La Cassazione rammenta che solo con l'accettazione del cancelliere, cioè con la quarta PEC, si consolida l'effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC (c.d. RdAC).
L'odierno ricorrente chiedeva al Tribunale di Palermo la condanna dell'azienda ospedaliera al risarcimento dei danni derivanti dalle cure che erano state a lui apprestate a seguito di un infortunio sul lavoro. Il Giudice di prime cure rigettava la domanda ritenendo non provato il nesso di causalità.
A seguito di impugnazione, la Corte d'Appello dichiarava inammissibile il gravame,...
Svolgimento del processo
1. M.M. convenne in giudizio avanti il Tribunale di Palermo l'A. di R. N. e di A. S. (A.) Ospedale Civico e B. "G. C. e M. A.", chiedendone la condanna al risarcimento dei danni asseritamente derivati dalla condotta del personale ospedaliero che gli aveva apprestato le cure al tendine flessore del II dito della mano dx, leso a seguito di un infortunio sul lavoro.
Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo che non fosse stata offerta prova dell'esistenza di un nesso di causalità tra il lamentato deficit alla mano destra e la condotta dei sanitari, essendo emerso dalla espletata c.t.u. che questa era stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell'arte medica consone alla fattispecie.
2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Palermo ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dal soccombente, poiché inosservante degli oneri di specificità imposti dall'art. 342, comma primo, cod. proc. civ..
Al riguardo ha anzitutto premesso che la nuova formulazione di tale norma, così come introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134:
a) non comporta che l'appellante debba formulare un processo alternativo di sentenza, né che proponga l'appello con una determinata forma, né che trascriva integralmente o parzialmente la sentenza appellata, ma gli impone soltanto di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il quantum appellatum, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso, che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell'indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate, ovvero, per le doglianze afferenti a questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell'interpretazione preferibile, nonché, in relazione a denunciati errores in procedendo, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere;
b) deve intendersi dunque confermato l'orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento al testo previgente dell'art. 342 c.p.c., a proposito del requisito della specificità dei motivi di appello, per cui occorre che l'appellante motivi il proprio gravame indicando le violazioni di legge contenute in sentenza, con l'ulteriore specificazione dell'incidenza di tali violazioni sulla decisione adottata dal primo giudice;
c) deve ritenersi altresì confermato il principio per cui, ove manchi la motivazione dell'appello (come prima motivi specifici), l'impugnazione va dichiarata inammissibile e non può essere esaminata nel merito.
Tanto premesso, la Corte territoriale ha rilevato che, nel caso di specie, «l'appellante non ha indicato uno schema di motivazione alternativo a quello seguito dal primo giudice nel rigettare la domanda risarcitoria proposta, riproponendo interamente le deduzioni del giudizio di primo grado»: egli, infatti, «ha dedotto che i sanitari dell'A. non hanno dato giusto peso alla lesione dallo stesso riportata al tendine flessore del II dito della mano dx, ritenendo che cicli di fisioterapia e laser terapia sarebbero stati sufficienti ad ottenere la sua guarigione, senza nulla argomentare a confutazione delle argomentazioni svolte dal primo giudice e, in particolare, senza specificare per quali considerazioni la condotta del personale medico non è stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell'arte medica consone alla fattispecie».
Ha quindi soggiunto che la richiesta di una nuova c.t.u., «sulla quale sostanzialmente si fonda l'atto di appello, è pure inammissibile, stante la sua natura meramente esplorativa, essendo diretta a provare l'esistenza, soltanto eventuale, di profili di colpa dei medici curanti, non evidenziati in alcun modo», così come è «inconducente ... la richiesta di citazione del c.t.u...., al fine di fornire chiarimenti circa la mancanza del nesso di causalità tra i postumi dallo stesso patiti e la condotta dei medici curanti, non comprendendosi quali punti della consulenza il c.t.u.... dovrebbe chiarire».
3. Avverso tale sentenza M. M. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste l'intimata, depositando controricorso.
4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
La controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione».
Lamenta che la Corte d'appello, partendo da corrette premesse in ordine alla interpretazione del nuovo testo dell'art. 342 cod. proc. civ., «giunge ad errate conseguenze e considerazioni».
Afferma che, infatti, dovevano nella specie ritenersi sussistenti tutti i requisiti posti dall'art 342 c.p.c. atteso che: a) quanto al profilo volitivo erano sono stati indicati specificamente i capi e le parti della sentenza che si intendevano impugnare; b) sotto il profilo argomentativo erano state indicate le modifiche che si intendevano apportare al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto stante il graduale peggioramento nonostante fosse scrupolosamente stato seguito quanto prescritto dai medici dell'A.; c) sotto il profilo censorio, era stato indicato specificamente quali norme si ritengono violate con la negligenza, imprudenza e imperizia dei medici dell'ospedale; d) sotto il profilo di causalità era stato documentalmente provato e giustificato il rapporto causa effetto tra la terapia prescritta inadeguata e i gravi postumi inabilitanti che ne sono derivati.
Rileva che:
- non era possibile «costruire un processo alternativo, trattandosi di imprudenza, imperizia e negligenza afferente ad una condotta "omissiva", consistita nel non avere preso provvedimenti opportuni (se del caso anche intervenendo con una operazione chirurgica)»;
- la chiesta c.t.u. medica non aveva natura meramente esplorativa, ma di ausilio per le competenze tecniche del caso e la valutazione del nesso tra il mancato/insufficiente/inadeguato operato dei medici dell'ente ospedaliero e gli esiti invalidanti riportati dal paziente;
- l'inopportuno rigetto delle rinnovate richieste di ausilio tecnico ha, quindi, indotto ad una valutazione tronca e apodittica dei fatti di causa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «erronea omessa e falsa applicazione al caso degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c.».
2.1. La violazione della prima norma è dedotta:
- per avere la Corte d'appello omesso di valutare correttamente quanto provato documentalmente;
- per non essergli stata data l'opportunità di provare a mezzo c.t.u. tecnica (con medico esperto in chirurgia della mano) quanto poteva essere ulteriormente dimostrato;
- per non essere stata «opportunamente valutata la circostanza che parte avversa ha omesso di provare, in violazione del disposto dell'art 2697 c.c., secondo comma, alcunché in ordine ad una condotta dei medici dell'ente ospedaliero improntata al rispetto delle regole d'arte medica consona al caso di specie ed alla necessaria prudenza e perizia dovuta» (così testualmente a pag. 13 del ricorso).
2.2. La violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. è dedotta:
- per essere la sentenza fondata unicamente sulla c.t.u. tecnica che «non dava contezza delle ragioni per cui si assumeva assenza di causalità tra la condotta dell'ente e del personale ospedaliero e le menomazioni riportate, bensì si limitava a sostenere scarnamente e genericamente che: "la condotta del personale è stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell'arte medica consone al caso della fattispecie"»;
- per non essere stato dato, né in primo grado né in sede di gravame, giusto e opportuno rilievo alle note critiche (allegate agli atti di primo grado) alla c.t.u., laddove si evidenziava la «disomogeneità in corrispondenza della presumibile sede di sutura dell'estensore del II dito»; osserva al riguardo l'appellante che «sulla scorta dunque della documentazione in atti, della c.t.p. e delle note critiche alla c.t.u., si configurava l'evidenza del fatto che il personale medico dell'ente ospedaliero non aveva dato il giusto peso alla lesione riportata al tendine flessore del 11° dito della mano dx ritenendo erroneamente che il problema funzionale e la algia del tendine potesse risolversi con cicli di fisioterapia e laser terapia».
2.3. La violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. discende infine, secondo l'appellante, dalla mancata «valutazione delle prove e dei fatti» secondo prudente apprezzamento, aggravata dal rigetto delle istanze istruttorie.
3. Prima di esaminare il primo motivo nel merito, v'è da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.
Il ricorrente, infatti, pur prospettando formalmente un vizio di «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione» - in tal modo peraltro evocando paradigma censorio che, come noto, non è più previsto tra quelli tassativamente indicati dall'art. 360 cod. proc. civ. - nella sostanza lamenta la violazione d'una regola processuale, così prospettando il differente vizio di cui all'art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ..
Questo errore nell'inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all'esame del motivo.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. "vizio di sussunzione" (e cioè erri nell'inquadrare l'errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall'art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l'errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, l'illustrazione contenuta nelle pagg. 8-12 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d'appello, dell'art. 342 cod. proc. civ..
4. Il motivo va nondimeno detto inammissibile, per inosservanza dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ..
Il ricorrente ha, infatti, omesso sia di individuare e riportare le statuizioni dei capi della sentenza di primo grado - nei confronti dei quali l'impugnazione proposta dovrebbe ritenersi, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d'appello, provvista dei requisiti di specificità -, sia di trascrivere per esteso il contenuto dell'atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.
Né può soccorrere al ricorrente la diversa qualificazione giuridica del vizio di legittimità come error in procedendo - in relazione al quale la Corte è anche «giudice del fatto», potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito - atteso che, come è stato ripetutamente precisato, anche in quel caso si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077; Cass. 04/02/2022, n. 3612; 23/12/2020, n. 29495; 15/03/2019, n. 7499; 20/07/2012, n. 12664; 13/06/2014, n. 13546; 23/07/2009, n. 17253; 23/01/2006, n. 1221; 07/03/2006, n. 4840), essendo pertanto tenuta la parte ricorrente ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. 21/05/2004, n. 9734; 23/03/2005, n. 6225).
In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Cass. 10/01/2012, n. 86; 10/11/2011, n. 23420, 20/09/2006, n. 20405).
5. Il secondo motivo è del pari inammissibile per l'assorbente ragione che lo stesso evidentemente non intercetta la principale e dirimente ratio decidendi, rappresentata per l'appunto dal rilievo della inammissibilità dell'appello perché non supportato da motivi specifici d'impugnazione.
È appena il caso, dunque, di aggiungere che, anche per esso, risulta inosservato l'onere di cui all'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (là dove in particolare si evocano in ricorso atti processuali quali la c.t.u. o le note critiche di parte senza debitamente riportarne il contenuto, né localizzarli nel fascicolo processuale così come pervenuto a questa Corte) ed è, comunque, dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ. in modo inidoneo (cfr. Cass. n. 11892 del 2016 e Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016; v. anche Cass. n. 23594 del 2017; 17/06/2013, n. 15107).
6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
7. Deve al riguardo ritenersi rituale e tempestivo il deposito telematico del controricorso (tempestivamente notificato a controparte il 19 maggio 2021) atteso che:
a) è documentato in atti, attraverso la «ricevuta di accettazione», che un primo tentativo di deposito telematico venne tempestivamente effettuato nel termine previsto dall'art. 370 cod. proc. civ. in data 7 giugno 2021, ore 12,43, e che la p.e.c. inviata dal difensore al sistema fu accettata dal gestore del mittente (Aruba);
b) vi è in atti anche la c.d. «terza p.e.c.», ossia (v. appresso) la p.e.c. che il sistema genera automaticamente per informare la parte dell'esito dei controlli che il sistema effettua automaticamente sulla busta: tale p.e.c., datata 7 giugno 2021, ore 15,59, informa il destinatario della necessità di «verifiche tecniche da parte dell'ufficio ricevente»;
c) è infine stata prodotta una successiva p.e.c. (c.d. quarta p.e.c.) datata 26 agosto 2021 con la quale la cancelleria informava il difensore che non era possibile accettare il controricorso, «depositato telematicamente il 07.06», «in quanto alcuni campi data ... sono stati valorizzati con 0000-00-00 che non possono essere inseriti nel nostro sistema» (nel linguaggio tecnico si trattava dunque di «errore fatale», tale cioè da bloccare il deposito telematico senza alcuna possibilità di intervento da parte del cancelliere) e lo invitava a correggere il dato e ad effettuare un nuovo deposito;
c) il difensore provvide senza indugio a rinnovare l'invio telematico in data 28 agosto 2021, questa volta con esito pienamente positivo.
Emerge dunque che, ad impedire il deposito del controricorso all'esito del primo tentativo, sia stato un problema tutto interno alla fase (non dell'invio telematico ma) dell'accettazione all'interno del sistema del deposito dell'atto: problema segnalato dall'ufficio solo in data 26 agosto 2021 ampiamente dopo la scadenza del relativo termine.
In tale contesto nessun ritardo è imputabile alla parte e il deposito deve considerarsi tempestivo dovendosi aver riguardo, ai fini della relativa verifica, alla data del primo infruttuoso tentativo.
Varrà al riguardo rammentare che, a norma dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, «il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza ...». Il quadro normativo è poi completato dall'art. 13, comma 2, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione) a mente del quale «{2] I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. [3] Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente».
In forza delle citate disposizioni, il deposito telematico di un atto del processo si articola in quattro fasi, coincidenti con il rilascio di altrettanti messaggi di p.e.c. da parte del sistema informatico:
1) «ricevuta di accettazione deposito», ossia la ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore p.e.c. del mittente; attraverso questa ricevuta (c.d. RAC o RdA) il sistema attesta che l'atto è stato inviato dalla postazione di lavoro (PDL) ed è stato accettato dal sistema per essere inoltrato all'ufficio giudiziario destinatario;
2) «ricevuta di avvenuta consegna», con la quale il gestore p.e.c. del Ministero della Giustizia, destinatario del messaggio, attesta che lo stesso è stato ricevuto nella sua casella (c.d. RdAC);
3) «esito controlli automatici deposito», inviata dal gestore dei servizi telematici del Ministero della Giustizia contenente l'esito dei controlli che il sistema effettua automaticamente sulla busta, il quale potrebbe contenere la segnalazione di "errori" tali da giustificare un rifiuto del deposito (poi comunicato dalla cancelleria col ''quarto messaggio p.e.c.");
4) «accettazione deposito», p.e.c. inviata dalla cancelleria dell'ufficio giudiziario destinatario del deposito telematico e contenente l'esito di accettazione o di rifiuto del deposito stesso.
Ebbene, secondo interpretazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende qui dare continuità, dal combinato disposto delle menzionate norme (in cui quella regolamentare integra il contenuto precettivo della disposizione di rango primario) si ricava la regola per cui la tempestività del deposito va verificata con riferimento al momento in cui viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) e, cioè, la cosiddetta «seconda p.e.c.», la quale attesta l'ingresso della comunicazione nella sfera di conoscibilità del «sistema giustizia» (cfr., ex aliis, Cass. Sez. U. n. 22834 del 21/07/2022; Cass. n. 12422 dell'11/05/2021; n. 19796 del 12/07/2021; n. 19163 del 15/09/2020; n. 4787 del 01/03/2018; n. 1366 del 19/01/2018).
Va tuttavia rimarcato che, in alcuni precedenti in argomento, pur ribadendosi che, ai fini della valutazione sulla tempestività, il deposito si considera perfezionato al momento del rilascio della RdAC, si precisa anche che tale effetto è «anticipato e provvisorio rispetto a/l'ultima PEC» e, cioè, subordinato «al buon fine dell'intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva», sicché esclusivamente con l'accettazione del cancelliere (la quarta p.e.c.), «e solo a seguito di essa, si consolida l'effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC e, inoltre, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo così visibile alle controparti» (v. Cass. n. 28982 del 08/11/2019; n. 17404 del 20/08/2020; 27654 del 21/09/2022).
Tale precisazione va certamente condivisa ma conduce solo ad affermare, nel caso di esito negativo dell'intero procedimento, la necessità di una rinnovazione del deposito previa la concessione della rimessione in termini ex art. 153, comma secondo, cod. proc. civ., ove possa ritenersi che questi siano decorsi incolpevolmente a causa dell'affidamento riposto nell'esito positivo del deposito (v. in tal senso Cass. n. 17404 del 2020, cit.; n. 6147 del 2020, cit.).
Nel caso di specie, la documentazione acquisita consente, come detto, di ritenere con certezza che il momento al quale occorre far riferimento per la verifica della tempestività del deposito del controricorso data al 7 giugno 2021 e si colloca, pertanto, al di qua del termine concesso di venti giorni dalla notifica del controricorso medesimo (art. 370 cod. proc. civ.).
Per vero, manca in atti la seconda ricevuta, attestante l'avvenuta consegna (RdAC) al gestore di posta elettronica Ministero della Giustizia della busta contenente l'atto inviato per il deposito.
Tuttavia, la data in cui tale consegna è avvenuta (7 giugno 2021) si evince dal messaggio generato dal sistema relativo all'«esito dei controlli automatici» e dalla c.d. «quarta p.e.c.» del 26 agosto 2021 [v. supra sub lett. e)] con la quale la cancelleria informa il difensore che il controricorso è stato «depositato telematicamente il 07.06» ma non è stato successivamente accettato dal sistema.
Non può dubitarsi che tali documenti assumano al riguardo valore di piena prova, per la attendibilità che occorre riconoscere alla fonte, non ostando dunque la mancata produzione da parte dell'interessato della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), non desumendosi dalle norme alcuna previsione derogativa al principio di libertà delle prove.
La c.d. «terza p.e.c.», del resto, generata automaticamente dal sistema, presuppone certamente, già sul piano prettamente tecnico, l'avvenuta ricezione della busta da parte del gestore di posta elettronica certifica del Ministero.
Dai menzionati documenti emerge anche prova che, come detto, la parte ha avuto notizia della mancata accettazione del deposito, a causa di un errore bloccante, solo in data 26 agosto 2021.
Deve dunque ritenersi che, nella specie, la controricorrente potesse beneficiare della rimessione in termini, ex art. 153, comma secondo, cod. proc. civ, come richiesto con istanza datata 8 settembre 2021.
Avendo la parte peraltro provveduto, senza indugio, già il 28 agosto 2021, al nuovo deposito dell'atto, deve ritenersi superfluo provvedere in tal senso, dovendosi solo riconoscere la piena efficacia di tale attività.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.