…gli organi fallimentari manifestano disinteresse rispetto ai suoi diritti patrimoniali.
Se, invece, la questione riguarda l'impugnativa di atti della procedura, il rimedio esperibile è quello del reclamo fallimentare.
La Corte d'Appello di Milano respingeva il gravame proposta dalla fallita srl in liquidazione contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibili le domande proposte dalla medesima, “in surroga” del curatore, nei confronti delle convenute. Tali domande erano dirette a sentire accertare la nullità dell'atto “di convenzione e...
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 9 aprile 2018, ha respinto l’appello proposto dalla fallita I. s.r.l. in liquidazione contro la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibili le domande proposte dalla società, “in surroga” del curatore, nei confronti di C.V. s.p.a., M, s.p.a. e B. B. s.p.a. (aggiudicatarie di tre distinte porzioni, poste in vendita in lotti separati, dell’area industriale di proprietà di I. acquisita alla procedura), dirette a sentire accertare la nullità dell’atto “ di convenzione e divisione” stipulato il 19 marzo 2004 fra le convenute e il curatore, col quale i singoli lotti erano stati ridefiniti mediante assegnazione delle aree urbane circostanti di pertinenza rimaste in comunione indivisa, e ad ottenere il risarcimento del danno. La corte del merito - premesso che il Fallimento I. non poteva ritenersi chiuso, essendo ancora pendente in cassazione il ricorso proposto da M. di L. contro il provvedimento di rigetto del reclamo dalla stessa avanzato avverso il decreto di chiusura del 16 aprile 2015 - ha osservato che la società fallita avrebbe avuto il potere di agire in surroga del curatore solo nel caso in cui questi fosse rimasto inerte, e sempre che la sua inattività fosse stata indotta da un suo totale disinteresse, e non già determinata da una sua negativa valutazione in ordine alla convenienza della controversia. Ha quindi rilevato che, nella specie, la mancata proposizione da parte del curatore delle domande avanzate dalla fallita non poteva ritenersi effetto del suo disinteresse alla definizione dei rapporti ai quali le domande stesse si riferivano, ma costituiva, piuttosto, «la conseguenza di una valutazione negativa circa la convenienza e la fondatezza della formulazione di contestazione relativamente ai rapporti stessi». Ha precisato al riguardo che il curatore del fallimento aveva concorso alla definizione dei confini tra le singole porzioni immobiliari delle quali I. era rimasta proprietaria e quelle di cui più non lo era: tanto escludeva, che dell’assetto dato ai cespiti restati nel dominio della fallita lo stesso organo si fosse disinteressato (tale assetto costituendo, anzi, la conseguenza di una determinazione che era stata assunta anche dall’ufficio fallimentare). Ha aggiunto che l’appellante avrebbe «avuto modo di precludere la realizzazione degli effetti di quanto così [era] stato posto in essere dal curatore del fallimento della s.r.l. I. in liquidazione mediante la proposizione di un reclamo contro il provvedimento del Giudice delegato con il quale [risultava] essere stata autorizzata la conclusione del negozio».
2. I. s.r.l in liquidazione ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi di censura.
C.V. s.p.a. ¿ cui è subentrata, a seguito di fusione per incorporazione, C.A.I. s.p.a. ¿, M. s.p.a. e B. B. s.p.a. hanno resistito all’impugnazione con separati controricorsi.
I. e M. hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 l. fall. e della giurisprudenza in materia di legittimazione surrogatoria del fallito. Si deduce che il Giudice di appello avrebbe dovuto verificare se, a prescindere dalla sottoscrizione dell’atto impugnato da parte del curatore, quest’ultimo avesse manifestato o meno il proprio disinteresse quanto ai diritti presi in considerazione da tale atto. Si osserva che la corte di appello si era limitata a postulare la non configurabilità in astratto di un interesse della curatela alla contestazione dell’assetto di interessi determinato dalla divisione.
Il secondo motivo prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo la ricorrente, la corte distrettuale avrebbe mancato di considerare due circostanze: la missiva con la quale il curatore fallimentare aveva comunicato al suo liquidatore che, essendo l’attivo recuperato ampiamente sufficiente al soddisfacimento del passivo, la procedura non aveva alcun interesse a intraprendere azioni risarcitorie, che quindi potevano essere lasciate all’iniziativa del legale rappresentante della società; il contegno assunto dal curatore fallimentare all’udienza tenutasi il 17 marzo 2015, in cui lo stesso, senza costituirsi e senza opporsi alla domanda attrice, aveva precisato che la procedura era in corso di chiusura, a giustificazione del proprio volontario e consapevole disinteresse al giudizio in corso.
2. I due motivi sono privi di fondamento.
Come è noto, la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell'art. 43 l. fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore: se, però, l'amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l'inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando essa consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (Cass. 2 febbraio 2018, n. 2626; Cass. 6 luglio 2016, n. 13814; cfr. pure: Cass. 25 ottobre 2013, n. 24159; Cass. 20 marzo 2012, n. 4448; Cass. 22 luglio 2005, n. 15369).
I., coi due motivi del ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente, fa discendere il disinteresse del curatore da due evenienze: la comunicazione di questi, datata 21 ottobre 2014, circa l’assenza, in capo alla procedura, di «alcun interesse ad intraprendere azioni risarcitorie» e la dichiarazione resa dallo stesso all’udienza del 17 marzo 2015: dichiarazione con cui, in sintesi, si correlava l’inerzia dell’ufficio fallimentare al fatto che «la procedura era in corso di chiusura».
Così facendo, la ricorrente porta l’attenzione sull’atteggiamento tenuto dalla curatela rispetto all’ impugnativa del contratto di divisione, ritenendo che assuma rilievo il disinteresse manifestato dall’ufficio fallimentare quanto alla detta iniziativa giudiziaria.
Quel che conta è, invece, il disinteresse manifestato dagli organi fallimentari rispetto ai diritti patrimoniali del fallito: ed è indubbio che nella controversia in esame un tale disinteresse non si prospetti affatto, dal momento che il curatore ha disposto delle aree pertinenziali ancora facenti parte del compendio fallimentare addivenendo alla conclusione del contratto di divisione. Come rettamente sottolineato dalla corte di merito, non può individuarsi un disinteresse del curatore con riguardo ai rapporti cui si riferiscono le domande proposte da I., in quanto è stato proprio il fallimento a definire, con tale contratto di divisione, la consistenza dei beni immobili rimasti nella disponibilità della procedura. E’ improprio, del resto, procedere nel senso seguito dalla ricorrente e considerare isolatamente, ai fini della sua legittimazione surrogatoria, l’azione giudiziaria intrapresa per far dichiarare la nullità del contratto di divisione: un conto, infatti, è che il fallito agisca in giudizio per far valere un proprio diritto patrimoniale rispetto al quale possa astrattamente configurarsi, secondo la citata giurisprudenza di questa Corte, quella eccezionale legittimazione processuale suppletiva che trae origine dall’inerzia degli organi fallimentari; altro conto è che agisca per ottenere la declaratoria di invalidità di un atto di disposizione del suo patrimonio che il curatore ha concorso a porre in essere.
A fronte di atti di questa natura, assunti sulla base di determinazioni dell’ufficio fallimentare, può riconoscersi al fallito una diversa legittimazione: quella alla proposizione, in nome e nell’interesse proprio, del reclamo; strumento specificamente contemplato, in base alla disciplina vigente ratione temporis, dall’art. 26 l. fall., nella formulazione anteriore agli interventi attuati con col d.lgs. n. 5/2006 e col d.lgs. n. 169/2007. Nell’ipotesi di cui qui si discorre non si tratta infatti di evitare al fallito il pregiudizio derivante dal disinteresse manifestato dagli organi della procedura nei confronti di diritti patrimoniali che, benché sottoposti ai poteri di disposizione e amministrazione della procedura, restano pur sempre nella titolarità di tale soggetto; si tratta, invece, di assicurare, attraverso il sistema di tutele incidente sugli atti degli organi fallimentari (segnatamente, per quanto qui interessa, del giudice delegato), il controllo della regolarità della procedura concorsuale. Al rimedio del reclamo, come si è visto, fa d’altro canto puntuale richiamo la sentenza impugnata, allorquando sottolinea che alla fallita era dato di impedire il prodursi degli effetti determinatisi impugnando ¿ appunto ¿ il provvedimento del Giudice delegato con cui era stata autorizzata la conclusione del contratto in contestazione: e tale enunciato, che si rivela pienamente coretto, non è stato nemmeno censurato da parte dell’odierna ricorrente.
Deve in conclusione ritenersi che la legittimazione suppletiva del fallito operi allorquando vengano in questione diritti patrimoniali del detto soggetto di cui si disinteressino gli organi fallimentari, e non allorquando si faccia questione dell’impugnativa di atti della procedura, rispetto ai quali è dato lo speciale rimedio del reclamo fallimentare.
I. non aveva dunque titolo ad agire in giudizio per l’impugnativa del contratto di divisione, in sostituzione della curatela fallimentare.
Il ricorso va conseguentemente respinto.
3. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle controricorrenti, liquidandole, per ciascuna di esse, in euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.