopo il sinistro, degli stessi autoveicoli e dei danni subiti. Nemmeno i meccanici e i carrozzieri, che usano fare foto agli autoveicoli quando sono coinvolti in incidenti stradali, prima di ripararli, risulta che abbiano fornito all'attrice rilievi fotografici, o comunque, questa, pur avendoli, non li ha prodotti in giudizio»;
la statuizione confermativa della decisione del Giudice di pace è stata basata anche sul rilievo che l'atto di citazione non specificasse come l'autovettura investitrice avesse invaso la corsia di marcia della danneggiata e quali parti delle auto fossero venute a collidere e che detta genericità non fosse stata superata durante l'istruttoria, le prove testimoniali non accompagnate «dalla descrizione della precisa dinamica del sinistro e quindi dall'indicazione di circostanze fattuali concrete idonee a porre il giudicante di valutare autonomamente se il fatto si è effettivamente verificato, in che modo si è verificato e di chi sia la colpa», pertanto, «generiche e prive di valore ai fini ricostruttivi»;
il Giudice d'Appello ha concluso con la seguente affermazione:
«stante l'attuale tecnologia a disposizione delle parti in ogni momento, il tempo delle cause risarcitorie per sinistri stradali fatte solo con testimonianze è finito. Ben più adeguata deve essere l'impegno delle parti attrici nell'adempiere all'onere della prova»;
ebbene, giusta o sbagliata che sia, la motivazione c'è e dunque non può fondatamente affermarsi che la sentenza impugnata difetti di una motivazione a supporto della decisione confermativa, e che quindi sia incorsa nel vizio di omessa motivazione imputatole dalla ricorrente; la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. In L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza"della motivazione (Cass., Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053);
evidente, dunque, che benché l'epigrafe del motivo indichi la ricorrenza di un vizio di motivazione, ciò che la ricorrente sottende con la censura formulata è un diverso accertamento dei fatti di causa, attraverso la valorizzazione del contenuto delle deposizioni testimoniali che peraltro, come si evince dallo stesso ricorso - cfr. p. 7 - non contenevano alcuna indicazione utile alla esatta ricostruzione della dinamica dell'incidente, attribuendo rilievo al principio secondo cui il giudice di merito non può limitarsi a registrare passivamente quanto gli riferisce il testimone, potendolo incalzare con domande utili a chiarire i fatti, ai sensi dell'art. 253 cod.proc.civ., o potendo richiamare per chiarimenti, ex art. 257 cod.proc.civ.; quel che invece il giudice di merito non può fare, senza contraddirsi, è, da un lato, non rivolgere al testimone nessuna domanda a chiarimento e non riconvocarlo, e, dall'altro, ritenere lacunosa la testimonianza perché carente su circostanze non capitolate, e sulle quali nessuno ha chiesto al testimone di riferire;
ora, è evidente che il motivo contiene una critica alle modalità di escussione dei testi, lamentando il fatto che il giudice di merito non abbia approfondito e acquisito tutti gli elementi indispensabili ai fini del decidere, ma senza tener conto che la giurisprudenza di questa Corte ritiene che le lacunosità delle dichiarazioni dei testi non possano essere imputate al giudice, il quale ha solo la facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 cod.proc.civ., di natura esclusivamente integrativa, ma non può rendersi artefice - come preteso dalla ricorrente - di un'inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria, non potendo il giudice svolgere un ruolo di supplenza (Cass. 05/06/2018, n.14364; Cass. 12/02/2008, n.3280) e non potendo introdurre, mediante le sue domande, fatti nuovi ed estranei a quelli sui quali il convenuto ha potuto prendere posizione nella memoria di costituzione; si aggiunge, allo scopo di ulteriormente precisare quanto sopra, che il richiamo alla decisione n. 18896/2015 non è pertinente, perché essa muove da una premessa, qui non ricorrente, che i testimoni escussi non avessero riferito nulla su circostanze rilevanti ai fini dell'accoglimento della domanda e che il giudice, contraddicendosi, avesse omesso di chiedere chiarimenti ai testimoni per poi rigettare la domanda ritenendo non provate le circostanze taciute dal teste;
il motivo è, quindi, infondato;
3) ne consegue il rigetto del ricorso;
4) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
5) si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.