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25 ottobre 2022
Stalking: il riavvicinamento tra imputato e persona offesa non interrompe l’abitualità del reato

Né può inficiare la continuità delle condotte quando esse siano tali da ingenerare nella vittima quell'accumulo progressivo di disagio che degenera in una delle forme di prostrazione psicologica di cui all'art. 612-bis c.p..

La Redazione

La Corte d'Appello di Genova riteneva l'imputato responsabile del delitto di cui all'art. 612-bis, commi 1 e 2, c.p.. Contro tale decisione, il difensore dello stesso propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che la Corte avesse affermato la responsabilità penale dell'imputato tenendo conto della condotta da lui tenuta prima della richiesta di ammonimento inoltrata dalla persona offesa, di cui poi quest'ultima aveva chiesto l'archiviazione, laddove la stessa aveva precisato in sede di querela che i contatti con l'imputato si erano interrotti circa due mesi prima, a seguito di un breve periodo di riavvicinamento. Inoltre, la difesa contesta l'attribuzione di valenza probatoria alle dichiarazioni della vittima nonostante l'assenza di riscontri, tenendo conto che esse erano sufficienti al massimo a sussumere la condotta dell'imputato entro i delitti di cui agli att. 612 e 660 c.p..

Con la sentenza n. 40302 del 25 ottobre 2022, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Quanto alla prima doglianza, gli Ermellini evidenziano che non assume rilievo l'archiviazione della richiesta di ammonimento formulata dalla persona offesa per via del suo riavvicinamento con l'aggressore, considerando che essa non ostacola la proposizione di una denuncia per fatti addebitabili nello stesso periodo. In tal senso, gli Ermellini precisano altresì che il temporaneo ed episodico riavvicinamento tra le parti non è idoneo ad interrompere l'abitualità del reato, né vale ad inficiare la continuità delle condotte quando esse siano tali da ingenerare nella vittima quell'accumulo progressivo di disagio che degenera in una delle forme di prostrazione psicologica di cui all'art. 612-bis c.p..

Con riferimento all'altro motivo di ricorso, invece, la Cassazione chiarisce la distinzione tra il reato contestato all'imputato e la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., rilevando che ciò che cambia è l'atteggiarsi delle conseguenze della condotta che in entrambi i casi può tradursi in diverse forme di molestie, ma può configurare il reato di stalking solo quando tali condotte molestatrici siano tali da cagionare nella vittima uno stato perdurante di ansia ovvero l'alterazione delle sue abitudini di vita. Al contrario, si configura il reato di cui all'art. 660 c.p. allorché le molestie si limitino a infastidire la vittima.
Quanto, invece, all'asserita sussumibilità delle condotte addebitate all'imputato nel reato di minacce, la Cassazione ha ricordato che «il quid pluris che caratterizza il delitto di atti persecutori rispetto alle minacce ed alle molestie è costituito sia dalla reiterazione delle condotte, (…), sia dalla produzione, in un soggetto ben determinato e in relazione alla sua psicologia, di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva o, ancora, in un'alterazione, non voluta, delle proprie abitudini di cita».
Considerando che nel caso di specie le deposizioni rese dai testimoni circa le condotte dell'imputato confermavano la riconducibilità delle stesse al reato di stalking, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

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