I messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ex art. 234 c.p.p., dunque è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica.
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale con la quale l'imputato era stato ritenuto responsabile del reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento
Contro tale decisione, l'imputato...
Svolgimento del processo
La CORTE d'APPELLO di MILANO, con sentenza del 17/2/2021, ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal TRIBUNALE di MILANO il 13/2/2018 nei confronti di M.L. in relazione al reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento di cui all'art. 493 ter cod. pen.
1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
1.1. Violazione di legge in relazione agli all'omessa applicazione dell'art. 131 bis cod. pen.
1.2. Violazione di legge in relazione all'art. 526, comma 1, cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta utilizzabilità di una comunicazione che sarebbe intercorsa tra gli avvocati delle parti e che non sarebbe stata acquisita agli atti, contrariamente da quanto indicato nella sentenza come avvenuto nel corso dell'udienza del 21/11/2017.
1.3. Violazione di legge in relazione all'art. 234 cod. proc. pen. quanto all'acquisizione e utilizzazione dei messaggi WhatsApp.
1.4. Violazione di legge in relazione all'inutilizzabilità delle presunzioni con specifico riferimento alla ritenuta assenza autorizzazione all'utilizzo della carta bancomat.
2. In data 17 giugno 2022 è sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il Procuratore Generale, in persona del Sost. Proc. dott. A.C., chiede che il ricorso sia rigettato.
6. In data 21 giugno 2022 sono pervenute in cancelleria le conclusioni e la nota spese con le quali l'avv. P., in difesa della parte civile D.A., chiede che il ricorso sia rigettato e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il grado.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1. Nel primo articolato motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli all'omessa applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. rilevando che la Corte territoriale, facendo impropriamente riferimento alla "abitualità", avrebbe erroneamente applicato la legge penale laddove le condotte contestate all'imputato, pure unite dal vincolo della continuazione, complessivamente valutate avrebbero dovuto essere qualificate come di particolare tenuità. Sotto altro profilo, poi, la motivazione sul punto sarebbe anche contraddittoria con la diversa conclusione alla quale sono pervenuti i giudici di merito in ordine al giudizio prognostico formulato per la concessione della sospensione condizionale della pena.
La doglianza è manifestamente infondata.
La valutazione in ordine all'applicazione dell'istituto di cui all'art. 131 bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di merito la cui conclusione, in assenza di palesi illogicità, non è sindacabile in sede di legittimità.
Sotto tale profilo, pertanto, pure ribadendo il principio secondo il quale la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la decisione dei giudici di merito, fondata su di una valutazione complessiva della fattispecie concreta che tiene conto anche della reiterazione delle condotte e dell'ammontare dei prelievi effettuati, risulta corretta e la motivazione sul punto è adeguata (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 - 01).
A fronte di una corretta lettura, inoltre, la diversa valutazione effettuata quanto alla concessione del beneficio della sospensione della pena, fondata sulla prognosi che per il futuro il soggetto si astenga dal commettere reati, non è contraddittoria rispetto alla decisione assunta ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen. I due istituti, infatti, fanno riferimento a diversi presupposti e la valutazione del giudice di merito in ordine all'applicazione degli stessi non è sovrapponibile e può essere pertanto di diverso tenore.
2. Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione all'art. 526, comma 1, cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta utilizzabilità di una comunicazione che sarebbe intercorsa tra gli avvocati delle parti e che non sarebbe stata acquisita agli atti, contrariamente da quanto indicato nella sentenza come avvenuto nel corso dell'udienza del 21/11/2017.
La doglianza, reiterativa della medesima censura già proposta con l'atto di appello, è manifestamente infondata.
La mail cui hanno fatto riferimento i giudici di merito, infatti, è stata ritualmente acquisita nel corso del dibattimento (cfr. verbale d'udienza del 21.11.2017, doc. n. 26) e la stessa, peraltro, inviata dal difensore dell'imputato alla persona offesa, non è soggetta alla disciplina prevista per la corrispondenza che intercorre tra i difensori (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
3. Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione all'art. 234 cod. proc. pen. quanto all'acquisizione e utilizzazione dei messaggi WhatsApp evidenziando che i messaggi prodotti, in assenza dell'apparecchio cellulare e che non sono stati ritualmente estratti dallo stesso facendo la c.d. copia forense, sarebbero inutilizzabili e non avrebbero potuto pertanto essere posti a fondamento della decisione.
La doglianza, anche questa reiterativa della medesima censura già proposta nell'atto di appello, è manifestamente infondata.
Con specifico riferimento all'utilizzabilità dei messaggi WhattsApp, peraltro oggetto della testimonianza resa dalla persona offesa, infatti, la Corte territoriale si è conformata alla più recente giurisprudenza di legittimità per la quale "in tema di mezzi di prova, i messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art.254 cod. proc. pen." (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019 dep.2020, Tacchi, Rv. 278124 - 01).
Qualora non sia in corso un'attività di captazione delle comunicazioni, d'altro canto, "il testo di un messaggio sms, fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell'apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto, ha natura di documento la cui corrispondenza a/l'origina/e è asseverata dalla qualifica soggettiva dell'agente che effettua la riproduzione, ed è, pertanto, utilizzabile anche in assenza del sequestro dell'apparecchio" (Sez. 1, n. 21731 del 20/02/2019, Alabi, Rv. 275895 - 02).
Sotto altro profilo, poi, deve anche evidenziarsi che i medesimi messaggi erano stati scaricati sul pc dalla persona offesa così che l'utilizzabilità del contenuto degli stessi è anche conseguenza della riconosciuta attendibilità delle dichiarazioni accusatorie dalla stessa rese (cfr. Sez. 5, n. 2658 del 06/10/2021, 2022, M., Rv. 282771 - 01).
4. Nel quarto motivo la difesa, riportati in parallelo i criteri previsti dal codice di procedura civile per le presunzioni e quanto stabilito dal codice di procedura penale circa l'onere della prova, deduce la violazione di legge in relazione all'inutilizzabilità delle presunzioni con specifico riferimento alfa la conclusione cui sarebbero pervenuti i giudici di merito in ordine alla presunta ma non dimostrata esistenza della mancanza di autorizzazione della persona offesa all'utilizzo della carta bancomat.
La doglianza, formulata in termini astratti e generici, è manifestamente infondata.
La circostanza che il ricorrente non fosse stato autorizzato a utilizzare il bancomat della persona offesa, al di là di ogni considerazione circa l'utilizzabilità o meno delle presunzioni nel processo penale, risulta essere provata dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa che, una volta scoperto l'indebito utilizzo della propria carta bancomat, ha denunciato l'accaduto.
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute per il grado, liquidate come da dispositivo, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile A.D. che liquida in complessivi euro 2.000,00 oltre accessori di legge.