Nel caso di specie, l'imputato non era entrato nello sgabuzzino ove gli altri coimputati avevano avuto rapporti sessuali con la persona offesa, ma aveva partecipato sia alla fase prodromica dell'accompagnamento sia a quella successiva.
Il P.G. della Corte d'Appello di Trento ricorre in Cassazione avverso la sentenza che, in accoglimento della richiesta di revisione con la quale l'imputato è stato riconosciuto responsabile del reato di concorso in violenza sessuale, lo ha assolto con la formula per non aver commesso il fatto.
Tra i motivi di doglianza, il P.G. lamenta...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Trento - Sezione per i minorenni, con sentenza del 25 marzo 2021 ha accolto la richiesto di revisione della sentenza della Corte di appello di Venezia - Sezione per i minori - del 6 dicembre 2013, divenuta irrevocabile il 4 febbraio 2016, cori la quale M.B. è stato riconosciuto responsabile del reato di concorso con altri imputati (separatamente giudicati) in violenza sessuale di gruppo e, per l'effetto, lo ha assolto ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., con la formula per non avere commesso il fatto.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza il Procuratore Generale della Corte di appello di Trento, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia violazione di legge e difetto motivazionale.
2.1. Con il primo motivo censura mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Premesso che la decisione che si impugna si fonda sul confronto tra le dichiarazioni rese della persona offesa, a suo tempo, nel processo penale (indagini preliminari, udienza preliminare, abbreviato condizionato) e quelle rese, poi, dalla stessa, in veste di attrice, nel processo civile promosso nei confronti di coloro che sono stati irrevocabilmente condannati per violenza sessuale di gruppo, si segnala contraddizione tra i fatti ritenuti certi e le conclusioni raggiunte dal Giudice della revisione.
Infatti nella stessa sentenza impugnata - sottolinea il P.M. - si dà atto che M.B., alla stregua delle plurime testimonianze raccolte, anche da persone diverse dalla vittima, era presente in tre momenti, prima, durante e dopo la violenza, e cioè: nella fase iniziale, ossia durante il percorso con gli altri e con la ragazza, che era ubriaca, verso lo sgabuzzino; inoltre, all'esterno dello sgabuzzino, e consapevolmente, mentre le violenza accadevano; e anche all'uscita, quando lo stesso B. la ha toccata, dopo che M. e P. la avevano spinta contro di lui, "palleggiandola", mentre era seminuda, oltre ad avere l'imputato partecipato alla fase di derisione collettiva della persona offesa.
La circostanza che la ragazza, sentita nel processo civile, non abbia indicato B. tra coloro che erano all'interno dello sgabuzzino ad avviso del ricorrente non è idonea ad escludere la già accerta a valenza concorsuale del contributo apportato dallo stesso alla realizzazione dei gravi reati posti in essere nei confronti della giovane.
Né la genericità dell'originario capo di imputazione potrebbe essere oggi fatta valere, poiché - sottolinea i: P.G. - le varie forme di partecipazione concorsuale dei soggetti sono state accertate nel corso del processo, in cui l'imputato ha avuto certamente modo di difendersi.
2.2. Con il secondo motivo il P.G. lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 609-octies cod. pen.).
Ad avviso del Requirente, i comportamenti oggettivi ritenuti certi dalla stessa Corte di appello in veste di Giudice della revisione dimostrano, a ben vedere, la partecipazione dell'imputato alla violenza sessuale di gruppo, al quale ha fornito sicuro apporto causale, apporto che, per giurisprudenza consolidata, può consistere anche in comportamenti diversi dalla consumazione di atti sessuali.
Si ribadisce quanto già sostenuto nel primo motivo e cioè che nella sentenza impugnata si dà atto che M.B., alla stregua delle plurime testimonianze raccolte, anche da parte di persone diverse dalla vittima, era presente sia nella fase iniziale, cioè nel percorso con gli altri e con la ragazza, ubriaca, verso lo sgabuzzino, sia all'esterno di questo, consapevolmente, mentre le violenza accadevano sia all'uscita, quando B. la ha toccata, dopo che M. e P. la avevano spinta contro di lui, "palleggiandola", mentre era seminuda, oltre ad avere partecipato anche l'imputato alla derisione collettiva della vittima.
Quanto all'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata (alle pp. 20- 21), secondo cui i toccamenti successivi alla fuoriuscita dallo sgabuzzino non avrebbero natura e portata di atti sessuali ma sarebbero, al più, molestie sessuali non contestate a suo tempo, il P.G. ne censura la illegittimità, attesa la stretta concatenazione temporale con atti di indubbio rilievo sessuale post: in essere nei confronti della vittima.
In definitiva, il contributo dell'imputato ha sicuramente rafforzato, ad avviso del P.G., la volontà degli altri due, che sapevano di poter contare sulla presenza del terzo.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Il P.G. delia S.C. nella propria requisitoria scritta ha chiesto accogliersi il ricorso ed annullarsi con rinvio la decisione impugnata.
4. La Difesa di M.B. con memoria pervenuta il 15 settembre 2022 ha sostenuto, in primis, la inammissibilità del ricorso -della Parte pubblica, in ragione delle ritenute non auto-sufficienza, aspecificità e reiterazione del percorso argomentativo seguito nel giudizio di merito, e comunque la infondatezza nel m rito dello stesso. sottolineando, tra l'altro, che dall'istruttoria è emerso che la ragazza non fu indotta a bere da alcuno ma che si ubriacò volontariamente, che non fu B., ma altri, ad attirarla nello sgabuzzino, ove lo stesso non entrò mai, risultando dunque il ragazzo ,completamente estraneo alla "storia del caso" descritta nell'editto imputativo» (così alla p. 8 della memoria), che la verità sarebbe quella emersa nel giudizio civile e che nessun rilievo potrebbe avere il comportamento successivo all’uscita dello sgabuzzino, peraltro secondo la innovativa ricostruzione fornita dalla vittima - giudicata inattendibile sul punto - soltanto in sede di giudizio di revisione.
Motivi della decisione
1.Il ricorso, ritualmente proposto anche sotto il profilo della specificità, è fondato e deve essere accolto, per i seguenti motivi.
2.La sentenza impugnata trascura, con specifico riferimento al reato di cui all'art. 609-octies cod. pen., le reiterate puntualizzazioni della giurisprudenza di legittimità:
«Ai fini dell'integrazione del reato di violenza sessuale di gruppo non occorre che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell'autore dei comportamenti tipici di cui all'art. 609-bis cod. pen. (Fattispecie di partecipazione a violenza sessuate di gruppo mediante riprese, con telefono cellulare, di parte degli atti sessuali posti in essere, sui/a perso1Ja offesa, dal coimputato)» (Sez. 3, n. 16037 del 20/02/2018, C., Rv. 272699; nello stesso senso, v. già Sez. 3, ri. 11560 del 11/03/2010, M.,. Rv. 246448);
«La "partecipazione" al reato di violenza sessuale di gruppo non è limitata al compimento, da parte del singolo, di un'attività tipica di violenza sessuale, ma ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero "spettatore", sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva» (Sez. 3, n. 44408 del 18/10/2011, B ed altri, Rv. 251610);
«Risponde del reato di violenza sessuale li gruppo chi, pur non avendo compiuto atti di minaccia o di violenza, dia un contributo· causale alla commissione del farro anche solo partecipando ad un segmento dell'azione delittuosa» (Sez. 3, n. 15089 del 1.1/03/20 O, R., Rv. 246614);
«In tema di violenza sessuale si gruppo il reato è ravvisabile anche nell'ipotesi in cui i partecipi dell'azione criminosa, non siano presenti contestualmente al compimento del degli atti sessuali da parte di uno dei componenti del gruppo, ma lo siano stati nella fase iniziale della violenza e siano tuttora presenti nel luogo dei fatti, permanendo in tal caso l'effetto intimidatorio derivante dalla consapevolezza, da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione ed ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza » (Sez. 3, n. 4S970 del 09/11/2005, A. ed altri, Rv. 2325·:·7);
e «Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609 octies cod. pen., è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto; non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo» (Sez. 3, n. 6464 del 05/04/2000, G. ed altro, Rv 216978).
Ebbene, richiamati tali principi, la circostanza (affermata dalla persona offesa nel processo civile in cui è attrice) che M.B. non sia entrato dentro lo sgabuzzino ove gli altri due coimputati hanno avuto veri e propri rapporti sessuali con la ragazza non è idonea, di per sé, ad eliminare, come correttamente sottolineato dal P.G., la possibile responsabilità per concorso nel reato contestato, avendo l’imputato, secondo quanto a suo tempo accertato dai Giudici di merito, partecipato sia alla fase prodromica, dell”’accompagnamento”, sia successiva alla congiunzione in senso stretto, quando, una volta che la ragazza era uscita dallo stanzino, la ha comunque toccata. Né ha prego la lettura “parcellizzata” dell’ultima fase della dolorosa vicenda, quella cioè della derisione collettiva ex post della ragazza dovendo la circostanza essere valutata complessivamente in ragione della stretta concatenazione temporale tra i fatti, come sottolineato dal ricorrente nel secondo motivo di impugnazione.
Coglie nel segno, dunque, il P.G. nel denunziare violazione di legge. Ma coglie nel segno anche quanto al dedotto vizio motivazionale, essendo vistosamente viziato il ragionamento meramente “possibilista” svolto alla pp. 13 e ss. della sentenza impugnata (ragionamento il cui culmine si rinviene alla pp. 19-20, ove si legge che «è possibile che la ragazza […la ragazza] abbia accumunato [B.] totalmente ai comportamenti dei due violentatori» e che la stessa, sentita nell’ambito del giudizio civile , «dovendo rispondere secondo una “griglia” ben precisa seguendo rigorosamente i capitoli di prova ammessi, sotto la guida del giudice, è possibile che abbia messo ordine in ricorsi velati da un trauma rilevante») con il quale si è ritenuto di dover superare il ragionamento in tema di credibilità della persona offesa contenuto – anche- alle pp. 4-5 della sentenza della S.C. (Sez. 3, n. 14278 del 04/02/2016) che ha rigettato il ricorso a suo tempo proposto da M.B. contro la sentenza di condanna della Corte di appello, Sezione per i minorenni, di Venezia. Ciò in quanto compito del Giudice della revisione è valutare la effettiva portata delle “prove nuove” nell’accezione di cui all’art. 630 cod. proc.pen. e, nell’evenienza che emergano prove aventi natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, saggiarne la effettiva affidabilità, secondo il principio di diritto più volte affermato dalla S.C.: «In tema di revisione, il giudice, nel valutare le nuove prove testimoniali aventi natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, dopo averne vagliato la sicura ed effettiva affidabilità, deve saggiare, mediante comparazione la resistenza rispetto ad esse di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna, giacchè, in caso contrario, il giudizio si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento di queste ultime per effetto delle nuove prove» (Sez. 2, n. 35399 del 23/05/2019, Cannatà, Rv. 277072; v. già in precedenza Sez. 6, n. 14591 del 21/02/2007, Pecoraro ed altro, Rv. 236153; Sez. 4, n. 24291 del 07/04/2005, P.G. in proc. Alise ed altro, Rv. 231734; Sez. 1, n. 6337 del 12/11/1997, Grgio, Rv. 208943).
3. Consegue, di necessità, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano.
Si impone l’oscuramento dei dati personali, atteso il reato contestato e l’età della vittima e dell’imputato al momento dei fatti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano.