Inammissibile il ricorso per revocazione che dietro la parvenza dell'allegazione di un errore di fatto rilevabile ictu oculi e in maniera incontrovertibile alla luce delle risultanze di causa censuri l'interpretazione che il provvedimento impugnato abbia dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.
La vicenda trae origine dalla richiesta della ricorrente di condannare il convenuto al pagamento di una determinata somma a titolo di differenze retributive per l'attività svolta alle sue dipendenze. A seguito dell'accoglimento parziale della domanda, il convenuto proponeva appello eccependo la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo...
Svolgimento del processo
1. La signora M.I. ha convenuto in giudizio il signor A.G. dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, per chiederne la condanna al pagamento dell'importo di Euro 55.991,63, a titolo di differenze retributive per l'attività svolta alle sue dipendenze dal 4 aprile 1994 al 6 luglio 1998.
1.1. Con sentenza n. 475 del 2002, il Tribunale adìto ha accolto parzialmente la domanda e ha condannato il convenuto, rimasto contumace, al pagamento della somma di Euro 46.823,92, con rivalutazione monetaria e interessi di legge.
1.2. Il G. ha proposto appello e ha eccepito, in sede di gravame, la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Con sentenza n. 3799 del 2007, la Corte d'appello di Napoli ha ritenuto fondata l'eccezione pregiudiziale e ha dichiarato la nullità del processo di primo grado e della sentenza impugnata, rimettendo la causa al primo giudice (art. 354, primo comma, cod. proc. civ.).
1.3. La causa, riassunta dalla I. il 28 gennaio 2008, è stata decisa con sentenza n. 307 del 2009, che ha rigettato le pretese retributive della lavoratrice in quanto prescritte.
1.4. La I. ha interposto gravame, respinto dalla Corte d'appello di Napoli con sentenza n. 7642: del 2014.
A sostegno della decisione, la Corte territoriale ha osservato che la nullità della notificazione e degli atti conseguenti travolge anche la sentenza di accoglimento e il successivo atto di precetto.
Né la rinnovazione della notificazione può interrompere la prescrizione con effetti ex tunc: l'effetto interruttivo si produce solo se l'atto giunge nella sfera di conoscenza del destinatario.
2. La I. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d'appello di Napoli.
2.1. Con l'unico motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione dell'art. 2943 cod. civ. e, in particolare, ha posto l'accento sulla «autonomia funzionale» dell'atto di precetto, che si configura come intimazione di pagamento, idonea a costituire in mora il debitore e a interrompere la prescrizione.
2.2. Con ordinanza n. 16872 del :2020, depositata l'11 agosto 2020, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
2.2.1. La rinnovazione della notificazione nulla non può interrompere il corso della prescrizione «con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida»: l'art. 291 cod. proc. civ. dispone che la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza, senza menzionare il diverso istituto della prescrizione (pagine 3 e 4, punto 2.2.).
2.2.2. Con riguardo al precetto e alla dedotta efficacia interruttiva della prescrizione, la ricorrente «non riferisce che tale questione fosse stata sottoposta al giudice di merito, neppure in via subordinata rispetto alla questione della valenza interruttiva da riconoscere alla notificazione nulla dell'atto originario (questione sulla quale si è incentrata la motivazione della sentenza impugnata, che l'ha ritenuta giuridicamente infondata)». Ne discende la novità della «questione, per come proposta» (pagina 4, punto 3).
In secondo luogo, la questione, «per avere rilevanza in giudizio, dovrebbe involgere anche l'accertamento del contenuto dell'atto di precetto», allo scopo di verificarne la «idoneità ad integrare un valido atto interruttivo della prescrizione». Tale atto, tuttavia, «non è neppure stato trascritto nel ricorso per cassazione», omissione che preclude «la possibilità di conoscerne il contenuto» e rende dunque «mera petizione astratta la richiesta di enunciazione di un principio di diritto idoneo a risolvere la controversia» (pagina 4, il già citato punto 3).
3. La I. ricorre per revocazione contro l'ordinanza pronunciata da questa Corte.
4. Il G. non ha svolto attività difensiva.
5. Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ.
6. Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
In prossimità dell'adunanza in camera di consiglio, la ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo, formulato in relazione agli artt. 391-bis, primo comma, e 395, n. 4, cod. proc. civ., la signora M.I. chiede la revocazione dell'ordinanza n. 16872 del 2020, nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per cassazione.
Tale statuizione poggerebbe su «due distinti e concorrenti argomenti», che la ricorrente ritiene inficiati da una falsa percezione della realtà.
1.1. Al contrario di quel che afferma l'ordinanza impugnata, le parti avrebbero ampiamente discusso nella fase successiva alla riassunzione, sia dal primo grado, sull'idoneità della notificazione del precetto a interrompere la prescrizione. Tema che, pertanto, non si potrebbe reputare nuovo.
1.2. Con riguardo all'omessa trascrizione del precetto, l'ordinanza impugnata avrebbe trascurato di considerare che:
a) il precetto rappresenta «per definizione» un'intimazione di pagamento e si configura dunque come costituzione in mora;
b) l'esistenza del precetto non è stata contestata dalla controparte ed è stata accertata dalla Corte d'appello di Napoli, con statuizione oramai definitiva;
c) sia nei gradi di merito che nel giudizio di legittimità, è stato prospettato lo smarrimento dell'atto di precetto, con la conseguente impossibilità di trascriverne il contenuto nel ricorso.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. L'ammissibilità dell'istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte presuppone un errore di fatto riconducibile all'art. 395, n. 4, cod. proc. civ. e dunque un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece incontestabilmente escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa (fra le molte, Cass., sez. V, 11 gennaio 2018, n. 442).
L'errore revocatorio postula il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l'una desumibile dalla sentenza e l'altra dagli atti e dai documenti processuali, e non concerne un fatto che sia stato discusso dalle parti e quindi trattato nella pronuncia del giudice.
Il discrimine tra l'errore revocatorio e l'errore di diritto risiede nel carattere meramente percettivo del primo e nell'assenza di quell'attività di valutazione che rappresenta, per contro, l'indefettibile tratto distintivo del secondo (Cass., S.U., 27 novembre 2019, n. 31032).
Ne consegue che l'errore revocatorio «non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell'assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all'utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi» (Cass., sez. Vl-1, 26 gennaio 2022, n. 2236, punto 3).
L'errata valutazione in ordine alla motivazione della sentenza impugnata e al contenuto degli atti di parte si risolve in un errore di giudizio, che non può essere dedotto come vizio revocatorio (Cass., sez. VI-L, 27 aprile 2018, n. 10184; di recente, Cass., sez. III, 29 marzo 2022, n. 10040).
Ne discende che non si configura un errore revocatorio nel giudizio espresso da questa Corte sulla violazione del principio di autosufficienza (Cass., sez. VI-T, 31 agosto 2017, n. 20635, punto 2).
Non si può ridiscutere con il rimedio straordinario della revocazione il giudizio «circa l'autosufficienza del motivo di ricorso», in quanto «eventuali errori o incompletezze» nella disamina degli atti di causa investono la valutazione e il giudizio sul contenuto del ricorso ed esulano dall'errore di fatto propriamente inteso (Cass., sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608, pagina 6).
4. Alla luce di tali principi, ribaditi anche di recente (Cass., sez. III, 11maggio 2022, n. 14950, punto 2.2.), si devono scrutinare le doglianze della ricorrente.
Occorre prendere le mosse, in quanto costituisce la ragione più liquida di decisione, dal profilo di censura che concerne la mancata trascrizione del contenuto del precetto.
4.1. La ricorrente assume che questa Corte sia incorsa in un errore di fatto, per avere ritenuto possibile trascrivere un atto di precetto, invece smarrito e comunque non controverso nella sua esistenza e nella sua valenza di atto di costituzione in mora (pagina 13 del ricorso per revocazione).
4.2. Il motivo di ricorso, così formulato, non denuncia un errore di fatto suscettibile di determinare la revocazione e sconfina nell'ambito degli errori di diritto, che è precluso a questa Corte sindacare nel giudizio di cui all'art. 391-bis cod. proc. civ.
Il fatto, sul quale l'ordinanza censurata si sofferma, attiene alla mancata trascrizione del precetto nel ricorso per cassazione. Il provvedimento che si chiede di revocare si limita a enunciare tale dato oggettivo, senza formulare alcun addebito di colpa a carico della parte che non ha ottemperato all'onere previsto dalla legge.
Con riguardo al dato oggettivo della mancata trascrizione, l'ordinanza non è viziata da alcun errore di percezione. La stessa ricorrente concorda sulla circostanza che il precetto non sia stato trascritto.
Il ricorso per revocazione, lungi dal contestare l'erronea percezione d'un fatto, dissente dalle conclusioni di questa Corte in ordine alla necessità di riprodurre il precetto e articola a tale riguardo un duplice ordine di rilievi: dalla trascrizione è dispensata la parte che abbia smarrito il documento e sia, pertanto, nell'incolpevole impossibilità di riprodurne il contenuto; la trascrizione non è necessaria, anche perché l'esistenza del precetto non è controversa e al precetto è connaturata la finalità di costituire in mora il debitore e d'interrompere il corso della prescrizione.
Il dedotto profilo di censura, dietro lo schermo dell'errore revocatorio, sottende una critica all'interpretazione che questa Corte ha dato del principio di autosufficienza del ricorso ed evoca, inoltre, una violazione del principio di non contestazione sancito dall'art. 115, primo comma, cod. proc. civ.
Una doglianza così prospettata non può dunque trovare ingresso in questa sede, deputata a porre rimedio ai soli errori di fatto.
Al caso di specie si attagliano le considerazioni che da ultimo questa Corte ha svolto, nel dichiarare inammissibile un ricorso per revocazione che «non denuncia [ ...] un preteso errore di fatto che abbia determinato l'inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, ma censura l'interpretazione di quest'ultimo [...] e la declinazione che ne ha fatto l'impugnata ordinanza di legittimità nell'applicarlo al caso di specie, in particolare per aver ritenuto indispensabile, a pena d'inammissibilità, anche la "trascrizione", nei motivi del ricorso per cassazione, del "contenuto della perizia di parte", senza mettere in dubbio che tale trascrizione non sia effettivamente avvenuta» (Cass., sez. V, 3 maggio 2022, n. 13989, punto 5.1.).
Il motivo, in ultima analisi, dev'essere dichiarato inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto: «È inammissibile il ricorso per revocazione che, dietro la parvenza dell'allegazione di un errore di fatto rilevabile ictu oculi e in maniera incontrovertibile alla luce delle risultanze di causa (nella specie, l'erronea supposizione della mancata riproduzione del precetto nel ricorso per cassazione), censuri, ai sensi degli artt. 391-bis, primo comma, e 395, n. 4, cod. proc. civ., l'interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un'esatta percezione dei fatti, abbia dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che è corollario del principio di specificità sancito dall'art. 366, primo comma, n. 6, del codice di rito».
5. L'inammissibilità del motivo di revocazione, riguardante la mancata trascrizione del precetto, consente di soprassedere all'esame dell'errore revocatorio che minerebbe l'altra ratio decidendi della declaratoria d'inammissibilità del ricorso per cassazione.
Come riconosce la stessa ricorrente (pagina 6 del ricorso), tale declaratoria s'incardina su due autonome rationes decidendi, ciascuna delle quali è idonea a sorreggerla.
Posto che una di tali rationes non è stata efficacemente scalfita dal ricorso per revocazione, è superfluo il vaglio dell'errore revocatorio dal quale l'altra ratio sarebbe affetta.
L'inammissibilità del ricorso esime questa Corte dal provvedere sull'istanza di rinvio alla pubblica udienza (art. 391-bis, quarto comma, cod. proc. civ.), che la ricorrente ha formulato nella memoria illustrativa sul presupposto della fondatezza dell'impugnazione straordinaria (pagina 2).
6. Non si deve adottare alcuna pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio, in quanto il Guida non ha svolto attività difensiva.
7. A norma dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), la declaratoria d'inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente ordinanza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per l'impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.