Con la sentenza in commento, la Cassazione risponde al quesito.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 25 gennaio 2022 la Corte di appello di Caltanissetta, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento della Corte di cassazione, Sezione Quarta, con sentenza n. 30243 dell'11 maggio 2021, ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata dal ricorrente.
2. Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi.
Con il primo il ricorrente deduce il vizio di motivazione perché la Corte territoriale, nell'affermare che il proscioglimento era avvenuto per difetto di querela, aveva travisato le conclusioni del Tribunale di Enna che in data 5 ottobre 2018 aveva invece pronunciato l'assoluzione dai reati di maltrattamenti, lesioni volontarie, violenza sessuale, consumati all'interno della struttura carceraria, con formula piena per non aver commesso il fatto.
Lamenta inoltre che la Corte territoriale aveva ritenuto il suo comportamento gravemente colposo e quindi ostativo all'accoglimento dell'istanza, nonostante la persona offesa avesse riconosciuto che egli, non solo si era dissociato dalle condotte violente, ma aveva anche preso le sue difese. Censura la decisione che aveva inteso rivalutare nel merito un processo già concluso con l'assoluzione.
Con il secondo denuncia la violazione di legge in ordine alla valutazione del comportamento gravemente colposo.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è fondato.
La Sezione Quarta di questa Corte aveva annullato la precedente ordinanza, perché fondata sul falso presupposto che il ricorrente fosse stato prosciolto dall'accusa di maltrattamenti per difetto di querela, laddove era stato assolto da tutti i reati ascrittigli per non aver commesso il fatto.
Con l'ordinanza impugnata in questa sede, la Corte di appello di Caltanissetta ha invece affermato che nella fase cautelare, in sede di interrogatorio di garanzia, il co-indagato aveva indicato anche il ricorrente tra coloro i quali avevano partecipato con ruolo attivo alle violenze in carcere e che la persona offesa, da una parte, aveva escluso la sua responsabilità, ma, dall'altra, aveva ribadito che durante i numerosi episodi di violenza era sempre con gli occhi chiusi a terra e vedeva con l'ombra degli occhi tre o quattro persone dietro di sé. La Corte territoriale ha quindi concluso che il ricorrente aveva tenuto un comportamento gravemente colposo, ostativo all'accoglimento dell'istanza, perché, durante la permanenza in carcere aveva quanto meno assistito alle gravissime violenze e vessazioni compiute contro il compagno di cella, "nascondendosi dietro la pilatesca convinzione di non poter fare nulla e senza effettuare neppure un minimo tentativo di aiuto in favore del malcapitato compagno". Il ricorrente aveva continuato a perseguire la sua professata neutralità anche in sede di interrogatorio di convalida, quando si era limitato a dichiararsi estraneo ai fatti, continuando a dichiararsi all'oscuro di tutto, ovvero rendendo dichiarazioni inverosimili dal momento che non poteva non essere a conoscenza delle violenze perpetrate in luoghi ristretti e angusti.
In definitiva, la Corte territoriale ha individuato nella connivenza il comportamento colposo del ricorrente che giustificava il rigetto dell'indennizzo.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, la colpa grave ostativa al riconoscimento dell'indennità da riparazione per ingiusta detenzione può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione del reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, sebbene il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova che egli fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente (Cass., Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139; Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, Diotallevi, Rv. 275970-02; Sez. 4 n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 280391-01).
Tuttavia, nel caso in esame, la Corte di appello di Caltanissetta non ha valutato la peculiare situazione ambientale in cui si trovava il ricorrente, cioè ristretto in carcere con gli aguzzini della povera vittima, per cui l'ordinanza impugnata va annullata per consentire al Giudice del rinvio di valutare quale fosse la condotta esigibile nel contesto e il rischio per la propria persona in caso di denuncia all'autorità dei gravissimi comportamenti illeciti, apprezzando il bilanciamento tra il dovere di solidarietà e il diritto di salvaguardia della propria incolumità.
Invero, l'ulteriore argomento speso a sostegno del rigetto, e cioè il silenzio, non è più attuale in seguito della modifica dell'art. 314 cod. proc. pen. ad opera dell'art. 4, comma 4, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, secondo cui il silenzio serbato dall'indagato in sede di interrogatorio, nell'esercizio della facoltà difensiva prevista dall'art. 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen., non costituisce condotta ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione (Cass., Sez. 4, n. 19621 del 12/04/2022, L., Rv. 283241 - 01).
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Caltanissetta