Risposta negativa. Nel caso di specie, infatti, lo stato di alterazione dovuto all'assunzione di alcool non aveva impedito alla persona offesa di memorizzare e raccontare il gravissimo fatto occorsole e di comunicarlo nell'immediatezza a terzi in modo assolutamente spontaneo e costante.
In accoglimento dell'appello proposto dalla parte civile, la Corte territoriale di Venezia condannava l'imputato al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della stessa e confermava la sua responsabilità per il reato
Svolgimento del processo
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova, in accoglimento dell'appello della parte civile, ha condannato l'imputato al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della stessa, liquidato in via equitativa e definitiva nella misura di € 30.000, ed ha confermato, nel resto, l'impugnata sentenza che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 609 bis cod.pen., alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, per avere, con violenza consistita nel colpire con due schiaffi
al volto la persona offesa, costretto la stessa a subire un rapporto sessuale completo, con l'aggravante di aver commesso il fatto abusando dell'ospitalità concessa alla vittima presso la propria abitazione.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il difensore deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla contraddittorietà della motivazione sulla credibilità soggettiva della persona offesa laddove si sostiene, da un lato, lo stato di alterazione della stessa e, ciò non di meno, si ritiene la medesima attendibile e il suo racconto credibile, nonché il vizio di carenza di motivazione in relazione alla credibilità soggettiva e attendibilità della persona offesa laddove non si espongono le ragioni per le quali la medesima dovrebbe essere credibile ed attendibile nonostante avesse assunto alcol e, contemporaneamente, avesse fatto uso di psicofarmaci.
Argomenta il ricorrente che, sotto un primo profilo, la corte territoriale, preso atto che la persona offesa, la notte del fatto, era in stato di alterazione etilica, avendo riscontrato nel sangue un tasso alcolemico, pari a 3,5 g/1, e i ricordi fossero confusi a cagione di tale stato, avrebbe contraddittoriamente affermato la piena capacità di memorizzare la violenza subita, da cui l'ulteriore affermazione della credibilità della stessa, giudizio espresso attraverso l'equivalenza ricordo/veridicità dei fatti che non troverebbe solida base negli atti e nella logica, finendo per ammettere la sussistenza di incertezze e imprecisione che, pur tuttavia, non avrebbero avuto incidenza sull'attendibilità.
La motivazione sarebbe anche carente là dove non spiegherebbe perché a fronte di uno stato di alterazione derivante dall'assunzione abbondante di sostanze alcoliche in contemporanea con l'assunzione di psicofarmaci, il giudizio di attendibilità era positivo.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla consapevolezza in capo all'imputato della mancanza di consenso al rapporto sessuale. Mancanza del dolo del reato. Il dolo del reato non potrebbe essere desunto dalla circostanza che l'imputato avrebbe indotto la persona offesa a bere vino, poiché l'assunzione di alcol non dimostra ancora l'intenzione di abusarne sessualmente. Ne potrebbe desumersi il dolo dalla fuga, successiva al fatto, che non proverebbe che l'imputato fosse consapevole che non vi fosse stato il necessario consenso al rapporto sessuale. Sussisterebbe, dunque, il difetto di motivazione in punto di consapevolezza dell'imputato circa il dissenso all'atto sessuale da parte della persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla dosimetria della pena, allo scostamento di questa dal minimo edittale in assenza di congrua motivazione.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla liquidazione del danno ai sensi dell'art. 539 cod.proc.pen. e alla determinazione dello stesso in assenza di prova del nocumento patito dalla persona offesa.
La difesa di parte civile ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è inammissibile sulla base delle seguenti ragioni.
5. Il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e della carenza, in relazione al giudizio di attendibilità della persona offesa è manifestamente infondato, oltre che ripropone medesimi argomenti già dedotti in appello con riguardo all'affermazione della responsabilità, senza confrontarsi con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale, il che costituisce causa d'inammissibilità del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Amone e altri, Rv. 243838).
Il positivo giudizio di attendibilità della persona offesa, oggetto di doppio conforme accertamento, è contestato dal ricorrente attraverso il ricorso ad un sillogismo logico astratto secondo cui un soggetto che ha assunto sostanze alcoliche e psicofarmaci non avrebbe ricordi "sicuri" su cui che accade. Nessuna ragione di ordine logico sorregge tale assunto posto deve ritenersi che anche un soggetto che abbia assunto sostanze alcoliche sia in grado di ricordare.
Al pari di ogni dichiarante, le sue dichiarazioni, che possono essere assunte a prova della responsabilità, dovranno essere oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, tenuto conto delle circostanze di fatto del caso in esame, e la circostanza che l'offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza omogenea a quella del dichiarante "coinvolto nel fatto", che non soggiace alla regola di valutazione indicata dall'art. 192 comma 3 cod. proc. pen, ma richiede solo un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell'interesse patrimoniale vantato (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214).
Così ricostruito l'ambito cognitivo devoluto a questa Corte, rileva il Collegio, la logicità e congruità complessiva della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, avendo la corte territoriale affrontato e disatteso la questione posta dal ricorrente dell'attendibilità della dichiarante in ragione dell'elevato tasso alcolemico rilevato a seguito del suo ricovero. Tale circostanza, secondo i giudici territoriali, non ha influito sulla percezione dei fatti di cui è stata vittima, né la versione è stata ritenuta contraddittoria. A pag. 6, la corte territoriale, preso atto che nel certificato medico delle ore 1,50 (a seguito di ricovero successivo alla caduta dal terrazzo dell'abitazione dell'imputato) risultava un tasso alcolemico di 3,5 g/1, ha argomentato che la donna, nonostante i ricordi confusi di quella notte, di una cosa era certa ovvero di avere subito una violenza sessuale da parte dell'imputato. Tale ricordo l'aveva raccontato allo psichiatra dell'ospedale, alle ore 11,21 del 28 agosto 2017 (il fatto è avvenuto la notte tra il 27 e 28 agosto 2017), lo aveva ripetuto alle ore 12,00 alla Polizia Giudiziaria e alle ore 19 alla dott. R. che aveva effettuato la visita ginecologica nel corso della quale erano stati riscontrati "ematomi nell'interno cosce".
Secondo i giudici del merito lo stato di alterazione etilica non aveva impedito alla persona offesa di memorizzare e raccontare il gravissimo fatto occorsole e di comunicarlo nell'immediatezza a terzi in modo assolutamente spontaneo e costante.
Nel corso delle dichiarazioni rese nell'incidente probatorio, la donna aveva meglio articolato le modalità della violenza: l'imputato l'aveva fatta assumere alcolici e poi aveva preteso che ella dormisse nel letto matrimoniale e, al suo rifiuto, l'aveva schiaffeggiata e, poi, aveva avuto un rapporto sessuale completo, terminato il quale si era recata in bagno per lavarsi e poi aveva tentato la fuga (l'uomo intendeva avere anche un rapporto orale) attraverso il terrazzo per evitare una seconda aggressione sessuale (dalla lettera di dimissione risulta che il ricovero è avvenuto per "precipitazione volontaria in corso di fuga da tentativo sessuale", cfr. pag. 2 referto di dimissioni).
In conclusione, secondo i giudici territoriali, la sequenza temporale delle univoche dichiarazioni della donna sull'abuso sessuale subito, non specificatamente contestate, e le successive conferme rese nel corso dell'incidente probatorio sono state valutate dai giudici territoriali quali circostanze idonee a fondare un giudizio positivo di attendibilità che è stato congruamente argomentato con motivazione che, fondata su dati probatori, è congrua e non manifestamente illogico né tanto meno contraddittoria e/o carente.
Quanto al perimetro del vizio di motivazione deducibile con il ricorso per cassazione, deve rammentarsi che è estraneo ad esso ogni profilo che concerne la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l'apprezzamento del materiale probatorio profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. E, infine, quanto alla violazione del canone di valutazione della prova testimoniale, deve rilevarsi che, in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, rispetto alla quale non può prospettarsi la violazione della legge processuale, essendo riconducibile la stessa nell'alveo del vizio di motivazione, e pertanto la valutazione dell'attendibilità delle persona offesa può essere esaminata, in sede di legittimità entro i limiti dell'illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione (Sez. 2. n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575). Consegue la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.
6. Alla stessa sorte non si sottrae il secondo motivo di ricorso di violazione di legge in relazione alla sussistenza del dolo del reato e del consenso putativo. La questione è meramente riproduttiva della stessa questione già devoluta ai giudici del merito e da quei giudici disattesa con motivazione conforme a diritto (cfr. pag. 11).
Deve rammentarsi che nei rapporti tra maggiorenni, l'atto sessuale deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l'intero corso del compimento dell'atto sessuale (Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018, F., Rv. 275393 - 01; Sez. 3, n. 25727 del 24/02/2004, G., Rv. 228687), sicchè la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità del compimento dell'atto sessuale, la corte territoriale ha argomentato che le circostanze del caso dimostravano che la donna aveva manifestato il suo dissenso a parole, rifiutando il rapporto sessuale, tant'è che l'imputato l'aveva schiaffeggiata e poi aveva tentato la fuga per sottrarsi ad ulteriori atti di aggressione sessuale (cfr. pag. 11).
In ogni caso, ricade sull'imputato l'onere di provare che egli ha agito sull'erroneo presupposto dell'esistenza del consenso della vittima o, quanto meno, di allegare elementi utili che consentano una verifica di tale assunto difensivo (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, Rv. 274417 - 03), che neppure vengono allegati.
7. La censura sul trattamento sanzionatorio è inammissibile perché manifestamente infondata. La pena inflitta, pari ad anni cinque e mesi sei di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di aver abusato di relazioni di ospitalità, è stata giudicata congrua e adeguata dai giudici del merito alla gravità del fatto (cfr. pag. 11).
Al riguardo deve osservarsi che nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma 3, cod.proc.pen., anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 Ruggeri, Rv. 237402), principio a cui si è attenuta la Corte d'appello che, tenuto conto dei limiti di pena, ratione temporis applicabili al caso in esame, ha ritenuto congrua e adeguata la pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, di poco superiore a limite edittale minimo.
8. Infine, manifestamente infondata è la censura in punto liquidazione del danno in favore della parte civile.
La corte territoriale con motivazione adeguata e comunque non manifestamente illogica ha liquidato il danno morale, subito dalla parte civile a seguito del reato commesso, nella misura di € 30.000,00.
L'ammontare del danno morale, risarcibile ai sensi degli artt. 185 cod.pen., è stato determinato in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 cod. civ. secondo i criteri mutuati dalla giurisprudenza civilistica che tengono conto della gravità dell'illecito e, sull'entità del quale, la decisione del giudice di merito, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta - come nella fattispecie - da congrua motivazione (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170; Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, Baldini, Rv. 257123; Sez. 3, n. 34209 del 17/06/2010, Ortolan, Rv. 248371; Sez. 5, n. 9182 del 31/01/2007, Romeo, Rv. 236262; Sez. 5, n. 38948 del 27/10/2006, Avenati, Rv. 235024).
9. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
L'imputato deve anche essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di€ 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendone il pagamento in favore dello Stato.