Il Giudice amministrativo accoglie il ricorso delle big tech che lamentavano l'avvio tardivo del procedimento con il quale l'Antitrust aveva individuato un'intesa anticoncorrenziale.
Con sentenza n. 12507 del 3 ottobre 2022, il TAR Lazio ha accolto il ricorso delle due big tech Apple e Amazon disponendo l'annullamento della maximulta irrogatagli nel 2021 dall'Antitrust per una supposta intesa anticoncorrenziale. Per la precisione, si parla di euro 134.530.405 poi ridotta, a seguito di successiva rettifica per errore, ad euro 114.681.657.
La controversia trae origine da una clausola del contratto stipulato tra Apple e Amazon nel 2018, che riservava la vendita di prodotti Apple/Beats (prodotti Apple), tramite il marketplace, di Amazon ai c.d. Apple Premium Resellers (la categoria di rivenditori che, all'interno del sistema di distribuzione di Apple, soddisfa i più alti standard di qualità ed investimenti - APR). Secondo le big tech ricorrenti l'accordo serviva per «contrastare la contraffazione che affliggeva i marketplace online in generale e quello di Amazon in particolare».
In sede di ricorso, le big tech lamentano il tardivo avvio del procedimento Antitrust, «tenuto conto che l'Autorità ha deliberato l'avvio dell'istruttoria solo il 21 luglio 2020, a distanza di circa un anno e mezzo dalla segnalazione, e che nell'arco di tale lasso di tempo non sono state compiute attività di particolare complessità che giustificassero la dilazione».
Per il TAR Lazio il motivo è fondato. «Dall'esame dello svolgimento dei fatti – si legge tra le osservazioni del Giudice - si evince, pertanto, che l'Agcm avrebbe potuto acquisire tutte le informazioni necessarie per tratteggiare gli elementi-base dell'illecito e, quindi, decidere se avviare o meno la successiva fase istruttoria in un lasso di tempo molto più limitato di quello effettivamente decorso, durante il quale non risultano essere state compiute attività. Tale circostanza si pone in contrasto con il rispetto dei principi di buon andamento ed efficienza dell'azione amministrativa, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati. Deve aggiungersi che il mancato rispetto di un termine ragionevole per l'avvio del procedimento antitrust rappresenta un vulnus particolarmente grave … soprattutto in quelle fattispecie, come la presente, ove viene contestata l'esistenza di una intesa "per oggetto", in cui il tempestivo avvio dell'istruttoria è di fondamentale importanza per impedire il protrarsi dell'attività ritenuta non compatibile con le regole poste a tutela della concorrenza e a correggere tempestivamente le condotte illecite degli operatori».
TAR Lazio, sez. I, sentenza (ud. 1° giugno 2022) 3 ottobre 2022, n. 12507
Svolgimento del processo
Con i ricorsi iscritti ai nn. 685, 686 e 687 del 2022 Apple Italia s.r.l., Apple Inc. e Apple Distribution International ltd. hanno impugnato il provvedimento del 16 novembre 2021, n. 29889, con il quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, all'esito del procedimento n. I-842 – Vendita prodotti Apple e Beats su Amazon marketplace, ha accertato che le ricorrenti hanno posto in essere un'intesa anticoncorrenziale in violazione dell'art. 101 TFUE e ha irrogato nei loro confronti una sanzione pecuniaria di euro 134.530.405, poi ridotta, a seguito di successiva rettifica, ad euro 114.681.657.
I tre ricorsi sono stati affidati alle medesime censure ed il solo gravame proposto da Apple Italia s.r.l. anche ad una censura specifica concernente il ruolo di tale società.
Le ricorrenti hanno dedotto che l’intesa anticoncorrenziale ravvisata dall’Autorità riguardava una clausola del contratto stipulato tra Apple e Amazon nel 2018, che aveva riservato la vendita di prodotti Apple/Beats (prodotti Apple), tramite il marketplace, di Amazon ai c.d. Apple Premium Resellers (la categoria di rivenditori che, all’interno del sistema di distribuzione di Apple, soddisfa i più alti standard di qualità ed investimenti - APR).
La clausola aveva l’obiettivo di contrastare la contraffazione che affliggeva i marketplace online in generale e quello di Amazon in particolare, limitando la vendita sui marketplace Amazon nella UE a 67 APR selezionati da Apple, così da avere la certezza che i consumatori potessero acquistare su tali marketplace solo e unicamente prodotti Apple originali e sicuri.
Grazie a tale limitazione, risultava grandemente ridotta la presenza di prodotti Apple contraffatti sul marketplace Amazon, e le vendite di prodotti Apple tramite il marketplace di Amazon in Italia erano aumentate in misura significativa in virtù dell’eliminazione della contraffazione, dell’ampliamento dell’offerta e di un incremento nella sicurezza.
In particolare, l’accordo concluso il 31 ottobre 2018 tra Apple e Amazon prevedeva, da un lato, la modifica del contratto esistente di fornitura con Amazon e, dall’altro, il Global Tenets Agreement (GTA); tale accordo aveva incrementato la fornitura di prodotti Apple ad Amazon ed affrontato le problematiche di contraffazione, introducendo la limitazione contestata.
Ad avviso dell’Agcm, questa limitazione sul marketplace integrava una violazione dell’art. 101 TFUE, concretizzando una violazione della concorrenza sia per oggetto, con la riduzione del numero di rivenditori terzi presenti in un canale di distribuzione rilevante, in assenza dell’adozione di un sistema di selezione basato su criteri qualitativi e non discriminatori, che per effetto, comportando una riduzione del numero di rivenditori terzi, della quantità di prodotti Apple venduti su Amazon.it da parte di rivenditori terzi, degli sconti e, infine, la cessazione delle vendite transfrontaliere di prodotti Apple su Amazon.
L’Agcm aveva, inoltre, ritenuto inapplicabile sia il Regolamento UE n. 330/2010, concernente l’esenzione dal divieto ex art. 101(1) TFUE di categorie di accordi verticali e pratiche concordate (VBER), sia l’eccezione prevista dallo stesso art. 101(3) TFUE, ed inflitto solidalmente nei confronti delle società Apple, ai sensi dell’art. 15 della legge 287/1990, una sanzione di euro 114.681.657, ordinando ad Apple e Amazon di cessare ed astenersi in futuro dalla condotta accertata.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1.Errata qualificazione della limitazione sul marketplace come restrizione per oggetto ai sensi dell’art. 101(1) TFUE, in violazione del carattere eccezionale dell’applicazione di tale nozione (Violazione dell’art. 101(1) TFUE; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; irragionevolezza e illogicità).
Secondo la consolidata giurisprudenza della CGCE la nozione di “restrizione per oggetto” andrebbe interpretata in senso restrittivo e si applicherebbe solamente a talune tipologie di infrazioni aventi un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario;
non potrebbe, pertanto, ricomprendere una condotta nuova e complessa come la limitazione oggetto dell’accordo stipulato tra Apple e Amazon.
Infatti, contrariamente al divieto assoluto imposto ai distributori autorizzati di ricorrere a Internet per la distribuzione dei prodotti oggetto di contratto, il divieto di servirsi di piattaforme di terzi non presenterebbe, secondo la giurisprudenza comunitaria, un tale grado di nocività per la concorrenza.
2. Errata qualificazione della limitazione come restrizione per oggetto ai sensi dell’art. 101(1) TFUE e della giurisprudenza Coty (violazione dell’art. 101(1) TFUE; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; irragionevolezza e illogicità).
Secondo la sentenza Coty della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sent. C230/2016), i marketplace ban potevano ritenersi legittimi ai sensi dell’art. 101 TFUE, a condizione che il prodotto in oggetto presentasse caratteristiche premium e le limitazioni fossero strumentali e proporzionate al fine di proteggere l’immagine e la reputazione dei prodotti in questione.
Alla luce di tali criteri, la limitazione oggetto del provvedimento sarebbe pienamente legittima ai sensi dell'art. 101(1) TFUE, non essendovi un divieto assoluto per i distributori autorizzati di vendere su Internet i prodotti oggetto del contratto, ed essendo ben possibile la vendita sui propri siti Internet o mediante piattaforme terze non autorizzate.
Secondo l’Agcm la limitazione non avrebbe soddisfatto il test di proporzionalità e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che Apple avrebbe potuto semplicemente richiedere a taluni rivenditori il rispetto dei medesimi standard qualitativi dei rivenditori ammessi, piuttosto che escluderli. Questa affermazione, tuttavia, non sarebbe supportata da alcuna prova diretta o indiretta.
In quarto luogo, l’Agcm aveva sottolineato che la limitazione risultava diversa da un marketplace ban, in quanto non prevista dagli accordi di fornitura tra Apple e i rivenditori ma all’interno di un contratto stipulato direttamente con il fornitore di servizi (il marketplace).
In subordine, le ricorrenti hanno chiesto che venga formulata richiesta di rinvio pregiudiziale sull’applicabilità nel caso concreto dei principi della citata sentenza Coty.
3. Errata qualificazione della limitazione sul marketplace come restrizione per oggetto ai sensi dell’art. 101(1) TFUE a causa della mancata considerazione del contesto giuridico ed economico (Violazione dell’art. 101(1) TFUE. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; travisamento dei fatti; irragionevolezza e illogicità).
Il provvedimento non avrebbe tenuto in considerazione il contesto economico e giuridico dell’accordo, omettendo di considerare le prove a sostegno delle ragioni che avevano portato all’introduzione della limitazione. Avrebbe, inoltre, omesso di valutare l’accordo nel contesto della relazione concorrenziale tra Apple e gli altri produttori di dispositivi di elettronica come Samsung, Huawei, etc. (inter-brand competition) e si sarebbe, invece, concentrata esclusivamente sul più ridotto segmento costituito dai soli rivenditori di prodotti Apple (intra-brand competition).
Infine, l’Autorità avrebbe omesso di considerare la natura verticale dell’accordo Apple/Amazon e il fatto che i rivenditori ammessi alla vendita sul marketplace Amazon erano stati scelti in base a criteri oggettivi e qualitativi e senza alcuna discriminazione.
4. Errata qualificazione della limitazione sul marketplace come una restrizione per oggetto ai sensi dell’art. 101(1) TFUE in quanto restrizione territoriale (Violazione dell’art. 101(1) TFUE. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; travisamento dei fatti; irragionevolezza e illogicità).
Il provvedimento avrebbe erroneamente affermato che la limitazione determinava una restrizione territoriale, mentre in realtà a qualsiasi rivenditore era riconosciuta espressamente la piena libertà di vendere in tutta la UE.
5. Errata qualificazione della limitazione sul marketplace come restrizione per effetto ai sensi dell’art. 101(1) TFUE (Violazione dell’art. 101(1) TFUE. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione; travisamento dei fatti; irragionevolezza ed illogicità).
Il provvedimento avrebbe ignorato che l’effetto dell’accordo Apple/Amazon era stato di generare un aumento sostanziale nei volumi e nella qualità dei prodotti Apple venduti sul marketplace di Amazon; inoltre, non sarebbe stato dimostrato che la limitazione aveva avuto come effetto un aumento dei prezzi per i prodotti Apple.
Al riguardo, l’Autorità non avrebbe tenuto in considerazione gli effetti della limitazione sui prezzi di prodotti Apple venduti (online e offline) nel contesto concorrenziale sia intra-brand, sia inter-brand; inoltre, anche all’interno del ridotto segmento erroneamente individuato (vendita di prodotti Apple/Beat solo sul marketplace di Amazon), avrebbe irragionevolmente considerato esclusivamente le vendite di rivenditori nel marketplace ma non quelle di Amazon, che è anch’esso un rivenditore di prodotti Apple sul suo marketplace.
L’Agcm aveva poi sostenuto che non era necessaria, nel caso di specie, un’analisi volta a definire il mercato rilevante del prodotto; di contro, una corretta definizione del mercato e la relativa analisi delle quote di mercato sarebbero state necessarie per la valutazione dell’oggetto, e ancora più degli effetti, dell’accordo. La mancanza di tale analisi evidenzierebbe un difetto di istruttoria del provvedimento.
6. Errata esclusione dell’esenzione della VBER (Violazione dell’art. 101 TFUE e del Regolamento UE n. 330/2010. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione; travisamento dei fatti; irragionevolezza e illogicità).
L’Autorità avrebbe illegittimamente escluso l’applicazione dell’esenzione prevista dal Regolamento UE n. 330/2010 per le intese verticali, ritenendo che l’accordo in questione non potesse essere qualificato come verticale, poiché Amazon e Apple sarebbero concorrenti nella produzione e distribuzione di prodotti di elettronica.
Di contro, Amazon ed Apple non sarebbero concorrenti sul piano della produzione: i dispositivi di Apple e Amazon non sarebbero prodotti sostituibili ma piuttosto complementari, alla luce della grande differenza di prezzo, nonché delle funzionalità tra loro molto diverse, mentre la concorrenza nella fase della distribuzione non escluderebbe l’applicazione dell’esenzione.
7. Errata esclusione dell’applicazione dell’art. 101(3) TFUE (Violazione dell’art. 101(3) TFUE. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione; irragionevolezza e illogicità).
La limitazione in questione, anche ove considerata una restrizione ex art. 101(1) TFUE, potrebbe beneficiare dell’eccezione prevista dalla disposizione citata in quanto soddisferebbe le quattro condizioni ivi previste, ovvero il miglioramento delle condizioni di mercato, l’indispensabilità ai fini della migliore efficienza distributiva, il beneficio per i consumatori e l’assenza di una sostanziale eliminazione della concorrenza.
8. Errata inclusione di Apple Italia s.r.l. fra le società responsabili (Violazione dell’art. 3 l. 689/1981 e dei principi costituzionali, UE e della CEDU in materia di responsabilità personale. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; travisamento dei fatti; irragionevolezza e illogicità).
Il provvedimento avrebbe erroneamente esteso la responsabilità per l’illecito anche alla società Apple Italia, in assenza di prove a carico della stessa.
9. Errata determinazione della sanzione (Violazione dell’art. 11 l. 689/1981, dell’art. 15 l. 97/1990 e delle Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; irragionevolezza e illogicità).
L’Agcm avrebbe erroneamente individuato l’importo base per il calcolo della sanzione facendo riferimento al “valore delle vendite on-line dirette dei prodotti a marchio Apple e Beats in Italia [...] [nel] 2020…”.
Dal momento, tuttavia, che il par 8 delle Linee guida sulle sanzioni imporrebbe di considerare il “…valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o In direttamente, dell’infrazione…”, ciò avrebbe comportato la necessità di prendere in considerazione esclusivamente i ricavi derivanti dalla relazione verticale tra Apple e Amazon e dalla limitazione sul marketplace, ovvero soltanto i ricavi derivanti dalle vendite di prodotti Apple e relativi all’accordo Apple/Amazon.
Sarebbero stati determinati erroneamente, altresì, la percentuale sui ricavi e l’aumento della sanzione a fini di deterrenza, e non sarebbero state concesse le circostanze attenuanti, che invece sarebbero spettate alle ricorrenti in considerazione della condotta collaborativa tenuta.
10. Violazione del contraddittorio nel procedimento e la conseguente compressione del diritto di difesa (Violazione degli artt. 7 e 14-ter l. 287/1990, artt. 7 e 14 d.P.R. 217/1998; violazione del principio di proporzionalità, buona fede ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990; eccesso di potere per irragionevolezza ed ingiustizia manifesta; violazione art. 6, co. 3, lett. a) e b), CEDU).
L’Autorità aveva previsto un termine di soli 46 giorni per le difese di Apple nel procedimento, impedendole di esercitare il proprio diritto di difesa.
Con ricorso n.r.g. 761/2022 Amazon Italia Services s.r.l., Amazon.com inc., Amazon Services Europe s. à r.l., Amazon Europe Core s. à r.l. e Amazon Eu s. à r.l. hanno impugnato il medesimo provvedimento del 16 novembre 2021, che ha loro irrogato la sanzione di euro 68.733.807.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1. Tardività dell’avvio del procedimento: violazione dell’art. 14, l. n. 689/1981 e del principio di giusta durata del procedimento, nonché dei principi di efficienza, economicità e tempestività dell’azione amministrativa di cui alla l. n. 241/1990.
L’Autorità avrebbe disposto di tutti gli elementi poi considerati sin dal 22.2.2019, quando aveva ricevuto la segnalazione di Digitech avente ad oggetto il contratto del 31.10.2018; nel periodo tra il 22.2.2019 e la data in cui l’avvio del procedimento era stato notificato (luglio 2020), non sarebbe stata svolta alcuna attività istruttoria, se non la semplice acquisizione di screenshot e il salvataggio di documenti scaricati da Internet il 4.6.2020 (comunque oltre il termine previsto dall’art. 14 della l. 689/81).
2. Violazione del contraddittorio in relazione alle informazioni rilevanti per la sua difesa. Violazione dell’art. 14, l. n. 287/90 e degli artt. 13-14, d.P.R. n. 217/98;
violazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e del principio di separazione tra istruttoria e decisione.
La comunicazione delle risultanze istruttorie e il provvedimento includevano talune informazioni essenziali per il diritto di difesa solo sotto forma di “forcelle” tra un valore minimo e uno massimo, così ampie da vanificare il diritto di difesa; inoltre, l’Autorità aveva negato il contraddittorio su ulteriori informazioni necessarie alla sua difesa e che erano state oggetto di una “data room” nel corso del procedimento, cui Amazon non aveva avuto accesso.
3. Irragionevolezza del termine a difesa. Violazione degli artt. 14, comma 1, l. n. 287/90 e 14, d.P.R. n. 217/98; violazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e del principio di separazione tra istruttoria e decisione; eccesso di potere per irragionevolezza manifesta, contrasto con precedenti provvedimenti, difetto di motivazione.
Il regolamento sulle procedure istruttorie prevedeva come termine inderogabile minimo quello dei 30 gg. dalla chiusura dell’istruttoria per assicurare le difese delle parti soggette ad essa (art. 14, commi 2 e 4, d.P.R. n. 217/98); in casi di notevole complessità l’Agcm aveva concesso in passato un termine congruo, sensibilmente superiore al limite minimo.
Nel caso di specie, invece, il giorno dopo aver comunicato il rigetto degli impegni, gli Uffici avevano trasmesso la CRI, la quale assegnava un termine strettamente allineato a quello minimo normativo (30 giorni), decorso interamente in agosto e in seguito esteso in modo limitatissimo (di soli 15 giorni), insufficiente al fine di garantire ad Amazon l’esercizio dei propri diritti di difesa, alla luce della notevole complessità del caso oltre che del mancato accesso a fondamentali dati economici.
L’Agcm avrebbe, invece, impiegato 12 mesi per svolgere la sua istruttoria (senza considerare i 17 mesi di preistruttoria), autoassegnandosi un ulteriore termine di 3 mesi (poi ridotto a 2,5) per rispondere alle osservazioni delle parti, ed avrebbe lasciato a queste poco più di 30 giorni per difendersi, così violando anche il principio di parità delle armi.
4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, difetto o comunque incompletezza dell’istruttoria, carenza e, comunque, manifesta insufficienza della motivazione, disparità di trattamento nonché illogicità manifesta e contraddittorietà in relazione all’accertamento di una responsabilità in capo ad Amazon.
Per la sottoscrizione del contratto, Apple aveva richiesto che i soli venditori ammessi a commercializzare i prodotti Apple su Amazon fossero quelli autorizzati; tale limitazione sarebbe stata posta quale condicio sine qua non dell’accordo e, pertanto, Apple non avrebbe autorizzato Amazon a rifornirsi direttamente dei prodotti Apple se non a fronte dell’accettazione della stessa.
Gli orientamenti nazionali e comunitari, in materia di restrizioni verticali, non ritenevano responsabili i distributori (al contrario dei fornitori), nonostante essi fossero chiaramente parti dell’accordo che contiene le restrizioni verticali, tanto da non coinvolgerli nemmeno nel procedimento di accertamento della violazione;
nell’ambito dell’accordo contestato, a differenza di quanto sostenuto dall’Autorità, rilevava il ruolo di distributore di Amazon, con conseguente sua esenzione da responsabilità.
Inoltre, Amazon non avrebbe ottenuto alcun compenso da Apple, né alcun profitto, per l’implementazione della limitazione.
5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifesta in ragione dell’insussistenza della restrizione della concorrenza imputata alle parti.
Amazon ed Apple non avrebbero limitato le vendite transfrontaliere, espressamente consentite dal contratto; la riduzione del numero dei venditori terzi ammessi al marketplace non configurerebbe di per sé una restrizione della concorrenza, né per oggetto né per effetto.
Non per oggetto, poiché il fatto che alcuni operatori escano dal mercato sarebbe, di per sé, neutro da un punto di vista concorrenziale, salva la dimostrazione che tale uscita si traduca in un danno per i consumatori, da escludersi nella specie in quanto i venditori esclusi dal contratto sarebbero stati una percentuale molto limitata (solo il 3%) delle vendite complessive di prodotti Apple in Italia e, comunque, avrebbero potuto vendere prodotti Apple nuovi in tutti i canali disponibili alternativi al markeplace; né per effetto, poiché l’Agcm non avrebbe considerato i benefici che il contratto aveva apportato ai consumatori.
6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, incompletezza e difetto di istruttoria, carenza e, comunque, manifesta insufficienza della motivazione nonché illogicità manifesta e contraddittorietà in relazione alla definizione dei mercati rilevanti.
Il mercato in cui operano i venditori non potrebbe essere limitato a quello dei servizi di intermediazione per la vendita su marketplace, perché la maggior parte dei venditori potrebbe sostituire il marketplace con canali alternativi, compresi (tra gli altri) i negozi online proprietari, nonché i negozi fisici, e le evidenze dimostrerebbero che i clienti acquistano su molteplici canali di vendita e utilizzano in modo intercambiabile i marketplace e le altre opzioni di vendita, sia online sia offline.
7. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, incompletezza e difetto di istruttoria, carenza e, comunque, manifesta insufficienza della motivazione nonché illogicità e contraddittorietà in relazione alla teoria di limitazione degli sbocchi.
L’Agcm aveva sostenuto che il perimetro dell’indagine riguardava una preclusione degli sbocchi commerciali, dipendente dalla limitazione dell’accesso al marketplace Amazon.it, il quale rappresenterebbe “un imprescindibile sbocco per le vendite online”; di contro, i venditori avrebbero continuato a vendere prodotti di elettronica su Amazon e i prodotti Apple al di fuori di esso, con un rilevante aumento delle vendite intervenuto anche dopo la stipula dell’accordo.
8. Violazione e falsa applicazione del Reg. UE n. 330/2010 e dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria e di motivazione, nonché illogicità, ingiustizia manifesta e contraddittorietà in ragione della mancata applicazione al contratto dell’esenzione di cui al Reg. 330/2010.
L’accordo contestato regolamentava un rapporto verticale, per effetto del quale Apple (produttore dei prodotti Apple) concedeva ad Amazon (distributore di prodotti Apple) la possibilità di commercializzare i propri prodotti sul suo marketplace.
Di conseguenza, la valutazione della conformità del contratto (e della limitazione) alle regole concorrenziali non poteva prescindere dalla verifica dell’applicabilità al contratto stesso del Regolamento UE n. 330/2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101(3) TFUE a categorie di accordi verticali.
L’Agcm aveva sostenuto che l’esenzione di cui al Regolamento non si applicherebbe in quanto Amazon deterrebbe una quota superiore al 30% nel mercato della vendita al dettaglio di prodotti di elettronica di consumo su internet e, quindi, supererebbe la soglia fissata per l’applicabilità del Regolamento stesso; tale riferimento sarebbe, però, inconferente, in quanto il superamento della soglia in questione avrebbe dovuto essere verificato, come stabilisce l’art. 3§1 del Regolamento, con riferimento al mercato in cui il fornitore “vende i beni oggetto del contratto” e al mercato in cui l’acquirente “acquista i beni o servizi oggetto del contratto”; pertanto, una corretta applicazione del Regolamento avrebbe richiesto la considerazione delle quote delle parti nel mercato a monte dell’approvvigionamento di prodotti Apple.
Al contrario, il mercato che l’Agcm avrebbe utilizzato per escludere l’applicabilità del Regolamento (come detto, il mercato della vendita al dettaglio di prodotti di elettronica di consumo su internet) rappresenterebbe il mercato in cui l’acquirente (cioè Amazon) vende i beni oggetto del contratto e, pertanto, non rientrerebbe tra quelli rilevanti ai fini dell’applicabilità del Regolamento.
Quanto al fatto che il Regolamento non si applicherebbe posto che la “restrizione in esame […] non [sarebbe] relativa alle condizioni in base alle quali Amazon può acquistare, vendere o rivendere i beni forniti da Apple”, le ricorrenti hanno dedotto che la stessa Autorità avrebbe riconosciuto che la limitazione in questione rappresentava la principale condizione imposta da Apple per consentire ad Amazon l’acquisto e la rivendita dei prodotti Apple.
Infine, il requisito della reciprocità delle condizioni dell’accordo, che effettivamente precluderebbe la possibilità di applicare il Regolamento, riguarderebbe, diversamente dal caso di specie, le ipotesi in cui ciascuna parte è l’acquirente e il fornitore dell’altra parte nello stesso segmento di mercato rilevante, e non il contenuto negoziale.
9. Illegittimità e iniquità della sanzione e del suo ammontare. Violazione degli artt. 15, l. n. 287/1990 e 11, l. n. 689/1981; eccesso di potere per travisamento dei fatti, mancata/erronea valutazione delle risultanze istruttorie, illogicità e contraddittorietà manifeste, disparità di trattamento, carenza di motivazione e violazione del principio di proporzionalità in relazione all’imposizione di una sanzione ad Amazon e alla determinazione del suo ammontare.
Il provvedimento avrebbe illegittimamente preso in considerazione non solo il fatturato generato da Amazon nella vendita di servizi di intermediazione su marketplace per prodotti Apple, ma anche quello derivante dalle sue vendite dirette di prodotti Apple, cioè a dire esattamente i ricavi derivanti dal rapporto di distribuzione tra Apple e Amazon che l’AGCM stessa aveva affermato non essere oggetto del procedimento. Illegittima sarebbe, altresì, la determinazione della percentuale della sanzione e dell’aumento per la deterrenza, oltre all’individuazione del periodo di durata della condotta e alla mancata concessione delle attenuanti del mercato.
Si è costituita in tutti i giudizi l’Autorità garante della concorrenza e del mercato resistendo al ricorso.
Ha spiegato intervento ad opponendum in tutti i giudizi la IT Store s.r.l.
Alla pubblica udienza del 1° giugno 2022 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, con i quali è stato impugnato il medesimo provvedimento sanzionatorio, avente ad oggetto l’accordo stipulato tra le parti ricorrenti per la limitazione ad alcuni venditori autorizzati della vendita di prodotti Apple sul marketplace Amazon.
Per ragioni di ordine logico devono essere previamente esaminate le censure di ordine formale, relative alla violazione del termine per l’avvio del procedimento e dei termini a difesa previsti a favore delle parti per la presentazione di memorie difensive e documenti.
La prima censura proposta con il ricorso di Amazon Italia Services s.r.l., Amazon.com inc., Amazon Services Europe s. à r.l., Amazon Europe Core s. à r.l. e Amazon Eu s. à r.l., afferente la violazione del termine per l’avvio del procedimento, è fondata.
Le ricorrenti hanno contestato la violazione dell'art. 14 l. n. 689/81, secondo il quale: "La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento".
Sul tema della diretta applicabilità dell'art. 14 della legge n. 689/1981 ai procedimenti dell'Agcm si sono formati, in giurisprudenza, due diversi orientamenti.
Secondo alcune pronunce, i termini perentori previsti dall'art. 14 l. n. 689/1981 non sarebbero applicabili, avendo tale norma carattere suppletivo in assenza di una disciplina speciale, nel caso di specie costituita da quella prevista per i procedimenti di competenza dell'Autorità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 dicembre 2021, n. 8492 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Altro orientamento ritiene l'art. 14 dotato di applicazione generale, dal momento che, in base all'art. 12 della medesima legge, il termine decadenziale ivi previsto deve essere osservato con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è applicata la sanzione del pagamento di una somma di danaro.
Questo secondo orientamento si è formato, in particolare, in relazione ai procedimenti in materia di tutela della concorrenza avviati dall'Autorità e tiene conto della circostanza che la regolamentazione delle procedure in questione, contenuta nel d.P.R. n. 217/1998, non reca indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti (Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020 n. 512). Secondo questa tesi, inoltre, poiché il decorso dei novanta giorni è collegato dall'art. 14 della legge n. 689 del 1981 non già alla data di commissione della violazione bensì al tempo di accertamento dell'infrazione, non si deve fare riferimento, per il relativo computo, alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità ma all'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti.
Il Collegio ritiene, tuttavia, di confermare il proprio orientamento secondo cui il termine decadenziale di cui all'art. 14 L. 689/1981 non trova diretta applicazione nei procedimenti antitrust in relazione alla durata della fase istruttoria. Ciò in quanto il richiamo operato dall'art. 31 della L. 287/1990, pur nei termini dell'applicabilità delle disposizioni del Capo I, Sez. I e II, L. 689/1981, vale ai soli fini delle sanzioni amministrative pecuniarie, ma non per la disciplina della fase istruttoria del procedimento, in relazione alla quale la fattispecie è distintamente e autonomamente regolata (da ultimo TAR Lazio, sez. I, 18 luglio 2022, n. 10148; 24 marzo 2022, n. 3334; 28 luglio 2017, n. 9048).
Deve anche tenersi conto della assoluta peculiarità dei procedimenti antitrust, che sommano una pluralità di attività, non solo di applicazione della sanzione pecuniaria ma anche di accertamento dell'illecito e di inibizione alla cessazione degli effetti.
Non si può, pertanto sostenere che all'Agcm sia precluso, in forza dell'applicazione di termini decadenziali, l'esercizio del potere di avviare un'istruttoria e accertare un illecito antitrust, al fine di ripristinare le condizioni di legalità nel mercato interessato.
Fatta questa premessa circa la non diretta applicabilità del termine decadenziale di cui all'art. 14 della l. n. 689/1981, si osserva che, quanto alla durata della fase preistruttoria, né la legge n. 287/1990 né il Regolamento dell'Autorità in materia di procedure istruttorie individuano un termine massimo per la sua durata.
La Sezione, tuttavia, ha già affermato che la non applicabilità diretta del termine di cui all'art. 14 cit. non può giustificare il compimento di un’attività preistruttoria che si prolunghi per un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo e ingiustificatamente prolungato, poiché un simile modus operandi sarebbe in aperto contrasto con i principi positivizzati nella legge n. 241/90 e, più in generale, con l'esigenza di efficienza dell'agire amministrativo e di certezza del professionista sottoposto al procedimento (cfr., tra le pronunce più recenti in tal senso, Tar Lazio, sez. I, 24 novembre 2020 n. 12532).
In proposito, è opportuno ricordare, quali riferimenti interpretativi, anche i principi generali di cui all'art. 6 CEDU e all'art. 41 della Carta Fondamentale dei diritti UE, che costituiscono parametri imprescindibili. Ebbene, dalla lettura di questi non può che desumersi l'obbligo per l'Autorità competente di accertare una violazione del diritto antitrust e di applicare le relative sanzioni procedendo all'avvio della fase istruttoria entro un termine ragionevolmente congruo, in relazione alla complessità della fattispecie sottoposta, a pena di violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguerne l'operato (in termini, Tar Lazio, sez. I, 12 giugno 2018, n. 6525, conf. da Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512).
Resta fermo, come più volte rammentato dalla giurisprudenza di questa Sezione, che, ai fini della valutazione della congruità del tempo di accertamento dell'infrazione, ciò che rileva, quale termine iniziale, non è la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza a sua volta implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell'acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione (Tar Lazio, n. 6525/2018 cit.).
Come rilevato anche dal giudice amministrativo di secondo grado, pertanto, in linea generale si può convenire sulla legittimità della condotta dell'Autorità antitrust che deliberi l'avvio dell'istruttoria a distanza di vari mesi - ma non di vari anni – dalla segnalazione della possibile infrazione, a condizione che la stessa valutazione dell'esigenza di avviare o meno l'istruttoria si presenti complessa (Cons. Stato n. 512/2020 cit.).
Nella fattispecie, all’Autorità è pervenuta il 22 febbraio 2019 la segnalazione della ditta Digitech che rappresentava che, in esecuzione di un accordo commerciale che sarebbe intercorso tra i gruppi Apple e Amazon alla fine del 2018, quest’ultima aveva rimosso dal marketplace italiano tutti i venditori che, sebbene vendessero legittimamente tali prodotti, non appartenevano al programma ufficiale di rivenditori autorizzati Apple (rivenditori non ufficiali). Tali venditori fino a quel momento avevano offerto i prodotti Apple e Beats tramite il marketplace di Amazon.
La segnalazione della Digitech risale, come detto, al 22 febbraio 2019, mentre la notifica dell’avvio dell’istruttoria è intervenuta il 21 luglio 2020, sicché sono decorsi circa 17 mesi dalla denuncia al momento dell’avvio del procedimento; in tale periodo non risulta che l’Agcm abbia compiuto verifiche di qualsivoglia natura.
È pacifico, infatti, che l’unica attività preistruttoria svolta è stata l’acquisizione tramite internet dei profili aziendali di alcuni distributori e di alcune statistiche sull’ecommerce, avvenuta il 4 giugno 2020 e, dunque, dopo 16 mesi dalla ricezione della denuncia; effettuati tali accertamenti, dopo circa un mese e mezzo è stato avviato il procedimento.
Sul punto l’Agcm non ha svolto contestazioni, avendo sostenuto, invece, la non applicabilità al procedimento in questione dei termini previsti dall’art. 14 della l. n. 689/81.
Dall’esame dello svolgimento dei fatti si evince, pertanto, che l'Agcm avrebbe potuto acquisire tutte le informazioni necessarie per tratteggiare gli elementi-base dell'illecito e, quindi, decidere se avviare o meno la successiva fase istruttoria in un lasso di tempo molto più limitato di quello effettivamente decorso, durante il quale non risultano essere state compiute attività. Tale circostanza si pone in contrasto con il rispetto dei principi di buon andamento ed efficienza dell'azione amministrativa, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati.
Deve aggiungersi che il mancato rispetto di un termine ragionevole per l'avvio del procedimento antitrust rappresenta un vulnus particolarmente grave dei surriferiti principi e dell'interesse dell'operatore che opera nel mercato alla rapidità della formulazione della contestazione, soprattutto in quelle fattispecie, come la presente, ove viene contestata l'esistenza di una intesa "per oggetto", in cui il tempestivo avvio dell'istruttoria è di fondamentale importanza per impedire il protrarsi dell'attività ritenuta non compatibile con le regole poste a tutela della concorrenza e a correggere tempestivamente le condotte illecite degli operatori (Tar Lazio, sez. I, 9 luglio 2021, n. 7795).
Dunque, tenuto conto che l'Autorità ha deliberato l'avvio dell'istruttoria solo il 21 luglio 2020, a distanza di circa un anno e mezzo dalla segnalazione, e che nell’arco di tale lasso di tempo non sono state compiute attività di particolare complessità che giustificassero la dilazione, la censura di tardivo avvio del procedimento antitrust è fondata.
Del pari fondata è la terza censura del ricorso Amazon, enunciata come ultima censura anche nei ricorsi di Apple Italia, s.r.l., Apple Inc. e Apple Distribution International ltd., concernente la violazione del diritto di difesa a causa del termine eccessivamente ridotto assegnato alle parti per le proprie osservazioni conclusive.
Il regolamento sulle procedure istruttorie prevede, infatti, un termine inderogabile minimo di 30 giorni dalla chiusura dell’istruttoria per consentire alle parti di controdedurre sulle acquisizioni istruttorie.
Nel caso di specie, con la comunicazione delle risultanze istruttorie, del 30 luglio 2021, è stato assegnato un termine coincidente con quello minimo regolamentare, che scadeva il 30 agosto 2021; a seguito della richiesta di proroga avanzata dalle parti, il termine è stato esteso di 15 giorni, fino alla metà di settembre.
Tuttavia, l’accesso ai dati relativi all’analisi economica ha avuto luogo mediante l’organizzazione di un’apposita data room da parte dell’Agcm, che ha avuto luogo il 24 agosto 2021, di modo che le parti hanno potuto avere un quadro completo dei dati economici menzionati nella CRI soltanto quando gran parte del termine era ormai decorso sicché, per effetto anche della proroga, residuavano soltanto 20 giorni per approntare le difese.
Se si considera la complessità delle analisi svolte e l’importo della sanzione irrogata, che è risultata una delle più alte applicate dall’Autorità, e si raffronta il tempo assegnato alle parti con la durata della fase preistruttoria (17 mesi, come visto) e istruttoria (16 mesi, dal luglio 2020 al novembre 2021), la compressione del diritto di difesa appare evidente, anche tenuto conto che il termine, pari al minimo, inizialmente assegnato è in gran parte decorso prima che avesse luogo la data room, di tal che lo spazio effettivamente destinato alla predisposizione delle memorie di parte è, sostanzialmente, coinciso con il periodo della proroga di 15 giorni.
Non solo, ma va anche evidenziato che il termine assegnato nella fattispecie risulta grandemente inferiore a quello concesso dalla stessa Agcm in altri procedimenti che, in molti casi di analoga complessità, ha superato ampiamente i 100 giorni, come indicato dalle parti ricorrenti senza che sul punto siano state sollevate contestazioni ex adverso.
Lo spazio difensivo assicurato nel caso di specie deve quindi ritenersi inidoneo a garantire l’effettivo esplicarsi del contraddittorio.
Si consideri, al riguardo, che il termine viene assegnato con la comunicazione delle risultanze istruttorie e, quindi, dovrebbe consentire alle parti interessate di mettere a punto i propri scritti difensivi dopo avere avuto conoscenza di tutti gli elementi ritenuti dall’Autorità rilevanti per l’adozione del provvedimento finale: proprio per tale motivo l’art. 14 del d.P.R. 217/98 stabilisce che alle parti sia assegnato un termine minimo di 30 giorni prima della chiusura della fase istruttoria per presentare memorie scritte e documenti.
La previsione di un minimo, e non di un massimo, conferisce evidentemente all’Autorità la discrezionalità di modulare tale termine, ampliandolo nei casi più gravi e di maggiore complessità, quale non può negarsi fosse quello in esame.
Ed infatti la prassi dell’Autorità è nel senso di assegnare un termine sensibilmente maggiore del minimo previsto dalla disposizione citata, soprattutto nei casi di accertamenti complessi, al fine di assicurare alle parti uno spazio adeguato per replicare alle contestazioni mosse loro e per confutare le acquisizioni istruttorie, anche mediante la produzione di ulteriore documentazione.
Nella specie, invece, il termine assegnato, che inizialmente era pari a quello minimo, si palesa già di per sé del tutto insufficiente al fine di replicare ad una contestazione dispiegata in un documento di oltre 100 pagine, con la comunicazione delle risultanze istruttorie.
Anche considerando come spazio utile il periodo di agosto, non essendo espressamente prevista alcuna sospensione, non può non rilevarsi che in tale periodo sarebbe stato indubitabilmente molto più arduo raccogliere eventuali documenti da produrre a confutazione di quelli acquisiti ed utilizzarli per dispiegare le argomentazioni difensive.
Risulta pertanto evidente che lo spazio temporale concesso sia stato eccessivamente breve e, pertanto, effettivamente lesivo delle esigenze difensive, da parametrarsi necessariamente su un procedimento di rilevante complessità quale quello in esame.
Tale eccessiva brevità risulta, a fortiori, ingiustificata a fronte della durata complessiva e della rilevanza del procedimento, concluso dopo circa due anni e mezzo dalla segnalazione e tre dalla conclusione dell’accordo.
Anche sotto tale profilo, quindi, le censure si palesano fondate.
I ricorsi devono quindi essere accolti e, per l'effetto, annullato il provvedimento impugnato.
La peculiarità e complessità della controversia giustificano, comunque, la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.