Si applica la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie salvo ipotesi di corresponsabilità.
La controversia trae origine dall'avviso di accertamento notificato all'attuale ricorrente, quale socio titolare nella misura del 50% della società estinta, con cui venivano riconosciuti il debito
In sede di legittimità, il...
Svolgimento del processo
BP ha chiesto la cassazione della sentenza n. 1096/01/2015, depositata il 15 giugno 2015 dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, che in parziale riforma della pronuncia di primo grado, oltre che riconoscere il debito Iva del contribuente nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, quale socio titolare della quota pari al 50% del capitale della società estinta, ha riconosciuto nei suoi confronti l'applicabilità delle sanzioni elevate nei confronti della società medesima.
Per quanto si evince dall'atto difensivo, a seguito di verifica condotta nei confronti della società I s.r.l., del cui capitale il ricorrente era titolare nella misura del 50%, l'Agenzia delle entrate notificò avviso d'accertamento, con cui, tra l'altro e per quanto qui di interesse, imputò il mancato versamento di € 400.000,00 a titolo di iva per l'anno d'imposta 2005, oltre che comminare le sanzioni. L'avviso di accertamento fu notificato alla società, quando ormai già cancellata, nonché ai due soci e all'ex liquidatore. Tutti i destinatari delle notifiche impugnarono l'avviso di accertamento, senza tuttavia contestare, per quanto espressamente emerge dal ricorso, «il mancato versamento dell'IVA da parte della società, nei limiti del ricordato importo».
A seguito della iscrizione a ruolo delle pretese ai fini iva e delle relative sanzioni l'agente della riscossione notificò all'odierno ricorrente la cartella di pagamento del complessivo importo di€ 1.144.948,55 (di cui€ 400.000,00 per Iva, € 600.000,00 per sanzioni, oltre interessi e aggi).
Il contribuente impugnò la cartella e nel contenzioso seguitone la Commissione tributaria provinciale di X , con sentenza n. 64/01/2014, accolse in parte il ricorso, riducendo il debito nella misura della metà -€ 200.000,00 a titolo di Iva- in ragione della quota di capitale posseduta. L'appello dell'Agenzia delle entrate, con la sentenza ora al vaglio di questa Corte, fu accolto con riferimento alle sanzioni, ritenute anch'esse dovute.
Il B ha censurato la sentenza con quattro motivi, chiedendone la cassazione. L'Agenzia delle entrate ha irritualmente depositato una "comparsa di costituzione" ai soli fini della eventuale partecipazione alla pubblica udienza.
Nell'adunanza camerale del 23 giugno 2022 la causa è stata discussa e decisa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ratione temporis vigente, dell'art. 2495 cod. civ., dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alle erronee deduzioni del giudice regionale sulla coobbligazione del socio rispetto alle obbligazioni fiscali e sanzionatorie accertate in capo alla società;
con il secondo motivo, in subordine, il contribuente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2495 cod. civ., nonché dell'art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al riparto dell'onere probatorio in merito alla distribuzione tra i soci del capitale e del patrimonio della società cancellata;
con il terzo motivo, in ulteriore subordine, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2495 cod. civ., nonché dell'art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al riparto dell'onere probatorio e alla imputazione della metà del debito iva e dell'intera sanzione comminata;
con il quarto motivo, ancora in subordine, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché dell'art. 5 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla erronea imputazione di responsabilità anche con riguardo alle pretese sanzionatorie.
I motivi possono essere trattati congiuntamente perché tra loro connessi, traducendosi in critiche, per taluni aspetti sovrapponibili, indirizzate al rovesciamento sul socio di una società cancellata dell'addebito a quest'ultima delle pretese fiscali relative all'iva e delle relative sanzioni comminate.
I motivi trovano accoglimento nei limiti delle ragioni appresso chiarite.
Risulta intanto incontestato che successivamente alla verifica, ma anteriormente alla notifica dell'avviso d'accertamento, la società I s.r.l. si estinse e fu cancellata dal registro delle imprese. Altrettanto incontestato è che l'atto d'accertamento, oltre che alla società (estinta) fu correttamente notificato ai due -unici- soci e al liquidatore. Ebbene, costituisce principio consolidato quello secondo cui l'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alta cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono - venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali - ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate (Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070; cfr. anche, ex multis, Cass., 30 luglio 2020, n. 16362). Nel caso di specie dunque correttamente l'Amministrazione finanziaria notificò l'avviso d'accertamento a tutti i soci, quali successori della società estinta (nonché del liquidatore, notifica quest'ultima che non incide tuttavia nel presente giudizio).
Altrettanto incontestato, perché riferito nel medesimo ricorso del contribuente, è che quell'atto impositivo non fu impugnato dai soci per la parte relativa all'iva pretesa dall'Agenzia delle entrate (pag. 6, penultimo capoverso). E poiché il fenomeno successorio verificatosi comportava necessariamente una diretta imputazione dell'imponibile non dichiarato ai soci -non più coobligati d'imposta rispetto alla società, ma obbligati tout court-, non vi era neppure necessità di notificare a questi un distinto avviso d'accertamento con cui addebitare espressamente un reddito di partecipazione per i ricavi (e l'iva su di essi dovuta) occultati dalla società. L'iscrizione a ruolo e la relativa cartella ora al vaglio della Corte sono pertanto conseguenza della (parziale) non opposizione avverso l'avviso d'accertamento ritualmente notificato e non impugnato quanto all'iva.
A fronte della stabilità raggiunta dall'atto impositivo relativamente al credito iva vantato dall'Amministrazione finanziaria, vengono meno le ragioni del ricorso avverso la cartella di pagamento, che il contribuente pretende di supportare con l'invocazione dell'art. 36 (evidentemente il comma 3) del d.P.R. n. 602 del 1972, che afferisce a distinta fattispecie, o dell'art. 2495 cod. civ., in forza del quale si prospetta un preventivo accertamento delle responsabilità del socio, così offrendo una chiave di lettura non pertinente, laddove la norma regola un principio generale di tutela creditoria.
Diverse conclusioni vanno invece raggiunte in merito alle sanzioni amministrative, per le quali il ricorrente ha formulato specifiche contestazioni sui presupposti applicativi, presupposti che non possono ricondursi alla disciplina regolatrice dei crediti impositivi.
Deve intanto rammentarsi che a seguito dell'estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest'ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione l'art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997, che sancisce l'intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall'art. 2, comma 2, del detto decreto, nonché, in materia societaria, con l'art. 7, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in I. n. 326 del 2003, che ha introdotto la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094), salvo ipotesi di corresponsabilità.
A tale principio vanno peraltro aggiunte alcune considerazioni. È infatti necessario premettere che la disciplina dettata dal d.lgs. n. 472 del 1997, a quasi settant'anni dalla prima legge generale sulle sanzioni fiscali -1. 7 gennaio 1929, n. 4- aveva introdotto un innovativo sistema organico, attento alle condizioni soggettive del trasgressore, più vicina dunque ai principi penalistici, così valorizzando criteri di personalizzazione della sanzione, con abbandono di quelli automatici. Va anche evidenziato che la disciplina è stata ulteriormente innovata dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in I. 24 novembre 2003, n. 326, in vigore dal 2 ottobre 2003. Ma anche volendo prescindere da tale novella, già con riferimento alle regole dettate dall'art. 11 del d.l. n. 472 del 1997 occorreva comunque verificare la corretta applicazione della sanzione al caso concreto, atteso che persino il ruolo di vertice rivestito nell'organizzazione sociale non comportava il sistematico riconoscimento di responsabilità sanzionabile in capo al medesimo soggetto, per violazioni incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo (cfr. Cass., 25 febbraio 2021, n. 5164). Il principio è tanto più significativo se rapportato alla posizione del mero socio, del quale non emerge che abbia mai assunto in seno alla società alcuna posizione di responsabilità.
Ne discende che l'estinzione della società prima della notifica dell'avviso d'accertamento perfeziona un fenomeno successorio nei riguardi dei soci quanto alle imposte, non invece alle sanzioni. Nessun rilievo poteva pertanto assumere la mancata impugnazione dell'avviso d'accertamento da parte del contribuente ai fini della applicabilità delle sanzioni.
Il giudice regionale, riconoscendo l'applicazione delle sanzioni al ricorrente, non si è attenuto al principio di diritto illustrato. Il ricorso va dunque accolto nei termini chiariti e la sentenza va cassata nei limiti dell'accoglimento.
Non essendo peraltro necessario alcun accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. A tal fine, tenuto conto del fenomeno successorio rispetto alla società estinta, al socio non potevano essere comminate le sanzioni relative al mancato pagamento dell'iva. La cartella di pagamento va in conclusione annullata nei termini di cui in motivazione.
L'esito del giudizio, con il solo parziale fondamento del ricorso, giustifica la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza e, decidendo nel merito, annulla la cartella nei termini di quanto stabilito in motivazione. Compensa le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.