In caso di gravame, il giudice d'appello de libertate ha il potere-dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni e dei presupposti richiesti per l'adozione di un'ordinanza applicativa della misura cautelare.
Il Tribunale del riesame respingeva l'appello avanzato dal PM avverso l'ordinanza del GIP del Tribunale che aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare personale nei confronti dell'imputato.
In sede di legittimità, il PM lamenta la violazione di norme processuali quanto alla ritenuta insussistenza del pericolo di...
Svolgimento del processo
1.1 Con ordinanza in data 28 marzo 2022, il tribunale del riesame di Bari respingeva l'appello avanzato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del G.I.P. del tribunale di Foggia del 3 marzo 2020 che aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare personale nei confronti di L.G. ed altri numerosi indagati.
1.2 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica di Foggia deducendo con distinti motivi:
- violazione dell'art. 606 lett. b) cod.proc.pen., inosservanza degli artt. 512 bis e 648 bis cod.pen. posto che aveva errato il tribunale del riesame nel ritenere Lezzi indagato del reato di intestazione fittizia essendo contestato allo stesso le più gravi fattispecie di riciclaggio, estorsione e traffico di stupefacenti che il tribunale dell'appello cautelare aveva omesso di considerare quanto alla loro gravità;
- violazione di normf processuali previste_ a pena di nullità quanto alla ritenuta insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati in considerazione del tempo trascorso tra la commissione degli stessi e quello di proposizione dell'istanza cautelare, dovendosi fare applicazione dei principi giurisprudenziali in forza dei quali tale elemento non va valutato in relazione alla sussistenza di un immediato pericolo di recidiva ma anche in considerazione di diversi elementi.
Motivi della decisione
2.1 Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte, alle quali appare opportuno, però, premettere una considerazione di ordine generale, alla luce del non condivisibile principio della "ragione più liquida", affermato nella ordinanza impugnata e con fondamento censurato dal Pubblico Ministero ricorrente.
Secondo il diritto vivente, infatti, qualora il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la richiesta di adozione di un provvedimento coercitivo e - come nel caso in esame - il pubblico ministero abbia presentato appello avverso tale decisione, «il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il potere dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 273, 274, 275, 278, 280, 287 c.p.p. e, all'esito di siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall'art. 292, risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle esigenze cautelari, nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura» (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, Rv. 227357).
Hanno osservato le Sezioni Unite, in tale pronuncia, condivisa dalla successiva e anche recente giurisprudenza di legittimità (cfr., ad es., Sez. 6, n. 41997 del 24/09/2019, Romano, Rv. 277205; Sez. 6, n. 44713 del 28/03/2019, Caria, Rv. 278335; Sez. 3, n. 37086 del 19/05/2015, Grasso, Rv. 265008), che i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell'appello de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall'originaria domanda cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all'intero t.1-iema decidendum, che è costituito dalla verifica dell'esistenza di tutti i presupposti richiesti per l'adozione di un'ordinanza applicativa della misura cautelare, poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il potere-dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 274, 27S, 278, 280, 287 c.p.p. e, all'esito di siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall'art. 292, risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle esigenze cautelari, nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura. Pertanto, è «ragionevole affermare che (con riguardo all'impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento del G.i.p. di diniego della misura cautelare) al rilevato allargamento del devolutum a tutti i profili della domanda cautelare, indipendentemente dallo specifico petitum contenuto nei motivi di gravame, debba corrispondere una pari ampiezza del materiale cognitivo».
Alla luce di questi principi è censurabile il procedimento seguìto nel provvedimento impugnato, che nella sostanza si è limitato ad esaminare unicamente il profilo delle esigenze cautelari, ritenute insussistenti, osservando peraltro, quanto alla specifica posizione dell'odierno ricorrente, soltanto che egli risponde del solo delitto di cui all'art.512 bis cod.pen. risultando evidente che tutte le ordinanze emesse a seguito dell'appello cumulativamente proposto nei confronti dei diciassette indagati hanno nella sostanza ricalcato quelle adottate per le posizioni di P.S. e L.M.S..
Il Tribunale, dunque, avrebbe dovuto esaminare prima l'aspetto della gravità indiziaria, la cui totale assenza il Pubblico Ministero aveva lamentato con il primo motivo di appello, per poi valutare, laddove avesse ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, il tema, logicamente successivo, delle esigenze cautelari.
Va evidenziato, in proposito, che il primo aspetto ben può incidere anche sulla seconda valutazione, avuto riguardo soprattutto al giudizio sulla gravità in concreto dei fatti reato contestati. L'ultimo periodo della lettera e) dell'art. 274 cod. proc. pen., così come modificato dalla legge n. 47 del 2015, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla sola gravità del "titolo di reato", astrattamente considerato, ma non qià dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni, in quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di valutazione che, investendo l'analisi di comportamenti concreti, servono a comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio sistema di vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di una incapacità del soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose (v. Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Rv. 271522, Silvestrin; Sez. 1, n. 37839 del 2/03/2016, Biondo, Rv. 267798; Sez. 1, n. 45659 del 13/11/2015, Restuccia, Rv. 265168; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 14007 del 10/3/2022, Miraglia, non mass.).
Il Tribunale ha erroneamente applicato il principio della "ragione più liquida", affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella giurisdizione civile in una prospettiva di economia processuale, secondo il quale la decisione di una causa è comunque possibile dando precedenza a una questione diversa e di più agevole decisione, anche se logicamente subordinata (cfr., ad es., Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490-01; Sez. 5, n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 - 01; Sez. 5, n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510-01).
Si tratta di un principio non "esportabile" tout court nel processo penale, tant'è che nella unica pronuncia richiamata nell'ordinanza impugnata (Sez. 1, n. 17850 del 12/01/2017, Castriotta, Rv. 270298 - 01) a esso si è fatto riferimento in una ipotesi del tutto peculiare: in presenza di una questione di diritto controversa nella giurisprudenza di legittimità, la sezione semplice non deve rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, cod, proc. pen., se il ricor.so può trovare autonoma soluzione in ragion della presenza di un concorrente motivo di annullamento del provvedimento impugnato (nello stesso senso, di recente, v. Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini nonché Sez. 2, n. 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, Salvatore, non massimate sul punto).
Trattasi di pronunce del tutto condivisibili, che tuttavia riguardano una situazione affatto diversa da quella in esame, al pari di quelle in cui il giudice di merito o di legittimità, assunta la decisione sulla base di una questione pregiudiziale o preliminare, di rito o di merito, si limita in motivazione a trattare quell'unico punto assorbente.
Non è condivisibile, invece, il richiamo del Tribunale al principio della ragionevole durata del processo, «non esistendo alcuna ragione di economia processuale che possa sostituirsi all'obbligo di motivazione» (così, efficacemente, Sez. 3, n. 10458 del 14/01/2020, Palma, non mass.).
Il giudice della cautela, in sede di impugnazione, laddove concordi con le valutazioni espresse nell'ordinanza impugnata, potrà ben motivare per relationem, facendo risultare di avere preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e di averle ritenute coerenti con la propria decisione (in questo senso v., ad es., Sez. U, n. 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664; Sez. 3, n. 26483 del 05/04/2022, Maifredi, Rv. 283393; Sez. 2, n. 10699 del 30/10/2019, dep. 2020, Grande Aracri, non mass.; Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Salcini, Rv. 274252; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261248); non potrà, invece, obliterare del tutto l'aspetto della gravità indiziaria, che logicamente precede e ben può influenzare - come si è detto - quello delle esigenze cautelari.
2.2 Ciò posto il ricorso è proposto per motivi non consentiti e risulta anche generico e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Sotto il primo profilo infatti deve essere rammentato come secondo l'insegnamento di questa Corte di cassazione in tema di misure cautelari, non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione questioni mai proposte dinanzi al tribunale dell'appello cautelare (Sez. 5, n. 48416 del 06/10/2014, Rv. 261029 - 01); applicando detto principio al caso in esame deve essere affermato che, proposto appello dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del giudice delle indagini preliminari che rigetti la richiesta di applicazione delle misure cautelari in relazione ad uno dei profili di cui all'art. 274 cod.proc.pen., il successivo ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale della libertà che abbia rigettato l'appello non può dedurre la presenza delle esigenze cautelari sotto un profilo mai dedotto in precedenza.
Difatti nella interpretazione di questa corte di legittimità il disposto di cui all'art. 606 comma 3 cod.proc.pen. è stato interpretato affermandosi che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione (Sez. 3., Sentenza n. 16610 del 24/01/2017 Ud. (dep. 04/04/2017) Rv. 269632 - 01); ne deriva quindi che proposto appello lamentandosi la mancata valutazione da parte del giudice delle indagini preliminari della sussistenza della esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. a) cod.proc.pen .. (pericolo di inquinamento probatorio), il pubblico ministero non può poi avanzare ricorso per cassazione deducendo l'omessa valutazione da parte del tribunale della libertà investito dell'appello ex art. 310 cod.proc.pen. del pericolo di reiterazione di cui all'art. 274 lett. c) cod.proc.pen., come invece avvenuto nel caso in esame.
Invero, nell'appello avanzato cumulativamente nei confronti degli indagati il pubblico ministero aveva dedotto, con la formulazione di una specifica richiesta ex art. 581 cod.proc.pen., l'omessa valutazione delle esigenze cautelari sotto il profilo di cui alla lettera a) dell'art. 274 cod.proc.pen. mentre poi, in sede di ricorso per cassazione, tale prospettiva risulta abbandonata per coltivarsi piuttosto la omessa valutazione del pericolo di reiterazione ex art. 274 lett. c) cod.proc.pen..
La violazione delle regole in tema di c.d. catena devolutiva determina pertanto una prima ragione di inammissibilità.
2.3 In ogni caso, premesso che secondo l'interpretazione di questa Corte di cassazione è inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero, proposto nei confronti dell'ordinanza di reiezione dell'appello avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare, con cui lo stesso, senza nulla prospettare in ordine alle esigenze cautelari, si limiti a contestare il mancato riconoscimento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, atteso che l'accoglimento del gravame in ordine a tale profilo non potrebbe comunque condurre all'applicazione della misura e, quindi, sarebbe privo di alcun risultato pratico vantaggioso per l'impugnante (Sez. 3 - , n. 13284 del 25/02/2021 Rv. 281010 - 01; Sez. 6, n. 46129 del 25/11/2021, Rv. 282355 - 01; Sez. 6, n. 12228 del 30/10/2018, Rv. 276375 - 01) nel caso in esame, pur a doversi stigmatizzare la errata qualificazione giuridica dei fatti contestati al Lezzi da parte del tribunale del riesame sintomo di una valutazione approssimativa, il giudice del riesame personale valutav21 quale elemento decisivo ai fini della negazione della fondatezza dell'appello l'assenza di attualità delle esigenze cautelari stante il rilevante lasso di tempo trascorso dalla commissione deç1li stessi che apparivano essersi verificati tra il 2013 ed il 2016. Ed a fronte di tale considerazione il ricorso nulla di specifico prospetta non indicando né la specifica tipologia dei reati commessi dall'indagato, né la data di consumazione degli stessi né tantomeno la sussistenza di altre circostanze di fatto dalle quali potere ritenere concreto ed attuale il pericolo di recidiva.
Al proposito va ricordato come secondo questa Corte di Cassazione in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, la modifica apportata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen. - attraverso l'espressa previsione del requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza - normativizza il principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, della necessità che l'attualità del pericolo sia specificamente valutata dal giudice, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della adozione della misura, in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare. (Sez. 3, n. 12477 del 18/12/2015 Rv. 266485 - 01). Più recentemente si è affermato che in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020 Rv. 280566 - 01).
Posto quindi che il requisito dell'attualità va valutato sia in relazione alla vicinanza tra i fatti commessi e la richiesta di misura sia in forza di altri elementi specifici che attengano alla sussistenza di pericolo di recidiva in capo all'indagato, il ricorso avanzato appare evidentemente generico sul punto posto che non indica neppure con precisione la data in cui sarebbero state commesse le condotte contestate all'indagato la cui valutazione si assumete totalmente pretermessa dal giudice dell'appello cautelare e, comunque, non precisa alcun elemento dal quale ritenere che a carico dell'indagato sussista un pericolo specifico di recidiva stante la sua abituale dedizione al delitto.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.