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25 ottobre 2022
Illegittimo il diniego della cittadinanza legato ad un precedente penale risalente nel tempo e ormai depenalizzato

È illegittima la discrezionalità della P.A. esercitata con forme di “automaticità” del giudizio di diniego della cittadinanza per via della “non veritiera” autocertificazione e della sussistenza di un solo precedente penale risalente nel tempo e relativo a una condotta di non particolare allarme sociale di recente depenalizzata.

La Redazione

Il ricorrente impugnava il provvedimento con cui l'Amministrazione aveva a lui negato la cittadinanza in ragione del mancato inserimento nella comunità nazionale, considerando, da un lato, l'assenza di elementi utili forniti dallo stesso dopo il preavviso di diniego e, dall'altro, la condanna penale intervenuta per l'importazione abusiva di 5 stecche di sigarette dal proprio Paese di origine, oltre al fatto che egli non aveva fornito alcuna autocertificazione circa la sua posizione giudiziaria al momento della presentazione dell'istanza. Dal canto suo, il ricorrente rilevava che la condanna risaliva a ben 11 anni prima, oltre al fatto che riguardava un reato di basso allarme sociale che oggi risulta depenalizzato.

Con il parere n. 1709 del 19 ottobre 2022, il Consiglio di Stato dichiara il ricorso meritevole di accoglimento, esprimendo il tal senso il parere circa il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
A tal proposito, il Consiglio di Stato ribadisce che la concessione della cittadinanza soggiace ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale rispetto alla quale la posizione del richiedente ha consistenza di interesse legittimo. Per questo, la discrezionalità della P.A. si esercita mediante apprezzamenti accurati sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando allo scopo di valutare quale sia la probabilità che egli possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato. In tale ottica, anche i fatti depenalizzati ovvero oggetto di archiviazione in sede penale possono considerarsi rivelatori di una adesione non piena ai valori della convivenza civile rilevanti per la sicurezza e la vita sociale.
Ciò posto, il Consiglio evidenzia che proprio per il particolare rigore che connota la concessione della cittadinanza, l'Amministrazione è chiamata a svolgere un'accurata ed estesa istruttoria che si accompagna ad un provvedimento la cui motivazione deve correlarsi alla tipologia di comportamento ritenuto ostativo, alla natura penale del fatto, alla sua gravità, allo stadio del procedimento e al fatto che la condotta sia stata posta in essere a distanza di tempo rispetto al momento in cui è stata proposta e delibata l'istanza.  

Ora, nel caso di specie, come osserva il Consiglio di Stato, è venuta a mancare una motivazione ampia e sufficiente circa il diniego, poiché essa non ha svolto alcuna correlazione con gli elementi sopra evidenziati, essendo stata ricondotta unicamente al fatto oggetto di condanna in sede penale, senza però considerare che quest'ultima da sola non può rappresentare automaticamente un fatto ostativo alla concessione della cittadinanza.

Inoltre, il Consiglio di Stato ha precisato che nella materia in oggetto assume rilevanza la distinzione tra dichiarazione “mendace”, “erronea”, “omissiva” o “reticente” che va accertata caso per caso, distinzione che risiede nella condotta del dichiarante: mentre il falso infatti non può essere meramente colposo, bensì doloso, la condotta meramente omissiva o semplicemente erronea è invece priva del carattere “offensivo” della fede pubblica oggetto di tutela delle norme penali.
Con riferimento al caso di specie, la dichiarazione del richiedente non sembra presentare i caratteri della dichiarazione “mendace”, considerando che è credibile che egli non fosse ben cosciente delle conseguenze penali del fatto commesso e che non fosse a conoscenza della condanna intervenuta, oltre al fatto che ignorasse le previsioni di legge circa la mancata annotazione delle condanne penali emesse per decreto nelle certificazioni del casellario. Per queste ragioni, egli può ritenersi in buona fede quando affermava di aver confidato nella veridicità e completezza delle menzionate certificazioni, alle quali si è attenuto nel rendere l'autocertificazione.
In conclusione, considerando che tutti gli elementi illustrati avrebbero meritato un approfondimento istruttorio e motivazionale da parte della P.A., il ricorso viene accolto.