Rilevante la deduzione del ricorrente circa l'inesistenza o la nullità della notificazione della cartella di pagamento.
In un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di un'intimidazione di pagamento emessa per la riscossione di somme dovute a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti, i Giudici di merito dichiaravano il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria in quanto spettante alla giurisdizione tributaria. A...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 13 marzo 2014, il Tribunale di Agrigento dichiarò il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria in ordine all'opposizione proposta da D.C., in proprio e nella qualità di socio accomandatario e liquidatore della C. S.a.s. di C. D. & C., avverso l'intimazione di pagamento n. XXX, notificata il 13 aprile 2012, con cui la S.S. S.p.a. aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 1.637,50, a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti relativa all'anno 2003.
2. L'impugnazione proposta dal C. è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Palermo con sentenza del 17 settembre 2018.
Premesso che non era in discussione la natura tributaria della controversia, avente ad oggetto il pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti, la Corte ha confermato che, in quanto riguardante un atto prodromico all'esecuzione, l'impugnazione era devoluta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, osservando che, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la stessa si riferisce a tutte le controversie in materia di tributi di ogni specie e si estende a tutte le questioni concernenti sia l'an che il quantum del tributo, arrestandosi soltanto di fronte agli atti dell'esecuzione tributaria.
3. Avverso la predetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. L'intimata non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione dinanzi alla Terza Sezione civile di questa Corte, che con ordinanza dell'8 marzo 2022 ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, dando atto dell'esistenza di precedenti giurisprudenziali non univoci in ordine alla questione di giurisdizione prospettata dal ricorrente.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 37 e 615 cod. proc. civ., sostenendo che, in quanto avente ad oggetto la contestazione del diritto della creditrice di procedere ad esecuzione forzata, per inesistenza del titolo esecutivo, la controversia spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario. Afferma infatti di aver dedotto, a sostegno dell'opposizione, l'inesistenza o la nullità dell'intimazione di pagamento, in quanto notificata ad una società cancellata dal registro delle imprese, e la conseguente prescrizione del credito, precisando comunque di avere chiesto anche la condanna della S. al risarcimento dei danni morali, assolutamente estranea alla competenza delle Commissioni tributarie, in quanto avente ad oggetto un comportamento illecito dell'intimante.
1.1. Il ricorso è infondato.
La controversia in esame ha infatti ad oggetto l'impugnazione di un'intimazione di pagamento emessa per la riscossione di somme dovute a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti, a sostegno della quale il ricorrente ha dedotto a) l'inesistenza o la nullità della notificazione della cartella di pagamento, in quanto effettuata nei confronti di una società che ha mutato denominazione e comunque cancellata dal registro delle imprese, b) la prescrizione della pretesa tributaria, in conseguenza del periodo di tempo trascorso tra la notificazione della cartella e quella dell'intimazione di pagamento.
Nell'affermare la spettanza della controversia alla giurisdizione tributaria, la sentenza impugnata ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, come sostituito dall'art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, si estende ad ogni questione relativa all'an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell'esecuzione tributaria, sicché vi ricade anche l'eccezione di prescrizione dedotta tramite l'impugnazione di atti prodromici all'esecuzione (cfr. Cass., Sez. Un., 3/05/2016, n. 8770; 31/03/2008, n. 8279).
1.2. Com'è noto, la questione concernente l'individuazione del discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria, in caso d'impugnazione di atti di riscossione coattiva, è stata risolta da queste Sezioni Unite, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, nel senso che alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione su fatti incidenti sulla pretesa tributaria (ivi compresi i fatti costitutivi, modificativi ed impeditivi in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell'atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici, mentre resta devoluta alla giurisdizione ordinaria la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell'atto esecutivo in quanto tale (a prescindere dall'esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici), nonché su fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria successivi alla valida notifica della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento o, in caso di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, su quelli successivi all'atto esecutivo che abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell'intimazione (cfr. Cass., Sez. Un., 14/04/2020, n. 7822).
Alla stregua di tale principio, ribadito anche successivamente (cfr. Cass., Sez. Un., 28/07/2021, n. 21642; 20/07/2021, n. 20693), non è revocabile in dubbio la spettanza alla giurisdizione tributaria della domanda proposta dal ricorrente, la quale, oltre ad avere ad oggetto l'impugnazione di un'intimazione di pagamento, cioè di un atto unanimemente ritenuto estraneo all'esecuzione forzata, si fonda su fatti verificatisi in epoca anteriore alla notificazione della stessa, della quale non è contestata neppure la rituale effettuazione. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza che a sostegno dell'impugnazione il ricorrente abbia fatto valere l'inesistenza o la nullità della notifica della cartella di pagamento che ha preceduto l'intimazione, in quanto effettuata nei confronti di una società che aveva mutato denominazione e che era stata successivamente cancellata dal registro delle imprese, nonché la prescrizione del credito tributario, derivante dal tempo trascorso tra la notifica della cartella e quella dell'intimazione, trattandosi in ogni caso di fatti verificatisi in epoca anteriore a quest'ultima, ed il cui accertamento esula pertanto dalla giurisdizione ordinaria. Parimenti irrilevante deve ritenersi la circostanza che l'impugnazione dell'intimazione di pagamento sia accompagnata dalla richiesta di risarcimento dei danni morali prodotti dalla sua notificazione, trattandosi di una domanda che, in quanto fondata sull'asserita illegittimità della pretesa tributaria, risulta evidentemente subordinata all'accertamento della stessa, non configurabile come un mero presupposto di fatto rispetto ad essa: non può quindi trovare applicazione, nella fattispecie in esame, il principio, enunciato da queste Sezioni Unite in tema di fermo amministrativo e richiamato dalla difesa del ricorrente, secondo cui spetta all'Autorità giudiziaria ordinaria la giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento dei danni cagionati dal comportamento illecito tenuto dall'agente della riscossione in epoca successiva all'adozione dell'atto impositivo, in quanto attinente ad una posizione di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario (cfr. Cass., Sez. Un., 9/07/2014, n. 15593; 10/06/2013, n. 14506).
1.3. Nel rimettere gli atti al Primo Presidente, la Terza Sezione civile ha peraltro segnalato la portata non univoca dei precedenti giurisprudenziali riscontrabili in ordine alla questione in esame, ponendo in risalto in particolare il principio, enunciato da una sentenza delle Sezioni Unite anteriore alle ordinanze richiamate in precedenza, la quale, in tema di accertamento del passivo fallimentare, ha affermato che l'eccezione di prescrizione del credito tributario, sollevata dal curatore sul presupposto dell'avvenuta maturazione della prescrizione in epoca successiva alla notifica della cartella di pagamento, non è devoluta alla cognizione del giudice tributario, ma a quella del giudice delegato in sede di verificazione dei crediti e del tribunale fallimentare in sede di opposizione allo stato passivo o d'insinuazione tardiva, dal momento che la notifica della cartella di pagamento segna il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo (cfr. Cass., Sez. Un., 24/12/ 2019, n. 34447; nel medesimo senso, v. anche Cass., Sez. VI, 20/05/2021, n. 13767).
In realtà, entrambi gli orientamenti citati muovono dal richiamo della sentenza n. 114 del 2018, con cui la Corte costituzionale dichiarò costituzionalmente illegittimo l'art. 57, primo comma, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall'art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, nella parte in cui non prevedeva che, nelle controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, fossero ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 cod. proc. civ. A fondamento di tale decisione la Corte rilevò che, mentre per le opposizioni di cui all'art. 617 cod. proc. civ. non sussisteva alcuna limitazione della tutela giurisdizionale, dal momento che le contestazioni relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo, non consentite dalla lett. b) dell'art. 57, primo comma, potevano essere proposte dinanzi al giudice tributario, ai sensi dello art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, per le opposizioni di cui all'art. 615 cod. proc. civ. era invece riscontrabile una carenza di tutela, essendo consentita soltanto la proposizione di quelle aventi ad oggetto la contestazione del titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, o la pignorabilità dei beni, ai sensi dell'art. 57, primo comma, lett. a), e restando pertanto ingiustificatamente esclusa la proponibilità di quelle fondate su fatti successivi alla notifica della cartella di pagamento.
In virtù del richiamo alla predetta decisione, la sentenza n. 34417 del 2019 ha sottoposto a revisione l'orientamento giurisprudenziale precedentemente invalso in tema d'insinuazione al passivo dei crediti tributari, secondo cui, ove il curatore avesse eccepito la prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la giurisdizione doveva ritenersi spettante al giudice tributario (cfr. Cass., Sez. Un., 13/06/2017, n. 14648; Cass., Sez. I, 11/06/2019, n. 15717): precisato che, per effetto della dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 57, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 602 del 1973, tutte le controversie relative a fatti estintivi della pretesa tributaria che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, ha affermato che nel caso in cui la cartella sia stata notificata e la pretesa tributaria sia divenuta definitiva, della prescrizione maturata successivamente è competente a giudicare il giudice ordinario, quale giudice dell'esecuzione, e quindi, ove la pretesa tributaria sia stata fatta valere in sede fallimentare, il giudice delegato nella fase di verificazione del passivo ed il tribunale fallimentare in quella di opposizione allo stato passivo o d'insinuazione tardiva.
L'ordinanza n. 7822 del 2020 si è occupata invece di una fattispecie diversa, e precisamente dell'ipotesi in cui il fatto estintivo della pretesa tributaria fatto valere a sostegno dell'opposizione si sia verificato in epoca successiva all'emissione della cartella di pagamento, ma la notifica di quest'ultima sia mancata o risulti giuridicamente inesistente, ed ha affermato che in tal caso la controversia spetta alla cognizione del giudice tributario, al pari di quanto accade nell'ipotesi in cui il fatto estintivo si sia verificato anteriormente alla predetta notificazione: a fondamento di tale conclusione, queste Sezioni Unite hanno ritenuto di poter estendere all'opposizione all'esecuzione il principio, da esse stesse enunciato precedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, e tenuto presente anche da quest'ultima, secondo cui l'opposizione agli atti esecutivi contro l'atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o di altro atto prodromico è proponibile dinanzi al giudice tributario, risolvendosi nell'impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario (cfr. Cass., Sez. Un., 5/06/2017, n. 13913; 5/06/2017, n. 17126). Con particolare riguardo alla prescrizione, l'ordinanza in esame ha espressamente precisato che, «se essa si assume verificata perché la notifica della cartella mancò, fu nulla o fu eseguita in modo inesistente e, quindi, non si poté verificare un effetto interruttivo del corso della prescrizione, il preteso fatto estintivo "prescrizione" suppone, per essere apprezzato, l'accertamento di detti vizi della notifica e, dunque, si risolve in una censura il cui esame risulta riservato alla giurisdizione tributaria tramite l'impugnazione della cartella o dell'intimazione, in quanto conosciute per il tramite ed in forza dell'atto esecutivo che ne rivela l'esistenza»; in riferimento all'ipotesi in cui si assuma che la prescrizione si è verificata «per il decorso del tempo dopo una valida notifica o comunque per il decorso del tempo a prescindere dalla mancanza della notifica o dalla sua inesistenza o dalla sua nullità», essa ha invece ribadito, non diversamente dalla sentenza n. 34417 del 2019, che il fatto estintivo dev'essere fatto valere con l'opposizione di cui all'art. 615 cod. proc. civ., quindi dinanzi al giudice ordinario.
Come correttamente sostenuto dal Pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, i principi enunciati dalle predette decisioni non possono pertanto ritenersi dissonanti, rivelandosi piuttosto complementari, in quanto relativi a fattispecie diverse, che risultano tuttavia valutate alla stregua del medesimo sistema normativo, come modificato dalla dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 57, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 602 del 1973, e regolate in coerenza con le considerazioni svolte al riguardo dalla Corte costituzionale, in funzione di un comune obiettivo, consistente nel completo recupero di quella tutela giurisdizionale di cui il Giudice delle leggi ha rilevato la carenza.
2. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell'intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.