Irrilevante la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro. Per la Cassazione, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, devono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto.
Il Tribunale di Milano condannava l'attuale ricorrente alla pena dell'ammenda per non aver circondato da normale parapetto le aperture lasciate nei solai e nelle piattaforme di lavoro presso il cantiere dove operava la sua ditta e di cui era l'amministratore. Secondo il Tribunale, tutte le imprese esecutrici, subappaltanti o i lavoratori autonomi sarebbero...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 1 ottobre 2021, ha condannato G.T. alla pena di € 1.000,00 di ammenda relativamente al reato di cui agli art. 146 e 159 d. lgs. 81 del 2008 perché non circondava da normale parapetto e da tavola fermapiede le aperture lasciate nei solai e nelle piattaforme di lavoro, né le copriva con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio. Accertato il 15 ottobre 2019.
2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione di legge (art. 24, punto 3, 88 lettera G bis, 95, 90 e 100 d. lgs 81 del 2008). La sentenza ha ritenuto responsabile il ricorrente per il semplice fatto che nel cantiere dove operava la sua ditta (s.r.l. S.I., di cui il ricorrente è l'amministratore) erano state riscontrate contravvenzioni alla normativa sulla sicurezza del lavoro, indicate nel capo di imputazione. Per il Tribunale tutte le imprese esecutrici, subappaltanti o i lavoratori autonomi sarebbero tenuti al rispetto delle regole sulla prevenzione degli infortuni. La legge disciplina in maniera dettagliata i diversi ruoli e le numerose fattispecie possibili. Non è possibile attribuire una responsabilità congiunta a tutti i datori di lavoro coinvolti a diverso titolo nel cantiere, al di là dei diversi ruoli nella realizzazione dell'opera. L'art. 24, punto 3, e l'art. 88 lettera G bis, della legge 81/2008 disciplinano puntualmente le fattispecie concrete, per le ditte che installano o montano gli impianti (elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento). La società del ricorrente era stata incaricata solo di montare un impianto di riscaldamento, che non comportava opere murarie, e, quindi, non poteva essere considerata tenuta al rispetto della normativa generale sulla prevenzione degli infortuni del lavoro. Per l'art. 95, legge 81/2008 le imprese esecutrici durante l'esecuzione delle opere osservano le misure di cui all'art 15 e curano ciascuno per la parte di competenza il mantenimento del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrita' [...]. Non si comprende, pertanto, perché il ricorrente debba rispondere per le carenze dell'impresa che gestiva l'appalto generale delle opere. Risultano violate anche altre norme, l'art. 90, 100 e 91 del d. lgs. 81 del 2008.
Ha chiesto quindi l'annullamento della decisione impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso risulta inammissibile, in quanto generico ed in fatto, non si confronta con le motivazioni della sentenza e non prospetta vizi di legittimità avverso le motivazioni della decisione del Tribunale.
Per l'art. 26 del d. lgs. 81 del 2008, comma 2, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'opera complessiva.
Il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art. 7 d.lgs. 626 del 1994 (ora art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la "ratio" della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonchè soluzioni comuni di problematiche complesse (Vedi Sez. 4, Sentenza n. 9167 del 01/02/2018 Ud., dep. 28/02/2018, Rv. 273257 - 01).
Del resto, non risulta prospettata neanche una completa autonomia dei lavori della ditta del ricorrente ("In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore" Sez. 4 - , Sentenza n. 12440 del 07/02/2020 Ud., dep. 20/04/2020, Rv. 278749 - 01).
La ditta del ricorrente avrebbe dovuto montare l'impianto di riscaldamento e di condizionamento nell'immobile in oggetto, conseguentemente era tenuta a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione, onde evitare i rischi ai propri lavoratori nel cantiere.
Il Tribunale con accertamenti in fatto - neanche contestati con il ricorso in cassazione - e con motivazione adeguata ha rilevato che l'impresa del ricorrente era tenuta a rispettare le norme sulla sicurezza nel lavoro per prevenire i rischi ai propri dipendenti, che stavano lavorando nel cantiere.
Si tratta di accertamenti di fatto (peraltro non contestati se non con una generica indicazione di norme) insindacabili in sede di legittimità.
4. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in€ 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.