Per questa ragioni, con sentenza n. 37850 del 6 ottobre, la Cassazione respinge il ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia di primo grado del 5 giugno 2020 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato A. D. in relazione al reato di cui all'art. 368 cod. pen., per avere, il 31 marzo 2024, con esposto indirizzato a varie autorità giudiziarie e amministrative, e il 4 giugno 2014; con dichiarazioni rese ai carabinieri, accusato C. V., pur sapendola innocente, di aver compiuto abusi sessuali sul figlio comune, il minore Francesco D., nato da una loro precedente unione sentimentale: in particolare, per avere riferito di aver appreso dal figlio che "la mamma gli toccava sempre il pisellino", così lasciando ipotizzare la matrice sessuale di quei toccamenti (tanto che quelle sue indicazioni avevano determinato l'apertura di un procedimento penale a carico della V., poi archiviato), omettendo di riferire che il bambino, a causa di una infezione delle vie urinarie, necessitava di una 'ginnastica prepuziale' consistente nella effettuazione di quotidiane manovre di retrazione del prepuzio.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il D., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 368 e 42 cod. pen., 533 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per carenza, contraddittorietà, illogicità, apparenza e travisamento della prova, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado senza rispettare il canone dell' "ogni ragionevole dubbio", sulla base di una atomistica, parcellizzata e incompleta valutazione degli elementi di prova, di cui era stata talora travisata la valenza dimostrativa: dati che avrebbero dovuto far dubitare della sussistenza dell'elemento oggettivo e di quello psicologico necessari per la configurabilità del delitto oggetto di addebito. In particolare, la Corte di appello non aveva tenuto conto che nell'originario esposto l'imputato non aveva affatto inteso accusare la V. di aver commesso abusi sessuali, né aveva voluto ipotizzare un siffatto illecito, essendogi egli limitato a rappresentare un fatto di cui era stato testimone; che era stata la V., animata da sentimenti negativi verso il suo ex convivente, a condizionare i rapporti tra il padre e il figlio minore, da lei appositamente "indottrinato", ed a formulare numerose denunce contro il D.(tutte archiviate), circostanza che aveva creato nel predetto uno stato psicofisico condizionato da quella grave situazione di conflittualità, idonea ad integrare gli estremi della scriminate di cui all'art. 51 cod. pen.; che il Giudice non aveva subito presentato una denuncia all'autorità giudiziaria, ma aveva voluto solamente esternare ad una assistente sociale i suoi dubbi, di cui poi aveva riferito anche al pubblico ministero in occasione del suo ascolto; che la V. aveva scritto un messaggino all'ex compagno, in cui aveva fatto cenno al "gel da applicare al prepuzio" del figlio (di cui non vi è traccia in pregressi certificati redatti dalla pediatra del minore), solo nel luglio del 2014, quando ella aveva appreso di essere stata denunciata dal D. e quando si era premurata, per la prima volta, di farsi rilasciare dalla pediatra (amica di famiglia della V., dunque non pienamente attendibile) un referto in cui $i erano state precisate quali fossero le cure di cui il bambino aveva bisogno; che il figlio, sentito nel corso dell'incidente probatorio, non aveva mai precisato a quale periodo si riferissero le pratiche di 'ginnastica prepuziale' praticategli da entrambi i genitori. In via subordinata, il ricorrente ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato, con pronuncia sui motivi ai fini della decisione sulle statuizioni civili.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 368 cod. pen. e 546 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per carenza e apparenza, per avere la Corte distrettuale motivato la propria sentenza con un apparato argomentativo redatto con la tecnica del 'copia e incolla', riproponendo il contenuto di precedenti provvedimenti giudiziali, dunque senza esaminare e confutare le specifiche questioni che erano state poste dalla difesa con l'atto di appello.
2.3. Vizio di motivazione, per carenza e apparenza, per avere la Corte di merito disatteso l'eccezione di nullità già formulata con l'atto di appello con riferimento alla mancata valutazione, da parte D. di primo grado, del contenuto di una memoria difensiva depositata in quel grado del giudizio.
2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per carenza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato le attenuanti generiche all'imputato, soggetto incensurato che ha tenuto un buon comportamento processuale, così riducendo una pena finale eccessiva.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di A. D. sia inammissibile.
2. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché in parte manifestamente infondato e perché, in parte, presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
2.1. Quanto alla lamentata violazione del canone "dell'oltre ogni ragionevole dubbio" di cui all'art. 533 cod. proc. pen., la censura difensiva è del tutto priva di pregio in quanto è pacifico che la mancata osservanza di criteri di giudizio, anche se richiamati in relazione a regole di valutazione probatoria (quali quelli contenuti, oltre che nell'art. 533, anche negli artt. 530 e 192 cod. proc. pen.) non è assistita da alcuna specifica sanzione processuale e, dunque, non rileva in quanto tale, ma refluisce nell'eventuale deduzione di vizi del percorso argomentativo della sentenza (così, ex multis, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
2.2. Il ricorrente solo formalmente ha denunciato una serie di vizi di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della decisione gravata, senza però prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza di dati informativi desumibili dalle carte del procedimento capaci di far emergere una decisione finale incongrua.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Napoli aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante il giudizio di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un reale 'travisamento delle prove', vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, è stato presentato per sostenere in pratica una ipotesi di 'travisamento dei fatti'
oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero ; materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
In altri termini, i rilievi formulati con il ricorso si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte distrettuale.
In particolare, i giudici di merito hanno chiarito, con motivazione che resta esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicità, come la prova della sussistenza dell'elemento psicologico che aveva sostenuto l'iniziativa calunniatrice ai danni della ex convivente (che l'imputato aveva attuato dapprima con la presentazione di un esposto indirizzato all'autorità giudiziaria e poi nel confermarne il contenuto in occasione del suo ascolto da parte del pubblico ministero, riferendo di aver appreso con preoccupazione degli "anomali toccamenti al pisellino" che il bambino gli aveva raccontato di aver "subito", a proposito delle operazioni che la madre era abituata a fare al figlio) fosse desumibile dal fatto che, nel corso del procedimento penale aperto a carico della V., sottoposta ad indagini per il reato di abusi sessuale, il D.aveva reso una dichiarazione che si era dimostrata smaccatamente falsa.
Il prevenuto, infatti, si era giustificato asserendo di essere rimasto turbato da quelle confidenze fattegli dal figliolo, non avendo mai saputo che lo stesso necessitasse di cure specifiche per una infezione all'organo genitale, e di aver perciò deciso di riferire quanto appreso alle autorità competenti: laddove le investigazioni avevano inequivocabilmente dimostrato che la pediatra che aveva avuto in cura il bambino - professionista della cui attendibilità non vi era stata ragione alcuna di dubitare - aveva riferito ad entrambi i genitori, dunque anche all'odierno ricorrente, della necessità che al minore, affetto da infezioni alle vie urinarie, venisse praticata una "ginnastica prepuziale"; operazioni di ginnastica che, ha ricordato la testimone, ella stessa aveva praticato al bambino anche alla presenza del padre, sensibilizzato, assieme alla madre, a continuare a casa l'effettuazione di quella 'ginnastica'. L'atteggiamento in mala fede tenuto dell'imputato era risultato riscontrato da due ulteriori circostanze evidenziate dai giudici di merito: il fatto che il piccolo Francesco, ascoltato in sede di incidente probatorio, avesse riconosciuto che entrambi i genitori "gli toccavano i genitali", la madre con l'uso di una crema, mentre il padre solo con l'impiego dell'acqua; ed ancora, il fatto che, nel luglio del 2014, in occasione di uno scambio di comunicazioni via sms tra i genitori, la V., nell'informare il D.di aver preparato la borsa per il figlio, aveva informato quest'ultimo di aver "lasciato anche il gel da applicare al prepuzio" del bambino, dando così per scontato che l'interlocutore ben sapesse di cosa si stava parlando.
2.3. Nella sentenza impugnata non è riconoscibile alcuna delle denunciate violazioni dell'art. 368 cod. pen.
Alla luce delle valutazioni esposte nel punto che precede, va rilevato come la Corte di appello di Napoli abbia fatto buon governo dei criteri interpretativi che in materia sono stati formulati dalla giurisprudenza di legittimità: nella quale si è chiarito, per un verso, che - sotto l'aspetto oggettivo - non è necessaria per la configurabilità del reato di calunnia una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma a soggetto obbligato a riferire all'autorità giudiziaria o direttamente a quest'ultima, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato e li addebiti a persona di cui conosce l'innocenza (così, tra le molte, Sez. 6, n. 12076 del 19/02/2020, Di Miceli, Rv. 278724); ciò perché la calunnia è un reato di pericolo ed è sufficiente che i fatti falsamente rappresentati, pur se non univocamente indicativi di una fattispecie specifica di reato, siano tali da rendere ragionevolmente prevedibile l'apertura di un procedimento penale, per un fatto procedibile d'ufficio, a carico di persona determinata (così, ex multis, Sez. 6, n. 8045 del 27/01/2016, Contenti, Rv. 266153). Giurisprudenza nella quale, per altro verso, si è puntualizzato che - sotto l'aspetto soggettivo - non sussiste il dolo del reato di calunnia solamente quando la falsa incolpazione consegue ad un convincimento deWagente in ordine a profili essenzialmente valutativi o interpretativi della condotta denunciata, sempre che tale valutazione soggettiva non risulti - come nella fattispecie è accaduto - fraudolenta o consapevolmente forzata (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 50254 del 13/11/2015, Parodi, Rv. 265751).
2.4. Quanto alla denunciata violazione della disciplina sulla scriminante dell'esercizio del diritto di difesa, è sufficiente rilevare che la questione è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., perché, nei termini indicati, dedotta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione.
3. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
La difesa si è doluta dell'impiego, da parte della Corte territoriale, della tecnica del 'copia e incolla', avendo riproposto brani della motivazione della ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la c.d. "imputazione coatta" all'esisto della fase delle investigazioni.
E, tuttavia, oltre a richiamare alcune massime giurisprudenziali non pertinenti - perché riguardanti la peculiare materia delle motivazioni del tribunale chiamato a decidere sul riesame di provvedimento di applicazione di misure cautelari personali - il ricorrente ha finito per censurare una tecnica redazionale e espositiva che, di per sé sola, non è illegittima se, come nel caso di specie è accaduto, sia servita ad agevolare la riproduzione dei dati di conoscenza offerti dal processo, venendo però accompagnata dalla adeguata e autonoma analisi dei loro contenuti e dall'esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (in senso conforme, Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127).
D'altro canto, le questioni poste nell'atto di impugnazione, afferenti alla mancata considerazione da parte della Corte distrettuale di alcuni elementi fattuali segnalati nell'atto di impugnazione, hanno finito nella sostanza per confluire nei denunciati vizi di illogicità della motivazione, già esaminati nel punto che precede, cui si fa rinvio.
4. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile per aspecificità del suo contenuto.
Costituisce oramai ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l'omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (così, tra le molte, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, Mazzaferro, Rv. 271600; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, Graziano, Rv. 267561).
In tale ottica, va rilevato come la difesa dell'imputato, nel lamentare la mancata considerazione del contenuto di una memoria difensiva depositata dinanzi al giudice di primo grado, ha sostanzialmente omesso di confrontarsi con il tenore delle motivazioni delle due - conformi - sentenze di condanna di primo e di secondo grado: decisioni nelle quali il tenore di alcuni messaggini sms che il D.e la Viqliotta si erano scambiati non era stato valorizzato - in via logicamente indiziaria - per sostenere che quelle comunicazioni fossero intervenute prima che l'odierno ricorrente presentasse l'esposto calunniatore, bensì per asserire che il prevenuto non era stato credibile quando, nel corso del procedimento, aveva affermato di non aver mai saputo alcunché in ordine alle cure pediatriche alle quali il figlioletto era soggetto per i problemi all'organo genitale.
5. Il quarto motivo del ricorso è manifestamente infondato.
il ricorrente ha preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i giudici di merito avevano esercitato il potere discrezionale loro concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione della pena finale da infliggere all'imputato. Esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero D.in ordine all'esistenza dei presupposti di applicazione delle relative norme di riferimento.
Nella specie del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una riduzione della pena la oggettiva gravità della condotta calunniatrice, negativamente qualificata anche dalla scelta di realizzare il proposito criminoso sacrificando gli interessi del figlio minore: trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 cod. pen., applicabile anche ai fini dell'art. 62-bis cod. pen.
6. Quanto alla richiesta difensiva di declaratoria della prescrizione del reato, va rilevato come la stessa, maturatasi in epoca posteriore alla adozione della sentenza di appello, non possa essere dichiarata in ragione dell'accertata inammissibilità del gravame.
Sul punto questo Collegio non ha motivo per disattendere il consolidato principio di diritto secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione (così Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818-01; Sez. U; n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, RV. 217266).
7. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo; nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile C. V., liquidate, in ragione dell'attività effettivamente svolta, come indicato in dispositivo.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanze e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile V. C., che liquida in complessivi euro 3.510,00, oltre accessori di legge.